Abu Mazen un giorno incontra Gantz, il giorno dopo calunnia Israele Analisi di Herb Keinon
Testata: israele.net Data: 08 gennaio 2022 Pagina: 1 Autore: Herb Keinon Titolo: «Abu Mazen un giorno incontra Gantz, il giorno dopo calunnia Israele»
Abu Mazen un giorno incontra Gantz, il giorno dopo calunnia Israele
Analisi di Herb Keinon
Herb Keinon
Abu Mazen - Benny Gantz
Il ministro israeliano della difesa Benny Gantz ha ospitato martedì sera nella sua casa di Rosh Ha’ayin il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen in un incontro per cui è stato aspramente criticato dalla destra, compresi ministri di destra all’interno del suo stesso governo. Le critiche andavano dalla rabbia per il fatto che Gantz ha ospitato un uomo che paga stipendi ai terroristi condannati da tribunali israeliani, all’accusa di voler “resuscitare Oslo” ridando centralità ad Abu Mazen in un momento in cui gran parte del mondo si stava finalmente rendendo conto che Abu Mazen e l’Autorità Palestinese possono poco o nulla. La risposta di Gantz è stata twittare una frase che ricorda molto quelle di Yitzhak Rabin durante il periodo del processo di pace di Oslo: “Solo chi ha la responsabilità di mandare soldati in battaglia sa quanto sia profonda la responsabilità di impedirlo”. Dopo l’incontro, Gantz ha annunciato una serie di misure volte a rafforzare la fiducia. Tra le altre, un anticipo di 100 milioni di shekel sui trasferimenti delle tasse riscosse da Israele per conto dell’Autorità Palestinese, la regolarizzazione dello status anagrafico di 9.500 palestinesi e stranieri che si trovano in Cisgiordania e Gaza privi di documenti, l’emissione di altri 1.100 permessi d’ingresso per uomini d’affari palestinesi. L’obiettivo era evidentemente quello di segnalare ai palestinesi che Israele è interessato a costruire relazioni su basi migliori, un obiettivo ragionevole considerando l’aumentare delle tensioni sia in Giudea e Samaria che dalla striscia di Gaza. Ma ogni speranza che l’Autorità Palestinese ricambiasse queste misure di buona volontà con qualche gesto di buona volontà – magari attenuando un po’ la stridula retorica anti-israeliana che trabocca incessantemente dai rappresentanti dell’Autorità Palestinese – è stata infranta venerdì quando Abu Mazen ha pronunciato il suo annuale discorso in occasione del 57esimo anniversario del primo attentato di Fatah contro Israele. Quell’attentato, sia detto per inciso, si verificò quando i terroristi tentarono di far saltare l’Acquedotto Nazionale israeliano il primo gennaio 1965. La data è significativa giacché risale a quasi due anni e mezzo prima della guerra dei sei giorni, quella con cui Israele assunse il controllo di Giudea, Samaria, Gerusalemme est, striscia di Gaza, le alture del Golan e il Sinai (poi restituito all’Egitto ndr). Se la violenza palestinese, come viene spesso affermato davanti al resto del mondo, mira “soltanto” a indurre Israele a ritirarsi sulle linee precedenti il 1967, perché mai più di due anni prima Fatah cercava di mettere in ginocchio Israele sabotando il suo vitale acquedotto nazionale? E perché mai l’anniversario di quell’attentato è oggi motivo di celebrazioni e festeggiamenti? Ma quello che si intende discutere qui non è la motivazione del discorso di Abu Mazen, bensì il fatto che, in quel discorso, le sue prime parole pubbliche dopo che aveva incontrato Gantz sono state tutt’altro che concilianti. Al contrario, Abu Mazen si è lanciato in una tirata con cui ha accusato Israele di attuare “orribili politiche di pulizia etnica e di terrorismo organizzato” contro i palestinesi. “L’anniversario dell’avvio della nostra rivoluzione – ha tuonato il presidente palestinese – arriva in circostanze estremamente critiche e difficili a causa della continuazione dell’orrenda occupazione israeliana, dell’escalation delle sue pratiche repressive e della persecuzione contro il nostro popolo, del furto della nostra terra e delle risorse naturali, del soffocamento della nostra economia, del sequestro dei nostri fondi fiscali e della discriminazione razziale”. Se è così che ha parlato Abu Mazen dopo aver incontrato Gantz per un paio d’ore e aver ricevuto diverse concrete misure per rafforzare la fiducia, c’è da chiedersi cosa avrebbe detto se non si fossero nemmeno incontrati. La risposta è: il discorso sarebbe stato uguale. E proprio questo è il problema. L’incontro e i successivi gesti israeliani non hanno avuto alcun impatto sulla retorica di Abu Mazen. Il che dà agli israeliani che erano contrari all’incontro, e agli israeliani critici verso le misure di fiducia adottate a favore di Abu Mazen, un motivo per chiedere: se nulla serve a modificare i toni di Abu Mazen, allora che senso ha fare quei gesti? Certo, c’è un contesto che spiega l’ennesima invettiva di Abu Mazen. Per quanto Gantz sia stato criticato in Israele, molto più duramente è stato attaccato Abu Mazen dai palestinesi per il crimine d’aver incontrato il ministro della difesa israeliano. E le critiche non sono giunte solo dai suoi ovvi nemici, Hamas e Jihad Islamica Palestinese. Le dure parole di Abu Mazen di venerdì sera avevano lo scopo di dimostrare che non sta strisciando per tornare al tavolo dei negoziati con Israele, come invece sostengono i suoi detrattori, e che non è il lacchè di Gantz. Abu Mazen non è nato ieri e ovviamente sapeva bene che il suo incontro con Gantz avrebbe scatenato reazioni furibonde nelle piazze palestinesi. Allora perché non incontrarsi in segreto? Un incontro segreto avrebbe probabilmente prodotto gli stessi risultati e probabilmente avrebbe ricevuto gli stessi gesti da Gantz. Il motivo è che, sebbene l’incontro con Gantz non aiuti la sua crescente impopolarità fra i palestinesi, tuttavia lo aiuta con il resto del mondo. Gli Stati Uniti, l’Unione Europea, le Nazioni Unite e svariati paesi hanno subito elogiato l’incontro, facendo capire che sperano che possa dare slancio a qualcosa di ulteriore. Essere considerato costruttivo sulla scena mondiale torna molto utile ad Abu Mazen, che punta sempre a una conferenza di pace internazionale. Per Abu Mazen, quindi, l’incontro con Gantz è servito a dare al mondo ciò che il mondo voleva vedere. E sicuramente sapeva che, mentre l’incontro con Gantz avrebbe catturato i titoli dei mass-media, il suo discorso con cui, un paio di giorni dopo, a capodanno, ha attaccato violentemente Israele non avrebbe attirato praticamente nessuna attenzione internazionale. Supposizione probabilmente corretta. Ma Abu Mazen sbaglia a trattare l’opinione israeliana come se non contasse nulla, cosa che ha già fatto ripetutamente in passato. Abu Mazen non sembra mai rendersi conto che qualsiasi processo diplomatico con Israele ha bisogno del sostegno della popolazione israeliana e che parole come quelle che ha pronunciato venerdì non fanno che allontanarla. Se Abu Mazen, o chiunque gli succederà, vorrà davvero arrivare a un accordo con Israele, alla fine dovrà conquistare il grosso dell’opinione pubblica israeliana. Un ottimo modo per non farlo è accusare Israele di praticare “terrorismo organizzato” e “pulizia etnica” appena due giorni dopo aver incontrato Gantz e aver portato a casa diverse misure volte a migliorare le vita concreta dei palestinesi.