La Francia in campagna elettorale assediata dall'islam Due servizi di Daniele Zappalà
Testata: Avvenire Data: 29 gennaio 2022 Pagina: 3 Autore: Daniele Zappalà Titolo: «La Francia che si ribella al 'wokismo' - Macron avanti a tutti è pronto: sarà una 'campagna lampo'»
Riprendiamo oggi 29/01/2022, da AVVENIRE, a pag. 3, gli articoli di Daniele Zappalà dai titoli "La Francia che si ribella al 'wokismo' ", "Macron avanti a tutti è pronto: sarà una 'campagna lampo' ".
Ecco gli articoli:
"La Francia che si ribella al 'wokismo' "
L'interrogativo di fondo al centro di tanto chiasso non è nuovo: come vincere, nelle società multiculturali, le discriminazioni verso le minoranze etniche e religiose? In proposito, la risposta tradizionale francese è proprio l'universalismo repubblicano, nella scia della Rivoluzione del 1789... Come far entrare un grappolo d'uva in una cassetta in legno per tubetti di colore? L'esperimento non è dei più consigliabili, ma permette forse di visualizzare certi interrogativi che tormentano nuovamente la Francia alle prese con la sfida multiculturale. Secondo molti osservatori la Francia e l'Europa si dirigono verso un bivio da cui dipendono scelte centrali per la convivenza civile il 7 gennaio, Jean-Michel Blanquer, ministro dell'Educazione nazionale, ha aperto solennemente alla Sorbona il simposio «Dopo la decostruzione: ricostruire le scienze e la cultura». Un evento voluto per combattere l'«ordine morale» dell'«ideologia woke» e la sua deriva più nota, la cancel culture simbolizzata dalle statue di personalità storiche "rimosse" e da altre vampate simili d'intolleranza. Per due giorni, in nome dell'«universalismo repubblicano», una raffica d'interventi ha così preso il senso d'una durissima requisitoria collettiva. In realtà, secondo i sondaggi, pochi francesi conoscono il significato delle espressioni inglesi incriminate, nate nel quadro del militantismo afroamericano e postcoloniale anglosassone contro le «oppressioni». Eppure, nelle facoltà umanistiche transalpine, la disputa è rovente: petizioni veementi, professori sospesi dai vertici accademici, studenti esagitati pronti a censurare conferenzieri e spettacoli teatrali. L'interrogativo di fondo al centro di tanto chiasso non è nuovo: come vincere, nelle società multiculturali, le discriminazioni verso le minoranze etniche e religiose? In proposito, la risposta tradizionale francese è proprio l'universalismo repubblicano, nella scia della Rivoluzione del 1789: poiché le leggi non fanno distinzioni fra gli individui, se si promuove al meglio il principio solenne d'uguaglianza soprattutto a scuola, i cittadini diventeranno vieppiù consapevoli, trasformandosi prima o poi in baluardi contro le discriminazioni quotidiane, come quelle che colpiscono, nelle assunzioni, i francesi con origini familiari extraeuropee. Insomma, promuovere i valori, ma non le minoranze o comunità. Eppure, una parte del mondo universitario francese si mostra sensibile a un approccio più anglosassone: per sconfiggere le discriminazioni, è lecito riconoscere e magari affiancare certi gruppi minoritari desiderosi d'organizzarsi e di "svegliarsi" (il termine woke richiama proprio l'esser "svegli" contro le ingiustizie) per denunciare le discriminazioni e "scuotere" la società, quando tende a riprodurre certe disuguaglianze. Fra questi studiosi critici, c'è persino chi sostiene che il celebrato «universalismo repubblicano», con le sue rigide precauzioni tradizionali come il divieto di statistiche ufficiali su base etnica o religiosa, è diventato pure un paravento retorico più o meno garante dell'immobilismo. C'è chi considera tutto ciò come una tenzone alquanto intellettualistica e forse persino fuori luogo, in questi tempi di priorità sanitarie ed ecologiche. Basti pensare, in proposito, quanto ha dichiarato a "Le Monde" un centenario riverito come il filosofo Edgar Morin: «Piuttosto che esser spaventati dalla gigantesca crisi planetaria che ci travolge, ci vien chiesto d'esser terrorizzati dal movimento woke, corrente minoritaria nella cultura francese». Ma secondo molti altri osservatori, la Francia e l'Europa si dirigono davvero verso un bivio all'orizzonte da cui dipendono scelte concrete centrali perla convivenza civile, nella scia dell'asprissimo dibattito sui segni religiosi nelle scuole pubbliche che spaccò già la Francia nel 2004. Non a caso, aldilà delle dotte terminologie, i dilemmi della società multiculturale rappresentano pure un piatto forte nella campagna elettorale presidenziale in corso, con effetti politici non trascurabili. Secondo certi osservatori, ad esempio, se la sinistra francese crolla oggi nei sondaggi, è pure pervia delle sue divisioni intestine in materia. Per l'ex premier socialista Manuel Valls, in proposito, la «gauche repubblicana» e quella multiculturalista sono «inconciliabili». Da tempo, fra l'altro, la destra, assieme ai centristi dietro al presidente Emmanuel Macron, non si privano d'additare le connivenze vere o presunte di certi esponenti della sinistra con ciò che si suole bollare come «islamo-gauchismo», associato a una sorta d'odio antioccidentale di fondo. In ogni caso, la querelle non si spegnerà certamente con lo scrutinio presidenziale d'aprile. Semplicemente perché ruota attorno a un problema avvertito in modo cocente da tanti francesi: le discriminazioni quotidiane, soprattutto nel mondo professionale ma non solo. Quintessenza di una certa Francia che storicamente ha sognato d'esportare dappertutto i propri ideali politico-filosofici di matrice illuministica, l'universalismo repubblicano transalpino è un sistema di valori talora contestato, soprattutto sul fronte delle interpretazioni aggressive della laïcité, ma capace ancora di riunire le principali forze politiche moderate. Una sorta di cassetta per colori a tempera, appunto: rigida all'esterno (se si considerano certi divieti annosi e molto controversi come quello delle statistiche etniche e religiose), ma ufficialmente concepita, grazie all'identico spazio di diritti-doveri assegnato ad ogni colore - ovvero ad ogni cittadino -, per garantire a tutti un accesso agli ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza. A1 contempo, non pochi visualizzano oggi le società multiculturali come entità simili a grappoli d'uva: da una parte, l'unità organica d'ogni individuo all'interno del genere umano, certo; ma dall'altra, un rilievo, una posizione e una visibilità sociali dei singoli gruppi d'individui (gli acini del grappolo) condizionati da accavallamenti e processi storici non proprio egualitari ancora in atto. Da qui, il dilemma della cassetta di colori e del grappolo d'uva: nell'azione politica, meglio riconoscere pienamente certi legami fra persone affini, facendo di tutto per denunciare le eventuali discriminazioni contro certi gruppi? Oppure, meglio puntare sull'ideale della migliore "elevazione" civico-morale possibile d'ogni singolo cittadino in modo che, prima o poi, la società possa impiegare al meglio tutti i tubetti di colore individuali per "dipingere" il proprio futuro? Interrogativi non banali che Macron ha cercato d'affrontare pure esaltando certi destini individuali esemplari d'integrazione, come nel caso del recente ingresso simbolico nel "tempio repubblicano" del Panthéon di Joséphine Baker (1906-1975), cantante e partigiana d'origine afroamericana. Al contempo, si può notare che il dibattito francese non ha visto finora scendere in prima linea molte voci d'ispirazione apertamente cristiana. Per effetto, forse, di certe distorsioni della laicité?Eppure, come ha evidenziato il quotidiano cattolico La Croix, le parrocchie, soprattutto nelle banlieue transalpine, rappresentano esempi indiscutibili e fra i più vitali di una coesistenza costruttiva possibile fra francesi di diversa origine. Del resto, ciò pare tradurre una massima cara al filosofo cattolico Jean-Luc Marion, secondo il quale «per riconoscersi come fratelli, occorre riconoscere una stessa paternità». Al contempo, i dibattiti in Francia obbligano pure a meditare attentamente un monito contenuto nell'ultimo discorso di papa Francesco rivolto al corpo diplomatico in Vaticano, a proposito della cancel culture: «In nome della protezione delle diversità, si finisce per cancellare il senso di ogni identità, con il rischio di far tacere le posizioni che difendono un'idea rispettosa ed equilibrata delle varie sensibilità. Si va elaborando un pensiero unico - pericoloso - costretto a rinnegare la storia, o peggio ancora a riscriverla in base a categorie contemporanee, mentre ogni situazione storica va interpretata secondo l'ermeneutica dell'epoca, non l'ermeneutica di oggi». Fonti d'ispirazione, è lecito sperarlo, per tutti quei cristiani decisi ancora a offrire un contributo saliente nel difficile cantiere aperto dell'Europa multiculturale.
"Macron avanti a tutti è pronto: sarà una 'campagna lampo' "
Emmanuel Macron
Parigi II candidato più atteso della corsa presidenziale francese gestisce la crisi sanitaria e non è ancora ufficialmente sui blocchi di partenza, in vista del primo turno del 10 aprile. Ma neppure i cultori di fantapolitica credono ormai a un clamoroso "gran rifiuto" di Emmanuel Macron. Anche perché il partito della maggioranza macroniana (La République en Marche) ha appena messo in linea Con voi (Avec vous), sito Internet elettorale promosso pure affiggendo manifesti. Sta dunque per scattare la "guerra lampo" per un bis all'Eliseo, come gli strateghi di Macron chiamano il forcing di poche settimane con cui sperano di sbaragliare i tanti sfidanti già da tempo nell'arena. Fra loro, l'ultranazionalista Marine Le Pen, finalista battuta nel 2017, sempre in alto nei sondaggi accanto alla neogollista Valérie Pécresse, che sogna di prolungare, con una linea «liberai-sociale», la storica familiarità del centrodestra con l'Eliseo, un decennio dopo la fine del regno di Nicolas Sarkozy. Ma resta attivissimo pure l'ex opinionista Eric Zemmour, volto nuovo e molto osteggiato dell'ultradestra anti-immigrazione. «E qualcosa di brutale, di violento», ha appena ammesso Marine Le Pen, commentando le esternazioni della nipote Marion Maréchal, ex deputata lepenista e figura popolarissima fra gli ultranazionalisti, che ora «pende verso Zemmour» e non perla zia, così come ha già lasciato intendere pure il patriarca Jean-Marie. Una nuova tegola per l'ex finalista 53enne, mollata da diversi luogotenenti attirati anch'essi da Zemmour, alla stregua persino di certi neogollisti in vista. Con «l'immigrazione zero», non ci sarebbe «praticamente più delinquenza», ha nuovamente martellato in tv Zemmour, già pluricondannato per odio razziale. Ma negli ultimi sondaggi, guidati da Macron con circa il 25%, Zemmour resta attorno al 13%, dunque ancora distanziato da Le Pen e Pécresse, entrambe virtualmente in zona ballottaggio, attorno al 17%. Non decollano invece in nessun rilevamento i candidati di sinistra, fra cui solo il "tribuno rosso" 70nne Jean-Luc Mélenchon (gauche radicale) pare capace d'issarsi oltre il 10%. Nell'area progressista, assieme a certe dichiarazioni ambigue dell'ex presidente socialista François Hollande quanto a un ipotetico ritorno in lizza in extremis, suscita tensioni pure l'iniziativa dal basso delle «primarie popolari», promosse in queste ore da quasi mezzo milione di cittadini, ma in aperto attrito con i partiti. In questo scenario frammentato, Macron vorrebbe preservare fino all'ultimo l'aura dello status presidenziale, contando pure sulla gestione dell'incubo sanitario, finora percepita positivamente, nonostante statistiche epidemiologiche da brividi. Enfasi anche sui numeri dell'economia, fra calo della disoccupazione e impennata del Pil nel 2021 (7%), e sulla diplomazia, grazie al semestre di presidenza francese dell'Ue e all'attivismo nelle crisi, come ieri, circa i presunti «passi in avanti» sottolineati dall'Eliseo nei negoziati a Vienna sul nucleare iraniano, dopo una telefonata in giornata fra Macron e l'omologo russo Vladimir Putin.
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