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La Stampa Rassegna Stampa
27.01.2022 Quando l'Italia diventò la 'Porta di Sion'
Commento di Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 27 gennaio 2022
Pagina: 2
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Insieme sulle spiagge della speranza un'odissea dall'Italia alla Palestina»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/01/2022, a pag.2, con il titolo 'Insieme sulle spiagge della speranza un'odissea dall'Italia alla Palestina', l'analisi di Elena Loewenthal.

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Elena Loewenthal

Autorità Di Sistema Portuale Mar Ligure Orientale | “La Spezia Porta di Sion ”

Qualche anno fa il presidente Mattarella fu in Israele per una visita ufficiale. Il momento di gran lunga più intenso e toccante di quelle giornate fu l’incontro con i«bambini» di Selvino. Seduti compostamente in cerchio, avevano tutti gli occhi lucidi, quei novantenni con il cuore e la testa pieni di ricordi, orfani sopravvissuti per miracolo alla Shoah e accolti a Sdesopoli, un'ex colonia fascista per la gioventù a Selvino che alla fine della guerra era diventato un centro di accoglienza per centinaia di bambini profughi dal cuore dell'Europa, in transito verso la terra d'Israele. Per quei bambini, così come per tanti altri sopravvissuti all’orrore della Soluzione Finale nazista, l'Italia fu nei primi anni del dopoguerra il luogo della salvezza, dove ritrovare l'umanità perduta. Perché la storia della Shoah che il Giorno della Memoria impone di non dimenticare, di trasmettere per educare, è fatta del buco nero dei forni crematori, delle fosse comuni, della caccia all'ebreo, di tutto l'orrore che ha riempito l'Europa in quegli anni. Ma è non meno giusto — e bello — ricordare anche ciò che di segno opposto quella storia ha visto, durante e subito dopo il 27 gennaio di 77 anni fa. All'indomani della fine della guerra, infatti, l'Italia divenne «Porta di Sion» e tale la ricordano ancora oggi tanti israeliani di allora e altri che all'epoca non erano ancora nati, con sorridente gratitudine. La fine della guerra non fu, infatti, un breve momento, una cesura e basta, bensì un lungo periodo di caos, incertezza, confusione. Per gran parte degli ebrei reduci dai campi di sterminio e originari dell'Europa dell'Est fu un periodo di terribile disorientamento, senza più un angolo di mondo dove poter tornare, ricominciare a vivere. Anche perché il governo mandatario britannico in Palestina, pur se in scadenza, aveva vietato l'immigrazione in Terra Promessa dei profughi ebrei dall'Europa. Liberi dai campi della morte, quei sopravvissuti parevano ancora incatenati al loro destino. Sinché non arrivarono in Italia, un po' alla spicciolata e un po' grazie alla rete di sostegno e organizzazione che dal 1945 si attivò ai margini della legalità per portare questa gente al di là del Mediterraneo, verso il nascente Stato d'Israele: soldati della Brigata ebraica palestinese che avevano combattuto con gli Alleati, militanti della Resistenza, uomini e donne d'azione e di ideali. Sono tante, queste storie: i bambini di Selvino, che nel 1948 andarono a popolare e costruire un kibbutz del paese, gli adulti e i piccini che vissero nel campo di raccolta di Grugliasco, vicino Torino, coloro che furono accolti con calore in Puglia, e molte altre ancora. Rosie Whitehouse, giornalista e studiosa inglese, ne racconta una particolarmente interessante e ancora pressoché sconosciuta, in un libro appena pubblicato in italiano, La spiaggia della Speranza. Dall’Italia alla Palestina: il lungo viaggio dei sopravvissuti alla Shoah (traduzione di Giuliana Mancuso con la consulenza di Marco Cavallarin, il Corbaccio, pp. 348, euro 20) . In una notte d'estate del 1946, infatti, 1257 ebrei originari di 14 Paesi fra cui Germania, Bielorussia, Lituania, arrivarono su una spiaggia della riviera ligure, non lontano da Savona. Avevano tutti alle spalle un viaggio lungo e sfiancante attraverso l'Europa, dai campi di sterminio e raccolta, dalle foreste, dai ghetti, dalle marce della morte; ora si preparavano «ad affrontare la Royal Navy», imbarcandosi sulla Wedgewood, ex corvetta canadese che aveva dato la caccia ai sottomarini tedeschi e che era poi stata comprata da un'organizzazione ebraica di New York che in Europa operava clandestinamente. A guidare l'operazione era Ada Sereni. Si imbarcarono a Vado Ligure: il viaggio durò otto giorni, i passeggeri avevano l'ordine di restare sotto coperta, e l'arrivo al porto di Haifa fu alquanto tormentato. Appena sbarcati, furono trasportati nel centro di detenzione di Atlit: per loro, così come per tanti altri, tutto finì il 14 maggio del 1948 con la creazione dello Stato d'Israele e l'inizio di una storia nuova. Whitehouse ha fatto anni di ricerche e viaggi. Ha provato a rintracciare tutti i 1257 passeggeri, si è documentata minuziosamente, ha ascoltato Domenico Farro, pescatore ottantaquattrenne che si ricorda di quei profughi silenziosi. Grazie al suo libro, quella porta di Sion affacciata sul molo di Vado Ligure si apre narrando una vicenda tanto unica quanto esemplare: furono più di 70 mila gli ebrei sopravvissuti alla Shoah che passarono dall'Italia nel cammino di ritorno verso la vita, e tante le porte di Sion che si aprirono a La Spezia, Trieste, Bari, Napoli, grazie alla rete ebraica clandestina, ma grazie anche ai tanti italiani che diedero una mano, sfamarono, sorrisero a quella gente che aveva visto l'orrore. Nel Giorno della Memoria si ha da ricordare l'orrore dello sterminio nazista, del fascismo con le sue infami leggi razziali, di quello che fu l'Europa in quegli anni. Ma anche queste storie di salvezza e di bene meritano di essere parte del nostro presente e del nostro futuro.

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