Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 27/12/2021, a pag. 17, l'analisi di Fiamma Nirenstein dal titolo "Da trincea a nuovo Eden, Israele vuol raddoppiare gli abitanti del Golan".
A destra: Naftali Bennett
In Israele il Golan, neppure a sinistra della mappa politica, è immaginato come un "insediamento", o si pensa ai suoi abitanti come "coloni" o "settler": neanche chi pensa che il futuro del Paese preveda la separazione dai "territori occupati" immagina quell'angolo lassù come una zona straniera. É una terrazza di basalto e erba indispensabile per la difesa del Paese intero, senza il Golan ogni invasione dal nord, dove molti nemici, fino all'Iraq e all'Iran risiedono oltre la Siria, sarebbe molto più facile. E infatti di là sono passati diverse volte. Ed è anche ormai, quell'altipiano ventoso dove le mucche e le capre girano libere, un amatissimo spazio naturale da cui si ammira il lago di Tiberiade e su cui si visitano resti talmudici e si va per un assaggio dell'ormai famoso e perfezionato vino locale.
Dunque, il primo ministro Naftali Bennett (da ieri in isolamento perché sua figlia è stata trovata affetta da Corona) ha potuto tranquillamente presentare come una scelta collettiva dei tanti partiti che compongono il suo governo, dalla sua destra sionista fino al partito arabo di Ram, il piano da 317 milioni di dollari per il Golan, con cui si invita la popolazione a venire a vivere nella natura, promettendo case e infrastrutture migliori oltre che possibilità di lavoro. Sarà una pioggia di iniziative e di denaro che beneficerà anche i 23mila drusi che vivono secondo la loro religione, le loro abilità e il loro cibo su quelle alture, in parte sono affezionati a Israele mentre in parte mantengono fedeltà al mondo arabo. I palestinesi non hanno a che fare con questa vicenda, ma la parola "insediamenti" già mostra il suo potere ipnotico sull'opinione pubblica, mentre il consesso internazionale comincia già a essere investito dalle proteste del dittatore Bashar Assad che fida sul solito coro di biasimo anti-israeliano, per cui l'Unione Europea non poté fare a meno di protestare quando nel 1981 le alture furono annesse e poi gli USA ne riconobbero l'identità israeliana nel 2019. Fu Trump a compiere questa scelta, citando una "minilezione di storia" prima della decisione: di certo riguardava il fatto che tutti i Paesi mediorientali, compresa la Siria era state attribuite a varie dinastie, alcune dei quali recentissime, con un tratto di penna che toglieva alla meglio i vecchi coloni d'impiccio. Ma come non vedere che ha ragione Bennett quando dice, come ha fatto ieri, che per tutto il mondo è molto più tranquillizzante pensare alle alture civilizzate, produttive e verdeggianti che Israele garantisce piuttosto che a una aggressiva propaggine rocciosa siriana: là non c'è alcun dubbio, senza la presenza israeliana troverebbero subito posto avamposti armati degli hezbollah e missili iraniani.
Il Golan è stato occupato da Israele dal 1967, quando rispondendo all'attacco siriano per fiancheggiare l'Egitto coi carri armati e i bombardamenti aerei, Israele riuscì a salire sulle alture. Esse erano la rampa di un'aggressione continua, anche prima della guerra. Posso raccontarlo in prima persona, da ragazza nel kibbutz Neot Mordechai ai piedi del Golan dove mi trovavo, le incursioni erano quotidiane, gli aerei Mig spuntavano all'improvviso dalle alture, e durante la guerra del '67 lo scontro si svolse metro quadro per metro quadro. Se l'Iran fosse stato sulle alture, si può immaginare cosa sarebbe successo. Oggi, sul Golan sono previste due cittadine nuove, Assif e Matar, mentre a Katzrin, centro archeologico romano e ebraico si prevede impegno edilizio e di lavoro. Poco lontano a Gamla, che dà oggi il nome a un vino rinomato e dove nelle rocce circostanti nidificano, protetti dalle associazioni naturalistiche, aquile, falchi e avvoltoi si vedono i resti impressionanti di una città ebraica, grigi, interi, su una punta di montagna. Dalle mura si gettarono gli israeliti quando i romani stavano per conquistare la città. Oggi, questo non succederebbe più.
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