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La Repubblica Rassegna Stampa
22.12.2021 Caso Eitan: le accuse dello zio paterno al nonno
Nell'intervista scandalosa di Paolo Berizzi

Testata: La Repubblica
Data: 22 dicembre 2021
Pagina: 10
Autore: Paolo Berizzi
Titolo: «'Il nonno voleva influenzare i giudici. A Eitan serve tranquillità e ora è felice'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA del 21/12/2021, l'intervista di Paolo Berizzi dal titolo 'Il nonno voleva influenzare i giudici. A Eitan serve tranquillità e ora è felice'.

Or Nirko, lo zio paterno del piccolo Eitan Biran, descrive il nonno Shmuel Peleg come un "militare che tiene il bambino in un buco come fanno i terroristi di Hamas". L'intervistatore, Paolo Berizzi, non batte ciglio. Il risultato è un'intervista scandalosa. Ci stupiamo che nella redazione di Repubblica nessuno se ne sia accorto.

Ecco l'intervista:

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Paolo Berizzi


La famiglia Biran. L'unico sopravvissuto alla tragedia della funivia è Eitan, di 6 anni

Una «vita tranquilla», anzi, «normale», «come tutti i bambini della sua età, in anonimato, lontano dai riflettori. Questo vogliamo e chiediamo per Eitan, questo è fare il suo bene». Parla Or Nirko, lo zio paterno del piccolo Eitan Biran. Dopo 3 mesi «complicati e faticosi» passati in Israele insieme alla moglie Aya — la zia a cui il bambino di 6 anni è stato affidato dopo la morte dei genitori al Mottarone — , nella villetta di Rotta di Travacò in provincia di Pavia si è riformato il “vecchio” nucleo familiare: Or, Aya, Eitan rientrato in Italia il 3 dicembre su decisione dei giudici israeliani, e le due figlie di Or e Aya. Una, Emilia, ha la stessa età di Eitan, l’altra, Eleonora, un anno in più.

- Come va? «Bene, siamo felici. Si è ritornati alla vita di prima».

- Ha letto l’intervista di ieri su “Repubblica” di Shmuel Peleg (il nonno materno di Eitan indagato per avere sequestrato il bambino l’11 settembre, ndr)? «Sì, e non vorrei commentare. Sia mia moglie che io abbiamo sempre tenuto un profilo basso, per non alimentare l’attenzione mediatica. Eitan ha bisogno di tranquillità e di serenità, non di riflettori».

- Il nonno materno dice che non rifarebbe quello che ha fatto, che non sapeva ci fosse il divieto di espatrio per il bambino se non accompagnato da zia Aya. (sospiro, cenno tra l’amaro e l’ironico) «E che cosa doveva dire, che lo sequestrerebbe di nuovo?».

- Come vanno i rapporti tra voi e i Peleg? «Continuiamo ad avere linee ed atteggiamenti molto diversi. Loro hanno creato da subito un’attenzione mediatica incredibile: ancora prima del sequestro erano usciti pezzi anche su giornali internazionali. Non so, forse credevano, facendo uscire cose, di influenzare i giudici attraverso i mass media. Non a caso hanno ingaggiato dei super esperti di comunicazione. Per noi questa è una storia che doveva restare privata, e che invece qualcuno ha voluto far diventare pubblica».

- Vi sentite? «Comunicano con Aya. Vorrebbero sentire il bambino tutti i giorni. Ma un bambino di 6 anni — vale per ogni bambino di quell’età — se dovesse sentire tutti i giorni i nonni, impazzirebbe! Non si può pretendere una cosa così da un bambino, oltretutto già provato da tutto quello che è successo».

- Come sta Eitan? «Bene. L’informazione che non usa più il girello per muoversi gliela abbiamo data noi ai nonni materni. Eitan è tornato a scuola, alle Canossiane di Pavia, accolto dall’affetto di tutti: è stata una festa. Deve recuperare tante materie, ha perso un intero semestre e ha bisogno di pace. Il fatto di essere tornato a vivere dove viveva dal 23 maggio scorso lo fa stare bene».

- Oltre al resto, il nonno Peleg ha detto che Eitan è un bambino israeliano, ebreo, che ha le sue radici in Israele. Insomma: che per lui sarebbe meglio se stesse in Israele. «La maggior parte degli ebrei vive in giro nel mondo. Sul resto, non voglio fare polemiche. I giudici si sono già espressi. Mi pare basti così».

- La scorsa settimana è stato nominato un tutore legale esterno. Lo avete conosciuto? «Non ancora. Aspettiamo. C’è il giudice tutelare di Pavia che pensa a questi passaggi. A noi importa che il bambino stia bene e che, dopo quello che è accaduto e lo stress a cui è stato sottoposto, si riprenda la sua vita qui, con le sue “sorelline”, i suoi compagni, i suoi amichetti. Insomma: il suo ambiente».

- Crede che con il tutore legale esterno i rapporti tra voi e i nonni israeliani possano migliorare? «Lo spero. Per il bambino. Per noi era fondamentale che Eitan ritrovasse le sue figure genitoriali, quelle a cui il tribunale ha deciso di affidarlo dopo il Mottarone». - Come sono stati gli 84 giorni in Israele, tra udienze, contatti, visite condivise al bambino, un bambino diviso tra due famiglie? «È stato un periodo difficile. Intorno al processo c’era una pressione mediatica da parte di giornali e televisioni che non potete nemmeno immaginare. Bisognava cercare di reggere questa pressione e, allo stesso tempo, garantire il massimo della serenità possibile a Eitan. La sentenza dei giudici israeliani ci ha ridato l’ossigeno che avevamo perso».

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