Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 03/01/2022 a pag.II, con il titolo "Censura e settarismo all'università. E se protesti ti chiamano fascista", l'analisi tratta da Valeurs Actuelles.
Charlotte d'Ornellas
Trentacinque anni di insegnamento pacifico, poi il cataclisma - scrive Charlotte d'Ornellas - Klaus Kinzler ha messo in discussione la pertinenza scientifica del termine "islamofobia", ed eccolo accusato di islamofobia. Ma anche di fascismo, certo. Prima di lui, Sylviane Agacinski, Alain Finkielkraut, François Hollande (!) si erano visti rifiutare l'accesso all'università da parte di alcuni studenti poco interessati a confrontarsi con il contraddittorio. Pièce teatrali annullate, conferenze ostacolate, professori allontanati... La censura non è una novità. La decapitazione di Samuel Paty ha risvegliato alcune coscienze assopite: il professore, questa volta, ha potuto contare su alcune manifestazioni di sostegno pubbliche. Ma altri continuano a negare. Jean Sévillia, dal canto suo, non è affatto sorpreso, lui che vent'anni fa ha messo la firma su un libro intitolato "Le Terrorisme intellectuel"... Oggi, pur tenendosi a distanza dal mondo accademico, rievoca i suoi anni universitari: "La variante è l'ideologia dominante, l'invariante risiede nei metodi impiegati per difenderla". All'epoca, gli scontri fisici erano quasi all'ordine del giorno nel Quartiere latino e i tentativi di ostracismo onnipresenti.
Klaus Kinzler
"Si ritrovano i vecchi metodi efficaci dell'antifascismo: menzogna, amalgama, demonizzazione e stigmatizzazione", spiega il giornalista. Stalinismo, terzomondismo, marxismo, antirazzismo, europeismo... I temi cambiano ma chiunque si opponga è dichiarato fascista. Sévillia, tuttavia, sottolinea l'esistenza di una grande differenza: "All'epoca, il professore poteva chiedere allo studente con lo stampino fascista di sviluppare i suoi argomenti nell'anfiteatro". Gli studenti, all'epoca, leggevano, e il dibattito era ancora possibile. Un salto in avanti e ci si ritrova nell'università ultraprogressista di Evergreen, negli Stati Uniti. Nel frattempo, la French theory è stata esportata oltreoceano. E' in questo campus che il professore Bret Weinstein ha tentato di opporsi a che si tenesse una giornata vietata agli studenti bianchi. Un'azione giudicata sufficiente da parte degli studenti per spingerlo verso l'uscita, senza altre forme di processo. L'insegnante ha tentato di ricordare che aveva "sempre voluto parlare del razzismo, studiarlo", ma gli studenti non hanno atteso la fine della frase per chiudere il dibattito: "Non c'è bisogno di studiarlo, il razzismo si vive".
I nuovi rivoluzionari non fanno nemmeno più finta di dibattere, si ammantano di una vittimizzazione ampiamente immaginaria per consacrare l'inutilità della conoscenza. Dibattere significa già accordare un punto al proprio avversario. Ci si potrebbe rassicurare accusando gli Stati Uniti... poi però sentiamo parlare Geoffroy de Lagasnerie. Filosofo e sociologo, l'autoproclamato erede - molto francese - di Pierre Bourdieu, Deleuze e Derrida è ai microfoni di France Inter quando espone con grande serenità il suo pensiero: "L'obiettivo della sinistra è produrre delle fratture, delle persone intollerabili e dei dibattiti intollerabili nel mondo sociale (...). Sono contro il paradigma del dibattito", esordisce il giovane professore. E insiste: "Rivendico totalmente il fatto che bisogna riprodurre un certo numero di censure nello spazio pubblico per ripristinare uno spazio dove le opinioni giuste prendano il sopravvento sulle opinioni sbagliate". Chi sarà allora incaricato di discriminare ciò che è giusto da ciò che è sbagliato? Lagasnerie rifiuta che sia la legge ad incaricarsene, preferisce "l'analisi sociologica". Tali dichiarazioni non provocano l'indignazione degli studenti, e ancor meno dei professori. Eppure, è proprio questa "analisi sociologica" che preoccupa per il suo settarismo inversamente proporzionale alla sua esigenza accademica. Quando la ministra dell'Università, Frédérique Vidal, osa evocare la penetrazione dell"`islamogoscismo" nelle università, la reazione è immediata: lettere aperte dei presidenti delle università, appelli alle dimissioni, indignazione del Centro nazionale per la ricerca scientifica... Per quale motivo? L'assenza di basi scientifiche del termine. Silenzio, invece, quando i ricercatori abusano dei concetti di islamofobia, di privilegio bianco o di violenze di genere. E per una ragione ben precisa: alcuni lavori universitari legittimano ormai i concetti generati dai cultural studies americani, più militanti che accademici (...). Il sociologo e filosofo Renée Fregosi ha recentemente dichiarato sul FigaroVox che "è più importante garantire il pluralismo degli approcci teorici e dei metodi di analisi". La posta in gioco? Non solo proteggere, ma anche ristabilire la libertà accademica. In assenza della quale saranno sguainate all'infinito le accuse di omofobia, di xenofobia, di transfobia, di razzismo e di fascismo per impedire ogni sorta di dibattito... e trionferebbe veramente il totalitarismo della stupidità.
(Traduzione di Mauro Zanon)
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