Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 20/01/2022, a pag.31, con il titolo 'La Conferenza di Wannsee', l'analisi di Elena Loewenthal.
Elena Loewenthal
Gli ebrei saranno avviati all'Est sotto direzione competente e con metodi adeguati, per eseguirvi dei lavori stradali. Saranno trasportati in colonne, separando le donne dagli uomini. Senza dubbio durante il percorso molti deportati morranno di stenti... Per raggiungere una soluzione definitiva, rastrelleremo l'Europa da un capo all'altro. Gli ebrei saranno chiusi nei ghetti e più tardi trasferiti all'Est». Così il generale Reinhard Heydrich sintetizza la «road map» che dà l'avvio alla «Endlösung», quella «soluzione finale» che nel giro di pochi e indicibili mesi trasforma l'Europa in un campo di cenere e morte. Era il 20 gennaio di 80 anni fa e malgrado il rigore invernale il paesaggio del Großen Wannsee che circonda la villa in cui si tiene la conferenza ha una sua sinistra dolcezza. Sono in tanti, quel giorno: direttori di ministeri del Reich, rappresentanti de partito nazista, dei servizi segreti e della cancelleria. C'è anche Adolf Eichmann, che rivendica con orgoglio il desiderio di occuparsene lui, della «soluzione finale», e Heydrich ribadisce che non è un'impresa da poco, perché bisogna «sbarazzarsi definitivamente di 11 milioni di ebrei».
La villa della conferenza a Wannsee
A 80 anni esatti di distanza, quella storia e quel giorno ci paiono al tempo stesso tremendamente vicini, ma anche parte di un mondo parallelo a quello viviamo, di una realtà inammissibile. La Conferenza di Wannsee fu un evento cruciale, un momento che segna lo spartiacque storico fra le intenzioni e la messa in atto della macchina dello sterminio su scala globale. E il verbale di quell'incontro, redatto con analitico puntiglio, nella sua arida determinazione è certamente uno dei documenti più scioccanti di quella storia ma anche di tutta la Storia umana. A quel momento fa da contrappasso il processo di Norimberga, che dal novembre del 1945 all'ottobre dell'anno successivo condannò una ventina di criminali nazisti e che, come il processo a Adolf Eichmann a Gerusalemme nel 1961, si trovò di fronte al compito più arduo che qualunque giustizia abbia mai dovuto affrontare, perché quel delitto di massa, quella cieca volontà di annientamento sfuggono a qualunque canone di giudizio, di colpa, di responsabilità. È troppo, troppo assurdo, troppo insensato. Ma la conferenza di Wannsee è tutto fuorché un episodio, per quanto abnorme. «Il regime hitleriano e i suoi delitti non sono il frutto di un caso. Hitler non sali al potere grazie a un concorso fortuito di circostanze: la storia dell'umanità, del resto, non è mai regolata dal caso», scrive Gideon Hausner, procuratore generale al processo Eichmann, nella sua relazione introduttiva, che è il primo tentativo di costruire una cronaca dello sterminio e resta ancor oggi uno straordinario strumento per interpretare quel capitolo di storia (è pubblicata in italiano da Einaudi con un saggio di Alessandro Galante Garrone e l'introduzione di Simon Levis Sullam). La Notte dei Cristalli nel 1933, le Leggi razziali di Norimberga del 1935, quelle non certo da meno emanate dal nostro regime fascista nel 1938. E le eliminazioni mirate, prove generali dello sterminio di massa, che si susseguono in Germania negli anni precedenti: l'orrore nazista non fu un episodio, ma un lungo processo storico in cui la conferenza di Wannsee rappresenta un nodo drastico sia perché dopo quel 20 gennaio la macchina nazista diventa un complesso, articolato e straordinariamente funzionante sistema di distruzione, sia perché nelle parole dette e registrate dai verbali si coglie tutta la terribile miseria di quella umanità di nazisti.
Che quando dovrà provare a difendersi, dopo la guerra, non farà che usare la litania del non aver potuto fare a meno di ubbidire: «Eseguire ordini contrari ai principi della coscienza e della morale, calpestando le leggi fondamentali che costituiscono le basi della società umana non può, né giuridicamente né moralmente, costituire una attenuante», spiega Hausner davanti al volto impassibile di Adolf Eichmann. Tre anni e una settimana dopo quella giornata sul lago alla periferia di Berlino, gli Alleati aprivano i cancelli di Auschwitz e si trovavano di fronte l'orrore di cui era piena l'Europa e che l'Europa deve continuare a riconoscere come parte di sé, per quanto scomoda e intollerabile. Perché la Shoah è la negazione della storia ebraica — proprio questo grida «Endlosung», «soluzione finale» — mentre afferma che tutto questo è successo qui, nel cuore della nostra civiltà, in nome di un progresso. Per questo il Giorno della Memoria non è, non deve essere, un atto di omaggio agli ebrei assassinati, negati alla storia, ma la presa di coscienza che tutto questo è accaduto qui, in questo Continente attraversato per mesi da treni merci che viaggiavano pieni in una direzione e vuoti nell'altra, fitto di fosse comuni nascoste fra i boschi dell'Europa dell'Est. Di quella storia, tutta l'Europa di ieri, di oggi e di domani è testimone.
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