Riprendiamo da LIBERO di oggi, 11/01/2022 a pag.17, con il titolo 'L'Occidente non tolleri più il velo islamico alle bimbe', il commento di Mauro Zanon.
Mauro Zanon
Tutto è iniziato il 20 dicembre scorso, quando sul Canadian Medical Association Journal (Cmaj), prestigiosa pubblicazione medico-scientifica canadese abituata a presentare e a discutere i risultati delle ricerche nel campo sanitario, il dottor Sherif Emil dell'ospedale pediatrico di Montreal ha denunciato l'utilizzo di una foto che raffigura due bambine, una delle quali indossa un hijab, per accompagnare un articolo sui legami tra relazioni sociali e salute generale. Il medico, nel suo articolo, ha scritto che rispetta la scelta delle donne che indossano l'hijab, il velo islamico che lascia scoperto soltanto l'ovale del viso, criticando tuttavia ciò che esso rappresenta e che i progressisti fanno finta di non sapere. «il rispetto non deve alterare il fatto che l'hijab, il niqab e il burqa sono anche degli strumenti di oppressione per milioni di bambine e donne nel mondo, che non hanno la possibilità di scegliere», ha affermato il pediatra nella lettera aperta, facendo il parallelo con il ritorno al potere dei talebani in Afghanistan. Parole di buon senso, che fotografano una realtà sotto gli occhi di tutti, quella di migliaia di bambine costrette a indossare il velo: ma non per il Canada politically correct di Justin Trudeau. La pubblicazione della lettera del dottor Sherif Emil ha infatti suscitato un'ondata di indignazione, che ha coinvolto la sinistra progressista canadese e le principali associazioni musulmane: a partire dal Consiglio nazionale dei musulmani canadesi. Quest'ultimo si è detto disgustato dal fatto che il Canadian Medical Association Journal abbia messo le sue pagine a disposizione di un «islamofobo». Alcune persone, hanno denunciato gli «stereotipi» contenuti nel testo e la «complicità del Cmaj», accusato di propagare «l'islamofobia» e la «misoginia».
INTIMIDAZIONE Dinanzi alla polemica e al clima di intimidazione, il Cmaj ha deciso di ritirare la lettera aperta, e la direttrice, Kirsten L. Patrick, si è genuflessa. «Porgo le mie scuse sincere per il male considerevole che tante persone, compresi alcuni colleghi del mondo della medicina e alcuni studenti, hanno subito leggendo questa lettera» ha scritto la direttrice, dicendo di assumersi «tutta la responsabilità per la svista nel processo editoriale che ha portato a questo errore». Il passo indietro della rivista e le accuse violente ai danni del dottor Sherif Emil, tuttavia, hanno suscitato un'indignazione anche nell'altro senso: di più, una vera e propria campagna virale lanciata da alcune donne di cultura musulmana, che in Occidente hanno trovato la libertà, e non tollerano la sua sottomissione all'islam politico.
CAMPAGNA SOCIAL Le iniziatrici della campagna social, intitolata #LetUsTalk #LaissezNousParler, si chiamano Yasmine Mohammed, autrice del libro "Unveiled: How Western Liberals Empower Radical Islam", un j'accuse contro i liberal occidentali compiacenti verso l'islam più estremo, e Masih Alinejab, giornalista e militante politica americana di origini iraniane. Entrambe denunciano un Occidente che non riconoscono più, che ha perso la testa e le accusa di diffondere l'islamofobia quando raccontano la loro storia di donne nate in Medio Oriente e sottomesse all'ideologia islamista quando erano bambine. Su Twitter, nei loro rispettivi profili, Yasmine Mohammed e Masih Alinejab hanno postato una foto di quando erano piccole ed erano coperte dall'hijab, un velo che non avevano scelto di indossare (come denuncia il pediatra Sherif Emil nella sua lettera aperta), ma che era stato imposto ad entrambe, pena l'allontanamento da scuola, le percosse, l'umiliazione, o peggio la prigione. Accanto, hanno messo una loro foto da donne libere, che hanno sposato i valori occidentali. «L'esempio del trattamento subìto dal dottor Sherif Emil per aver denunciato alcune pratiche religiose sessiste mette in evidenza l'importanza di assicurarsi che la critica delle religioni sia ancora permessa in Canada e non sia considerata come una forma di razzismo o come un crimine odioso. La critica delle pratiche religiose sessiste è indispensabile per il progresso dei diritti delle donne e il rispetto dell'uguaglianza tra i sessi in Canada», ha scritto il Journal de Montréal. Ma nel Canada di Justin Trudeau è tutt'altro che scontato.
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