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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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La Repubblica Rassegna Stampa
27.12.2021 Quando i nemici si parlano
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 27 dicembre 2021
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Quando i nemici si parlano»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 27/12/2021, a pag. 1, con il titolo "Quando i nemici si parlano", l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.

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Maurizio Molinari

Chi è Abdel Fattah al Sisi: il generale leader dell'Egitto
Abdel Fattah Al Sisi

Ovvero di quello che era fino a quel momento il suo maggior avversario regionale. Dal 2011 Ankara e Abu Dhabi erano sugli opposti fronti perché la prima sosteneva e la seconda temeva le primavere arabe come strumento di affermazione dell’Islam politico, ovvero dei Fratelli musulmani. Si è trattato di uno scontro feroce costellato di guerre civili e crisi economiche, dalla Libia alla Siria fino al Golfo, con in palio nientemeno che la leadership dell’Islam sunnita ma il passo indietro di Washington a Kabul ha convinto entrambi che era il momento di seppellire l’ascia di guerra per tentare di creare, da soli, nuovi equilibri regionali. Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, si è così recato a metà dicembre a Dubai siglando una raffica di accordi commerciali il cui significato è anzitutto politico: il feroce duello inter-sunnita lascia spazio a una inedita cooperazione che può avere impatti notevoli, dal conflitto in Libia — dove Ankara appoggia Tripoli e Abu Dhabi sostiene Bengasi — fino agli equilibri in Africa e Asia Centrale, perché l’intesa turco-emiratina può schiudere nuovi orizzonti di sviluppo. L’altro grande avversario di Erdogan in Medio Oriente era fino a poco tempo fa l’Egitto di Abdel Fattah Al Sisi — i due Paesi hanno rotto le relazioni diplomatiche nel 2013 dopo le dure critiche di Ankara al rovesciamento del presidente Mohamed Morsi, sostenuto dai Fratelli Musulmani — ma anche qui l’intensificazione dei commerci, sulla base del trattato bilaterale di libero-commercio del 2005 mai sospeso, porta Ankara a ipotizzare con Il Cairo “passi verso la normalizzazione” come un patto marittimo nel Mediterraneo Orientale e perfino un “summit regionale” per armonizzare le dispute più aspre: quelle sull’energia che oppongono la Turchia a un fronte di rivali composto da Egitto, Grecia, Cipro e Israele. Ma non è tutto perché nel Golfo, gli Emirati di Sheikh Mohammed bin Zayed (Mbz) sono protagonisti di un’accelerazione degli “Accordi di Abramo” con Israele e al tempo stesso di uno scongelamento di rapporti con l’Iran degli ayatollah, considerato negli ultimi anni una pericolosa minaccia. Il consigliere per la sicurezza degli Emirati si è così recato a metà dicembre a Teheran per incontrare il presidente Ebrahim Raisi per discutere di conflitti in corso — come lo Yemen — e intese marittime, negli stessi giorni in cui Abu Dhabi riceveva con tutti gli onori Naftali Bennett, primo ministro di Israele, puntando ad accelerare un trattato di libero scambio israelo-emiratino che potrebbe essere siglato già nei primi mesi del nuovo anno. «Gli Emirati sanno manovrare con abilità fra Gerusalemme, Teheran, Riad e Washington — spiega un veterano delle feluche del Golfo — perché tutti sono al corrente di quanto avviene con gli altri, e non ci sono malintesi». Si spiega così anche l’accordo siglato in novembre fra Emirati, Israele e Giordania sulla difesa del clima: un’azienda emiratina costruirà un grande impianto di energia solare in Giordania che avrà come maggiore cliente lo Stato ebraico che, a sua volta, fornirà ogni anno 200 milioni di metri cubi d’acqua desalinizzata alla Giordania. Si tratta di un progetto che nasce dalla “EcoPeace Middle East”, una Ong israelo-giordano-palestinese intenzionata a coinvolgere anche l’Autorità nazionale palestinese nello sviluppo regionale di energie pulite. C’è una schiarita anche nei rapporti fra Israele e Turchia, e ciò spiega forse perché il ministro degli Esteri Yair Lapid propone su Gaza un patto “economia in cambio di sicurezza” che va incontro alle richieste di Doha e Ankara per accelerare lo sviluppo della Striscia.

Il Qatar, partner privilegiato di Turchia e Iran, ha stretto un’intesa con Israele grazie alla quale sostiene finanziariamente i costi dell’amministrazione a Gaza — dove a governare è Hamas — confermando il ruolo di ponte fra avversari evidenziato dalla mediazione svolta fra Usa e taleban sul ritiro dall’Afghanistan. Non a caso Turchia e Qatar potrebbero presto assumere la gestione di cinque aeroporti afghani, che i taleban non riescono a operare. E ancora: Mohammed Bin Salman, il principe ereditario saudita accusato di essere il mandante del brutale assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, è stato in visita in sei Emirati del Golfo nel tentativo evidente di tornare sulla scena internazionale. È difficile prevedere quali e quante di queste iniziative avranno seguito reale in Medio Oriente ma possono esserci pochi dubbi sul fatto che l’intera regione è in rapido movimento. Anche perché si parlano perfino gli acerrimi nemici: Iran e Arabia Saudita. Inviati dei grandi rivali del Golfo si sono incontrati infatti prima a Baghdad, in autunno, e poi ad Amman, nei giorni scorsi, dando vita a un “dialogo sulla sicurezza” in un’atmosfera di “mutuo rispetto” che non ha precedenti da quando, nel 2016, Riad e Teheran ruppero le relazioni diplomatiche innescando una spirale di ostilità che ha portato un nugolo di droni iraniani ad attaccare nel 2019 il centro petrolifero di Aramco ad Abqaiq-Khurais. Ciò non significa che i conflitti siano sopiti — come dimostrano la sanguinosa guerra civile in Yemen, il difficile negoziato sul programma nucleare iraniano, la fragilità del Libano e le continue violenze in Siria — ma la novità è che ora coesistono con una stagione di dialogo fra avversari capace di innescare novità imprevedibili. È uno scenario in continuo movimento che ripropone l’identità di un Medio Oriente dove gli avversari alternano conflitti e convivenza sulla base delle mutevoli circostanze. È uno scenario che offre all’Italia — come ad altri Paesi europei — l’opportunità di esserne parte, a patto di assumere iniziative capaci di far coincidere quanto matura sul terreno con i nostri interessi nazionali: promuovere stabilità e sicurezza per creare aree di prosperità e sviluppo lì dove prolificano i conflitti.

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