Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 22/12/2021 a pag.V, l'articolo di Ruggiero Montenegro dal titolo "Laboratorio Israele".
Perfino Avvenire oggi descrive la distribuzione in Israele della quarta dose di vaccino anti-Covid, con cui lo Stato ebraico si dimostra ancora una volta all'avanguardia nella lotta contro la pandemia. Il Foglio invece pubblica l'articolo di Ruggiero Montenegro, che contiene numeri falsi secondo i quali i vaccinati in Israele sarebbero meno di quanti sono nela realtà. Montenegro, inoltre, accenna solo vagamente ai successi nella lotta alla pandemia che hanno fatto di Israele in questi anni un modello imitato in tutto il mondo. Una serie di fake news che stupisce vedere sulle colonne del quotidiano romano. Che cosa succede al Foglio?
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Claudio Cerasa, e-mail a fondo pagina
Ecco l'articolo:
Roma. Oltre milletrecento positivi nella giornata di ieri, erano stati più di mille anche lunedì, un'incidenza dell'1,28 per cento e numeri mai così alti dallo scorso ottobre. Omicron inizia a mostrare i suoi effetti anche in Israele. Il paese che per mesi ha indicato la strada nella lotta alla pandemia adesso si ritrova a inseguire la nuova variante, con almeno 340 casi già accertati dal ministero della Salute, mentre si attendono i risultati del tracciamento di altri 800 infetti, sospettati di avere contratto il virus nella sua ultima mutazione. Circostanze che hanno indotto il governo a correre ai ripari, a chiudere le frontiere, impedendo i viaggi verso alcuni paesi, tra cui l'Italia, e imponendo da domenica, come riportano i giornali locali, lo smart working al 50 per cento negli uffici pubblici. Lo stesso primo ministro Naftali Bennett ha invitato, ancora una volta, gli israeliani a immunizzarsi, anche perché 3 pazienti su 4, ricoverati in condizioni gravi, risultano essere non vaccinati. Una situazione che dipende anche da tassi di vaccinazione non altissimi: al 70 per cento degli israeliani è stata somministrata una sola dose, al 63 per cento due. Solo il 45 per cento ha ricevuto il cosiddetto booster.
Sergio Abrignani
"In Israele hanno un problema con le comunità ortodosse", spiega al Foglio Sergio Abrignani, immunologo dell'Università statale di Milano e membro del Comitato tecnico scientifico: "Non vogliono farsi vaccinare per motivi religiosi. E come mi raccontava un collega del posto, lì si fa una vita di comunità molto intensa, e questa diventa una sorgente di focolai".
Eppure, tante volte, negli scorsi mesi quello israeliano ha rappresentato una sorta di modello, il paradigma a cui attingere per le politiche sanitarie nel resto del mondo, fino a offrire indicazioni predittive rispetto all'evolversi della pandemia. Dobbiamo, insomma, prepararci a tempi più duri anche dalle nostre parti? "E' probabile, ma almeno in Italia abbiamo solo il 13-14 per cento di persone vaccinabili che non sono vaccinate, meno che altrove, dove arrivano al 20-25 per cento della popolazione. Ma più che un modello - dice Abrignani - Israele è una macchina del tempo, nel senso che sono mediamente due-tre mesi davanti a noi e all'Europa occidentale, avendo iniziato a vaccinare in maniera massiccia da novembre 2020, mentre noi abbiamo iniziato ad alto ritmo con il generale Figliuolo a marzo 2021. Abbiamo evidenza che quel che succede da loro più o meno accadrà anche da noi, ma con delle differenze".
Quali? "Anzitutto abbiamo un po' più di vaccinati rispetto a Israele, siamo oltre l'85 per cento nella popolazione over 12 con doppia dose, poi abbiamo mantenuto più a lungo le restrizioni e abbiamo sempre tenuto la mascherina al chiuso, oltre ad avere introdotto il green pass rafforzato che in qualche modo limita il contatto tra vaccinati e non", risponde il membro del Cts. E non sarà un caso allora che tra le misure al vaglio del governo israeliano ci sia proprio un rafforzamento del meccanismo legato alla certificazione verde. Questa volta il modello siamo noi? "Lo siamo già stati e lo siamo ancora adesso. Siamo stati, da luglio a novembre, uno dei migliori paesi europei, insieme a Spagna e Portogallo, nel fronteggiare il virus. E non si parla solo di vaccinazioni", sottolinea Abrignani con riferimento all'intero sistema messo in piedi da Draghi, Speranza e Figliuolo: "Anche la stessa Angela Merkel, in una delle ultime uscite da cancelliera ha elogiato davanti alla stampa tedesca l'Italia e il nostro operato. E avere questo tipo di riconoscimento, da paesi che non sono così inclini agli elogi nei nostri confronti, vuol dire che proprio tutto sbagliato non abbiamo fatto. Senza dimenticare che stiamo vivendo un qualcosa di epocale, che leggeremo sui libri di storia".
Però, al netto dei meritati riconoscimenti, l'avanzata di Omicron ha mostrato una della grandi criticità italiane, un po' rimossa negli scorsi mesi e tornata d'attualità con la nuova variante: l'incapacità di tracciare e sequenziare il virus. "E' una cosa che abbiamo fatto male", ammette l'immunologo: "A differenza della Gran Bretagna, per esempio, noi non avevamo strutture predisposte a questo scopo, e non ce le siamo date. Ora però stiamo correndo ai ripari, con un debito di mesi, ma lo stiamo facendo. E' una dinamica che paghiamo con il ritardo con cui ci arrivano i dati e dobbiamo fidarci di quelli degli altri paesi".
Intende dire che questa mancanza può avere influito anche sulla nostra risposta a Omicron? "No, non sarebbe cambiato nulla", risponde sicuro Abrignani, che conclude spiegando che l'Italia, sin dalla comparsa dei primi casi, ha reagito come se la nuova variante fosse già quella predominante, al netto degli scarsi sequenziamenti. "Ci comportiamo come se avessimo già tracciato decine di migliaia di casi".
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