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Ben Cohen
Antisemitismo & Medio Oriente
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Il latitante iraniano dell'AMIA a Buenos Aires è festeggiato dall'estrema sinistra dell'America Latina 16/01/2022
Il latitante iraniano dell'AMIA a Buenos Aires è festeggiato dall'estrema sinistra dell'America Latina
Analisi di Ben Cohen

(traduzione di Yehudit Weisz)


Amia Buenos Aires, a 25 anni dall'attentato il governo contro Hezbollah

L'abbraccio tra la sinistra autoritaria in America Latina e il regime islamista in Iran è più stretto che mai, come si è visto la settimana scorsa a Managua, alla cerimonia d’insediamento del Presidente del Nicaragua, Daniel Ortega. Oggi settantaseienne, Ortega è stato un pilastro della politica nicaraguense sin dalla rivoluzione sandinista del 1979 che rovesciò la dittatura di Anastasio Somoza. Alle elezioni dello scorso novembre, Ortega ha vinto un quarto mandato in un ballottaggio segnato da frodi elettorali e dalla soppressione dei partiti politici di opposizione. Una delle tante fotografie di Ortega, scattate alla cerimonia di insediamento del 10 gennaio, mostrava una proverbiale galleria di canaglie.

Con i volti sorridenti sotto i flash e il gesto della V di vittoria, a fianco di un Ortega dall'aspetto rilassato, c’erano Nicolás Maduro, il contestato Presidente del Venezuela, Miguel Diaz-Canel, il Presidente di Cuba e Mohsen Rezaei, vicepresidente iraniano per lo Sviluppo Economico. Rezaei è un latitante, accusato di terrorismo che può essere legittimamente arrestato in qualsiasi Paese lui arrivi. Ma a Managua, è stato celebrato e festeggiato dai suoi alleati naturali: tutti loro, come i governanti dell'Iran, sono abusatori seriali dei diritti umani, che hanno gettato economicamente e spiritualmente i loro Paesi nella miseria più nera, durante decenni di potere del partito unico. Nel 2007, Rezaei è stato uno dei sei agenti iraniani che sono diventati oggetto di “Codici rossi” - richieste ufficiali di arresto emesse dall'Interpol, l'Agenzia Internazionale della polizia criminale - per il loro ruolo nell'attentato del luglio del 1994 al centro ebraico dell'AMIA a Buenos Aires, la capitale dell’ Argentina. Ottantacinque persone rimasero uccise e più di 300 ferite quando un camion carico di esplosivo si schiantò contro l'edificio dell'AMIA: fu il più grave atto di terrorismo antisemita dopo la Seconda Guerra Mondiale. L’atrocità dell'AMIA, a sua volta, generò una saga di giustizia frustrata per il successivo quarto di secolo.

AMIA bombing - Wikipedia
L'attentato

Ora, a quasi 28 anni dall'attentato, non uno degli iraniani è stato condannato dopo quattro processi giudiziari separati e fondamentalmente viziati in Argentina, mentre Alberto Nisman, il coraggioso procuratore federale argentino che negli anni dopo l'attentato aveva smascherato la collusione del proprio governo con Teheran, è stato assassinato nel gennaio 2015. Rezaei, ad ogni modo, continua a viaggiare per il mondo come rappresentante della teocrazia iraniana che ha servito fedelmente nel corso della sua carriera. In effetti, l'attentato all'AMIA era stato il frutto di una sua elaborazione; nell'estate del 1993, quando prestava servizio come comandante del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC), avrebbe partecipato a una riunione dei leader iraniani nella città di Mashhad. Fu proprio in quell'incontro, alla guida del defunto ex Presidente iraniano Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, che venne discussa e approvata la decisione di fare l’attentato contro l'edificio dell'AMIA. Dei sei terroristi dell'AMIA diventati oggetto di “Codici rossi” dell'Interpol - un risultato che può essere in gran parte attribuito a Nisman - solo uno è morto: Imad Mughniyeh, il comandante di Hezbollah ucciso da un'autobomba in Siria nel 2008. Insieme a Rezaei è latitante, e a suo nome è stato emesso un “Codice rosso” per l’attentato AMIA, anche il Ministro dell'Interno Ahmad Vahidi. E a sussurrare quotidianamente all'orecchio del Leader Supremo, l'Ayatollah Ali Khamenei, è il suo consigliere senior, Ali Akbar Velayati. Al momento dell'attentato all'AMIA, Velayati era il Ministro degli Esteri iraniano, ed è stato in tale veste che aveva anche partecipato alla riunione del 1993 a Mashhad. Nel 2006, un giudice federale argentino ha emesso un mandato d'arresto per Velayati in relazione all'attentato all'AMIA.

Quando Velayati nel 2018 si recò a Mosca per colloqui con i leader, incluso il Presidente russo Vladimir Putin, il governo argentino aveva implorato i russi, ovviamente senza alcun risultato, di arrestarlo ed estradarlo per il processo a Buenos Aires. Come per Rezaei a Managua, il viaggio di Velayati a Mosca e il suo successivo ritorno senza ostacoli a Teheran è stata un'ulteriore dimostrazione della spavalda convinzione del regime iraniano che non sarà mai ritenuto responsabile del massacro dell'AMIA. Tuttavia, finché i latitanti dell'AMIA sono vivi, dovrebbero essere attivamente braccati dalle forze dell'ordine e dalle agenzie di intelligence. I funzionari di quei Paesi che accolgono come ospiti d'onore Rezaei, Vahidi, Velayati e altri iraniani con comprovati legami terroristici dovrebbero essere soggetti a sanzioni diplomatiche ed economiche, così come le Società nicaraguensi e cubane che riceveranno assistenza iraniana nell'ambito dello "sviluppo economico" portato avanti dalla missione di Rezaei.

La presenza di Rezaei in Nicaragua è anche un'occasione per esprimere ancora una volta preoccupazione per l'alleanza tra l’Iran e l'estrema sinistra in America Latina. Come simboleggiato dalla “storia d’ amicizia” di più di un decennio fa tra l'ex Presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e il defunto caudillo venezuelano Hugo Chávez, la relazione è strettamente legata all'ideologia antiamericana e antisemita, ma ha conseguenze nel mondo reale. Tra queste, ci sono la presenza delle cellule terroristiche di Hezbollah in America Latina e la collaborazione tra Iran, Venezuela e Cuba nel tentativo di aggirare le sanzioni occidentali. Soprattutto, la relazione mette in luce la natura maligna di un blocco di nazioni antidemocratiche, che si lamentano a gran voce di presunte violazioni della loro sovranità mentre nel contempo promuovono il terrorismo e l'instabilità al di fuori dei loro confini, e una repressione terribile al loro interno. Durante l'ultimo anno, l'Iran, assieme a Venezuela, Cuba e Nicaragua, è stato il luogo di proteste di massa di cittadini disamorati che sono stati brutalmente schiacciati dalle autorità. Questo è lo schema ormai da molti anni, e i leader di questi Paesi provano comprensibilmente un certo grado di soddisfazione per il fatto che un cambio di regime - sia per intervento esterno, sia per rivoluzione interna o una combinazione di questi - sia rimasto inattuabile. Ma se Rezaei, Vahidi o uno qualsiasi degli altri sospetti fosse arrestato ed estradato la prossima volta che si recasse all'estero, ciò almeno invierebbe un tempestivo monito ai mullah che non sono intoccabili. Basta solo che una delle nazioni sulla traiettoria di volo di un jet del governo iraniano lo costringa ad atterrare. Chi ne avrà il coraggio?

Ben Cohen Writer - JNS.org
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate

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