Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 27/01/2022, l'analisi di Abraham B. Yehoshua dal titolo "Vacciniamoci contro l’odio".
Abraham B. Yehoshua
Sono passati settantasei anni da quando l’esercito russo liberò il campo di concentramento più terribile mai messo in atto nella storia umana, il campo di sterminio di Auschwitz, un campo tedesco in Polonia dove, durante la seconda guerra mondiale, si perfezionò il modo di dare la morte a milioni di prigionieri, in gran parte milioni di cittadini ebrei deportati da tutti gli angoli d’Europa. E nonostante sia trascorso molto tempo da allora, nonostante le gravi e terribili atrocità commesse nelle varie guerre avvenute in tutto il mondo, la liberazione di Auschwitz è ancora il simbolo della vittoria sul male assoluto e un ammonimento alle generazioni future sul potere e sull’efficacia futura di questo male in tutte le sue possibili forme, incluso, naturalmente e innanzitutto, il razzismo antisemita. Sono nato in Israele, sono la sesta generazione in questo paese.
Talvolta io e la mia famiglia ci siamo trovati per un breve periodo fuori da Israele, per studio o lavoro, perlopiù in Francia, Inghilterra e Stati Uniti, ma non ho mai sperimentato, pur non avendo mai nascosto il mio ebraismo, l’odio antisemita. Anche la lotta con i palestinesi o con altri arabi non la considero una lotta antisemita, ma piuttosto una lotta territoriale come accade a molti popoli in tutto il mondo. Eppure l’antisemitismo mi assilla ancora molto, come fosse una malattia, una malattia che può indurre l’antisemita a compiere atti di follia e di crudeltà contro l’ebreo. Alla fine della Seconda guerra mondiale, quando gli eserciti alleati assediavano Berlino, Hitler, che si preparava al suicidio nel bunker, scrisse un testamento molto strano in cui incolpava gli ebrei per la sconfitta. Così scrisse due giorni prima di spararsi: «Il mio grande errore fu di non aver valutato l’influenza decisiva degli ebrei sugli inglesi guidati da Churchill. Passeranno le generazioni e sulle rovine delle nostre città brillerà ancora una volta il fuoco dell’odio per la razza su cui ricade la responsabilità di tutto l’orrore che ci è accaduto: l’ebraismo internazionale e i suoi collaboratori». Come dire che il massimo criminale della Storia era capace di pensare che la distruzione della Germania non fosse dovuta ai suoi terribili crimini e alla sua brutale aggressione, ma al popolo più debole di tutti, il popolo ebraico, un terzo del quale lui stesso sterminò tanto facilmente. L’antisemitismo, l’odio per gli ebrei, la paura degli ebrei e le folli fantasie che ne derivano, possono far precipitare l’antisemita verso gesti criminali che alla fine portano, come nel caso estremo della Germania nazista o quello, forse meno grave, degli ultimi anni del regime di Stalin nella Russia sovietica, alla rovina e alla distruzione dello stesso antisemita. E poiché la malattia è di vecchia data e risale all’antichità, prima della venuta del cristianesimo, e ha trascinato i popoli, religiosi e laici, di destra e di sinistra, è necessario, come contro un’epidemia, vaccinare i non ebrei contro l’antisemitismo. E come abbiamo imparato negli ultimi due anni della pandemia di Covid- 19, un vaccino solo non basta mai, dobbiamo necessariamente ripeterlo, e magari cambiare di volta in volta la formula.
Così è con l’antisemitismo. È necessario di tanto in tanto attirare l’attenzione di chi non è ebreo perché capisca cos’è l’antisemitismo che si risveglia in lui, che scatena un simile odio, quali sono le componenti, le radici di esso, e come è possibile opporvisi senza rinunciare a una giusta e legittima critica di questo o quell’ebreo. E proprio come lo Stato di Israele, per esempio, ha un assoluto diritto di esistere, ognuno ha anche il diritto di criticarlo, se la critica è concreta e ragionata per questo o quel gesto, senza impigliarsi nella rete del gergo antisemita. A loro volta anche gli ebrei devono capire cos’è l’antisemitismo, da dove nasce, e stare attenti a non respingere le critiche negative sostenendo che si tratta di una critica antisemita che non ha quindi bisogno di essere affrontata. Insomma l’ebreo deve esaminare la critica nei suoi confronti e confrontarvisi in modo concreto, senza rifugiarsi sotto l’ombrello che automaticamente trasforma ogni critica in antisemitismo. Il giorno della memoria per la liberazione del campo di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa nel gennaio 1945 può dunque essere visto, per così dire, come un’iniezione di vaccino, una dose di richiamo destinata a rafforzare gli anticorpi che tutti dobbiamo avere nel nostro animo contro l’antisemitismo e poi, naturalmente, contro tutte le altre forme di razzismo o di nazionalismo. Lo studio e la ricerca sull’antisemitismo, in particolare sull’uccisione di milioni di ebrei, anziani, donne e bambini, durante la Seconda guerra mondiale, hanno lasciato un segno molto profondo nell’esistenza ebraica, nel bene e nel male. Possono persino spiegare la politica dello Stato di Israele fino ad ora. Sento che il numero tatuato sul braccio di ogni prigioniero di Auschwitz è inciso anche sul mio braccio e devo saperlo interpretare con il mio comportamento e con le mie posizioni politiche e morali. Vorrei che anche i giovani italiani, la cui coscienza e memoria sono così distanti da quella terribile guerra che si è svolta in Europa, cuore del mondo civilizzato, non dimenticassero la guerra che ha reso noi ebrei, popolo antico, una nazione mutilata, ma che non ha perso la volontà di continuare ad esistere, benché la minaccia di distruzione non sia tuttora estinta. Gli stessi tedeschi hanno fatto un bell’esame di coscienza in seguito a quella guerra e, a mio parere, è per questo che hanno raggiunto i vertici in parecchi campi negli ultimi decenni. Sebbene gli italiani non abbiano compiuto nella Seconda guerra mondiale crimini comparabili a quelli tedeschi, ciò non vuol dire che non debbano fare i conti con il proprio passato, cosa che potrà solo far loro del bene. La Seconda guerra mondiale è un crocevia per la civiltà occidentale, e apprendere e studiare le vicende della guerra è ancora essenziale per tutti noi.
(Traduzione di Sarah Parenzo)
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