Rinviate le elezioni palestinesi Arafat non vuole le elezioni e incolpa Israele
Testata: Il Mattino Data: 23 dicembre 2002 Pagina: 4 Autore: Aldo Baquis Titolo: «TERRITORI NELLA MORSA D’ISRAELE»
Aldo Baquis, corrispondente anche della Stampa, pubblica sul Mattino questo pezzo che -curiosamente- non esce sul giornale torinese. Il suo articolo è formalmente corretto. Pecca però, come quasi tutti i servizi che espongono il punto di vista palestinese di qualsivoglia analisi critica. Il che andrebbe anche bene, peccato che questo modo di fare giornalismo si indirizzi solo e sempre alla parte palestinese, mai a quella israeliana. Quando si tratta di Israele vengono riportate al condizionale le fonti di informazione, eventuali versioni date vengono esposte in modi dubitativo, le domande in interviste quelle sì che sono critiche. E Baquis non si discosta da questa linea. Scrive Baquis: A un mese dal voto, la direzione politica palestinese ha rinunciato per il momento a svolgere le elezioni presidenziali e politiche per il rinnovo del parlamento di Ramallah (Cisgiordania). Sabato la Striscia di Gaza era stata troncata in tre segmenti dall'esercito israeliano. In Cisgiordania, l'esercito israeliano è presente in maniera massiccia in tutte le maggiori città. Lo stesso presidente Yasser Arafat, da mesi, è costretto di fatto a restare nel proprio comando generale di Ramallah. Il Parlamento palestinese approfitta di questa serie di circostanze pur di rinviare ulteriormente le elezioni. Ma come scusa non basta, perché se così fosse allora pure Israele avrebbe dovuto posticipare le sue elezioni. Invece non lo fa, anzi rispetta i tempi prefissati. Come mai questa sostanziale differenza? Bisogna tenere conto che Arafat è a capo del suo governo da quasi 40 anni, e che le ultime elezioni palestinesi di cui si ha notizia sono state tenute nell’ormai lontano ’96. E’ questa la democrazia? Forse Arafat teme il giudizio dei suoi cittadini palestinesi, che, dato il sondaggio riportato qui in fondo, sembrano intenzionati a cambiare leader? «La direzione palestinese - ha annunciato formalmente ieri il ministro Saeb Erekat alla emittente Voce della Palestina - ha constatato che è impossibile tenere le elezioni nella data prevista del 20 gennaio». Da parte sua, l'esecutivo palestinese è tornato ad esigere il ritiro immediato e incondizionato delle forze israeliane dalle aree autonome palestinese, occupate gradualmente nei mesi scorsi in ritorsione a cruenti attentati palestinesi nelle retrovie israeliane. Una volta completato questo ritiro - ancora tutto da concordare con Israele - occorreranno «almeno 100 giorni» per organizzare le procedure di voto, ha previsto ieri il presidente del parlamento uscente Abu Ala. Il ritiro "immediato e incondizionato" delle truppe israeliane dalle città non è possibile finché permane il terrorismo, ma ciò non significa che lo stato israeliano faccia di tutto per ostacolare le elezioni palestinesi, anzi ne è assolutamente favorevole, e da sempre in attesa di un cambiamento di leadership per la Palestina che in questi anni non è mai avvenuto. Lo svolgimento di «elezioni palestinesi accuratamente preparate» - secondo quanto hanno ribadito nei giorni scorsi i membri del Quartetto (Usa, Ue, Russia, Onu) - avrebbe notevole importanza per la edificazione di istituzioni forti e democratiche. E anche nelle difficili circostanze attuali «il processo di riforme» nella leadership palestinese ha registrato progressi, sottolinea il Quartetto. Per rimettere in moto i meccanismi della diplomazia, è stato inoltre sottolineato, «occorre mettere fine alle violenze e al terrorismo».
Il terrorismo è finanziato -direttamente e indirettamente- dal governo di Arafat: con i continui rinvii di codeste elezioni e quindi con il mancato rinnovo della leadership e della situazione politica palestinese, il problema non verrà mai risolto.
Ed ecco ora il sondaggio che illustra lo scontento popolare: da questi risultati si evince che le elezioni palestinesi sono più che necessarie.
Ma in attesa che ciò avvenga fra i palestinesi si è diffuso lo sconforto. Un recente sondaggio di opinione curato dal Jmcc (un centro stampa di Gerusalemme est) ha rilevato che un terzo dei palestinesi non ha fiducia «in alcun esponente politico». L'82,7 per cento degli interpellati hanno inoltre denunciato la «estesa corruzione» che caratterizza le strutture dell'Anp. Un palestinese su due ha ricavato l'impressione che le riforme intraprese finora da Arafat «non siano serie». «Il processo di Oslo (di pacificazione con Israele - n.d.r.) è morto» ha sancito il 37,1 per cento, mentre un altro 43,6 per cento ha opinato che «esso non è morto, ma attraversa una crisi acuta e la sua sorte resta molto incerta». Invitiamo i lettori di IC ad inviare al Mattino il loro parere cliccando sulla e-mail sottostante.