Capodanno a Milano: violenze e integrazione Commento di Lorenzo Vidino
Testata: La Repubblica Data: 14 gennaio 2022 Pagina: 26 Autore: Lorenzo Vidino Titolo: «Il fattore integrazione»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 14/01/2022, a pag.26, con il titolo "Il fattore integrazione" l'analisi di Lorenzo Vidino.
Lorenzo Vidino
Gli eventi della notte di Capodanno in Piazza Duomo a Milano oltraggiano ma preoccupano in maniera particolare se debitamente contestualizzati. Colpisce il fatto che, se a Colonia nel 2016 ad aggredire inermi ragazze erano stati perlopiù immigrati appena arrivati in Germania, a Milano gli indagati sono in maggioranza ragazzi di origine nordafricana ma nati o perlomeno cresciuti nel nostro Paese, sociologicamente italianissimi. Prova che, se in molti casi l’integrazione funziona, esistono sacche di disagio personale e/o sociale tra le seconde generazioni in cui fa presa una sottocultura che sposa, spesso in maniera confusa, identità arabo/islamica, mitizzazione della criminalità e machismo. Dinamiche già viste da anni in Paesi europei che hanno vissuto il fenomeno migratorio ben prima di noi. Il governo francese, per esempio, mantiene una lista di circa 700 Zones urbaines sensibles, aree dove il controllo delle istituzioni è debole, il tasso di criminalità è alto, quelli di scolarizzazione e occupazione bassi. Ma ciò che rende queste zone particolarmente preoccupanti è la presenza diffusa di modelli culturali quali la cultura gangsta-rap e il fondamentalismo islamista con valori diversi se non diametralmente opposti a quelli della République. Una parte dei giovani residenti in queste zone adotta due identità, quella arabo-islamica e quella di residente della specifica banlieue, vedendo il resto del Paese — la polizia, la scuola, i francesi del centro città — come nemici da cacciare dal proprio territorio e umiliare. Una dinamica tribale e violenta che Macron e l’opinione pubblica francese vedono come uno dei maggiori problemi del Paese. Per anni si è detto che queste problematiche non ci riguardavano. Se è vero che siamo lontanissimi dalle dinamiche francesi, si cominciano a osservare anche da noi episodi preoccupanti. Sempre a Milano, in zona San Siro, lo scorso aprile 300 giovani assaltarono al grido di “fuori dalle nostre zone” la polizia mentre il rapper di origine marocchina Neima Ezza girava un suo video. Ezza è uno dei rapper italiani di seconda generazione che si ispira al rap francese — basta vedere il video di Offline, dove il testo “Macchine blindate, vetri oscurati, Osama Bin Laden, arabi e shqiptare (albanesi)” è accompagnato da immagini di una gang che, incappucciata, impugna armi automatiche, guida auto di lusso e compie una rapina per le vie di San Siro. Solo un esempio di una sottocultura che glorifica violenza, prevaricazione, criminalità e un orgoglio per le origini di per sé non problematico se non fosse spesso espresso in maniera antagonistica. Certo, la maggior parte dei quindicenni che ascoltano questo tipo di musica o si atteggiano da boss mimando i gesti di rapper delle periferie americane si limitano a postare video su TikTok. Ma non stupisce che da questo mondo escano baby gang come quella che nel 2017 portò lo scompiglio in piazza San Carlo a Torino e causò un morto e vari feriti tra la folla accalcata a vedere la finale di Champions o i ragazzi che hanno compiuto le molestie di Capodanno. O che rappasse, col nome di McKhalif, Anas El Abboubi, ragazzo marocchino residente nel bresciano che fu tra i primi foreign fighters italiani a combattere in Siria. Il problema è delicato e si presta a facili generalizzazioni ( in primis sul rap, mentre in realtà molti rapper di seconda generazione lanciano messaggi positivi di integrazione e convivenza) e strumentalizzazioni politiche. Ma l’esperienza della Francia e altri Paesi europei ci mostra chiaramente che trascurarlo per buonismo o per evitare strumentali accuse di razzismo non è una scelta oculata. A Milano la Questura sta operando bene, monitorando il fenomeno e agendo con Daspo urbani mirati. Ma è chiaro che urgono interventi di lungo respiro, basati su integrazione e senso civico e che coinvolgano sempre più il mondo della scuola, le comunità e il volontariato. Ed è altresì chiaro che il problema non è solo di Milano ma di tanti centri urbani, anche ben più piccoli.
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