L’orologio di papà e altri ricordi
Daniel Vogelmann
Giuntina euro 10
“Fare memoria combatte l’indifferenza”
Elie Wiesel
L’ultimo libro di Daniel Vogelmann, “L’orologio di papà e altri racconti” pubblicato dalla casa editrice da lui fondata nel 1980 arriva come un dono prezioso nei giorni dedicati alla Memoria per aiutarci a riflettere sul significato della vita, sulle infinite possibilità dell’uomo di ricominciare oltre che sull’importanza di tramandare il ricordo di chi ha attraversato gli anni bui delle persecuzioni naziste ed è rimasto vittima del Male assoluto. E’ una raccolta di scritti che scorre fluida dalla penna di Vogelmann che condivide con i lettori alcuni momenti della sua vita passata, degli affetti che l’hanno abitata, degli amici che, in un modo o nell’altro, gli hanno lasciato un ricordo forse marginale ma che consente di fare un bilancio della propria esistenza per soffermarsi sul presente, arricchito dalla gioia di trascorrere qualche ora con le adorate nipotine ancorchè funestato dalle restrizioni della pandemia. In questo insieme eterogeneo di ricordi che si susseguono senza un ordine cronologico incontriamo fin dalle prime pagine il padre Schulim, nome che spiega l’autore indica la pronuncia ashkenazita dell’ebraico shalom (pace, armonia, completezza…).
Quel padre, deportato ad Auschwitz con la moglie e la figlioletta Sissel, entrambe morte nel campo di sterminio, che si è salvato grazie ad Oskar Schindler e ha trovato nell’amore per la vita la forza di ricostruirsi una famiglia con Albana Mondolfi, anch’ella vedova, dalla cui unione è nato Daniel Vogelman. E nella struggente poesia che dà il titolo al libro l’autore ricorda la sofferenza del padre di non possedere un orologio “Perché ad Auschwitz, oltre alla fame, il freddo e la fatica, mio padre soffriva di non avere l’orologio, una volta tornato e fatti un po’ di soldi si comprò un bel Patek Philippe, che poi mi lasciò in eredità, e che io pensavo di lasciare a mio figlio. Ma un giorno me l’hanno rubato. Per cui a mio figlio gli lascerò questa poesia, che nessuno gli ruberà”. Ogni pagina del libro racchiude un tassello di vita, un ricordo che si è impresso nel cuore di Daniel come “Fontamara” in cui il padre vedendo Daniel leggere un libro di Ignazio Silone ricorda che nel campo un suo compagno di prigionia austriaco aveva citato il libro Fontamara e immediatamente l’autore torna con la mente a Primo Levi e Pikolo in Se questo è un uomo. “…anche Horn e mio padre cercavano disperatamente di restare umani”.
Quanta forza in queste parole! Pervasi di profonda malinconia e dolcezza sono gli scritti dedicati a Anna Disegni, prima moglie di Schulim, e Sissel la sorellina morta nel campo. Ne “La marmellata” dinanzi a un barattolo di confettura con la scritta del produttore “dal 1928” immagina “Annetta che spalmava su due pezzi di pane quella stessa marmellata ed entrambe, sorridendo, se la gustavano serenamente”. Nella parte riservata ai “Ritratti” Daniel ricorda con parole struggenti “La Gilda”, di origini slovene, la bambinaia che restò con loro tutta la vita e “quando i tedeschi cominciarono a dare la caccia agli ebrei, la Gilda, che non era ebrea, non ebbe dubbi: si nascose in un convento con la mia mamma, la mia nonna e mio fratello di quattro anni”. Una dedizione d’ altri tempi, assai difficile da trovare oggi in una società dedita solo al profitto. “Pigozzi” invece era il gioielliere di casa. “Non era un grande artista, ma in compenso era molto simpatico. Anche perché parlava bolognese e quasi tutti quelli che parlano bolognese sono simpatici”. Con un pizzico di nostalgia Daniel ricorda quando Pigozzi accoglieva lui e la mamma a Bologna in cima alle scale della stazione. Nella vecchiaia faceva fatica a camminare e in poco tempo morì. “Ora, scrive Daniel, per dirla con Ungaretti, forse io solo so ancora che visse”.
La forza della parola scritta e dei ricordi che trasmette è tale che ora anche noi lettori abbiamo memoria dell’esistenza di quel simpatico bolognese che ha lasciato con la sua bonomia un piccolo seme nel cuore dell’autore. La carrellata dei ritratti si chiude con il ricordo dell’amico Gino, più grande di circa vent’anni e forse per questo più capace di comprendere la complessità del carattere del giovane Daniel “…con lui potevo parlare di tutto e soprattutto della mia crudele depressione”. Le ultime pagine sono dedicate a riflessioni sul libero arbitrio, sul rapporto con la religione e con la morte e a tal riguardo riflette “…malgrado tutte le religioni e le filosofie, ho ancora un po’ di timore quando penso alla morte (cioè sempre). In fondo, non accettiamo il nulla perché non accettiamo di essere nulla e non accettiamo che l’io sia solo uno strumento più o meno utile. Comunque, non ci resta, come sempre, che lasciare a Dio o al caso il compito di decidere per noi”. Emerge anche il ricordo di come scegliendo di tradurre La nuit di Elie Wiesel abbia dato una svolta alla sua vita. Era il marzo del 1980 e il capolavoro di Wiesel, scoperto da Daniel in uno scaffale di libri a metà prezzo, è stato il primo libro pubblicato dalla Giuntina nella prestigiosa collana Schulim Vogelmann e ancora oggi è il volume più venduto. Sono trascorsi più di quarant’anni e la Giuntina ha pubblicato circa mille titoli ma La notte resta nel cuore del suo editore italiano. “E’ difficile pensare che fu un caso averlo trovato in quella libreria: dal momento che l’edizione originale francese è del 1958, è come se aspettasse me per essere pubblicato in italiano. Chissà, forse qualcuno ha voluto così” Autore di volumi di liriche, di un libro di barzellette ebraiche e di una bellissima “Piccola autobiografia di mio padre” Daniel Vogelmann con questo suo ultimo lavoro ci affida uno scrigno di ricordi narrati con voce poetica e un linguaggio essenziale per condividere con il lettore una visione compassionevole dell’esistenza e per ricordarci che solo il lume della conoscenza può favorire una costante ricerca della verità, unico rimedio contro pregiudizi e fanatismi.
Giorgia Greco