Il silenzio delle femministe Commento di Fiamma Nirenstein
Testata: Il Giornale Data: 09 gennaio 2022 Pagina: 1 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Le femministe e i loro silenzi indecenti»
Riprendiamo dal GIORNALE online di oggi, 09/01/2022, l'analisi di Fiamma Nirensteindal titolo "Le femministe e i loro silenzi indecenti".
Fiamma Nirenstein
É più che fastidioso l'imbarazzo con cui si discute dell'aggressione sessuale, disgustosa e feroce di cui sono state oggetto cinque ragazze, di cui due di diciassette anni. Le abbiamo viste terrorizzate, piangenti, da una folla di mani e di urla minacciose che le sospingevano nei tempi e nel ruolo della donna delle caverne, aggredita e vilipesa solo perché osa, la notte di Capodanno, affacciarsi al mondo del 2023. Si percepisce nella cautela dei politici, dei movimenti femministi, della magistratura, qualcosa che somiglia alla paura. Non si vorrà mica dire, sembra suggerire la cautela, poichè quei violenti aggressori urlanti almeno in parte, secondo i video e i testimoni, parlano arabo, che si è islamofobici? Che non si tiene in adeguata considerazione che la violenza contro le donne è una malattia universale, che il maschilismo sessuomane e aggressivo è proprio anche della nostra storia? No, non è affatto così. Ma non ci può essere selettività concettuale nel condannare la violenza contro le donne, il nostro movimento femminista non è affatto richiesto di dimenticare la violenza del maschio occidentale quando affronta quello delle masse immigrate, specie di seconda generazione. Lo sappiamo: viviamo in una società talmente sessista e violenta che solo nel 1981 il delitto d'onore veniva parificato agli altri, mentre fino ad allora le sue motivazioni garantivano a un italiano una pena di 2-3 anni per un reato che in altri campi ne comminava al minimo 21. Conosco le statistiche nostrane della violenza contro le donne. Il movimento femminista, nella sua seconda fase, conobbe i "rape crisis centers", occupava i tribunali: adesso il suo modus operandi è cambiato, l'intersezionalità del "me too", per cui si marcia con altri movimenti come "black lives matter" o i gruppi antimperialiste o antimilitari e questo diventa sostitutivo dello scopo principale alla ricerca di un mondo senza oppressi e oppressori. Salvare le donne dalla violenza maschilista, sembra perdere la sua centralità anche se è molto attiva la campagna contro il femminicidio. Ma la cronaca preme, Colonia è accaduta l'altro ieri, Saman Abbas la povera ragazza pakistana uccisa dallo zio a luglio, incombe sulla nostra memoria, come la Primavera Araba al Cairo, quando la giornalista del CBS Lara Lagan fu violentata in piazza da una turba. Sarà una sconfitta storica per il femminismo se non si concentrerà su come finalmente affrontare la novità ormai immanente geograficamente della misoginia islamica, di cui si occupano Fouad Ajami, il grande storico libanese, Bernard Lewis, il maggiore storico dell'Islam, Ayaan Hirsi Ali, che quasi fu uccisa con Theo Van Gogh nel 2004 quando lavorava a un film su questo tema. Il tema è nobile e importante, e non si fa certo un regalo a quei ragazzi scatenati in piazza se li si lascia liberi di colpire ancora. Oggi Ayaan, musulmana, è la leader di un movimento coraggioso che indaga come combattere la questione fondamentale di ragazzi che vengono da un mondo poligamico, separatista, dove la donna è ancora in parte sconosciuta come essere umano, e vista come oggetto sessuale, sposata a 12 anni, battuta e violentata dal marito, reclusa. Per carità, sappiamo che molti movimenti, organizzazioni, politici, si battono per superare questo problema, che molti Paesi islamici ne promuovono le libere scelte. Hanno tutta la nostra ammirazione. Ma il problema esiste. Qui, il silenzio è assordante, ed è una ferita che non siano le donne per prime a dire che si deve affrontare con determinazione e con le leggi alla mano il fatto che in un mondo globalizzato giungano in grandi numeri da noi culture per cui la condizione della donna è inferiore, a volte perseguitata e vituperata come in Afghanistan o a Gaza, o in Iran. Secondo statistiche degli uffici arabi dell'ONU il 37 per cento è sottoposta a violenze, 4 su 10 vengono uccise in famiglia. La donna è sottoposta, in tribunale vale la metà, il suo abbigliamento è codificato per nascondere il corpo, l'obbedienza è il suo destino: è chiaro che tutto è uno schermo che rende l'immagine di una nostra ragazza di 17 anni appannata e incompresa, e suscita quel raptus che abbiamo visto a Milano. E qui, la difesa della donna, della nostra donna emancipata e femminista, deve essere d'acciaio.
Per inviare al Giornale la propria opinione, telefonare: 02/85661, oppure cliccare sulla e-mail sottostante