L’Iran gioca in difesa, con pazienza
Analisi di Antonio Donno
A destra: l'Iran dietro il terrorismo in Medio Oriente
La parte oltranzista, anti-israeliana e filo-iraniana del governo di Joe Biden sta progressivamente prendendo il sopravvento nelle decisioni del Presidente sulle questioni mediorientali. La recente visita di Naftali Bennett, primo ministro israeliano, alla Casa Bianca non ha, di fatto, raggiunto qualche risultato evidente. Biden ha confermato la posizione americana, ambigua nella sostanza: "Preferiamo ancora la via diplomatica, ma se fallirà ci saranno altre opzioni. Non gli permetteremo mai di acquisire l'arma nucleare”, ha detto il Presidente americano. Ma quale esito Washington intende raggiungere con gli incontri diplomatici che stentano a prendere forma a Vienna a causa dei continui rinvii di Teheran? Dietro il tira-e-molla degli iraniani vi sono forse questioni irrisolte in seno al gruppo dirigente di quel Paese sulla posizione da assumere nei negoziati? Oppure, i negoziatori iraniani stanno tentando di innervosire la controparte americana, ravvisando nelle incertezze di Biden un progressivo cedimento alle richieste della parte più anti-israeliana del suo governo?
I protagonisti del Jcpoa
Teheran non accetterà mai un ritorno puro e semplice ai contenuti del Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa) del 2015, ai tempi di Obama, e, per questo motivo, attende che in seno al governo di Biden si verifichi un cedimento e prevalga una linea più morbida nei confronti delle richieste più dure degli iraniani. Nel frattempo, gli israeliani hanno portato a termine azioni importanti contro i siti nucleari di Teheran, ma anche contro le concentrazioni di mezzi militari di vario tipo all’interno della Siria, mezzi concessi da Teheran ad Assad. In particolare, le incursioni distruttive israeliane contro il nucleare iraniano hanno fatto infuriare Biden. Il Presidente americano ritiene che tali azioni possano mettere in stallo i negoziati di Vienna, perché permettono agli iraniani di prendere tempo in attesa che Washington imponga a Gerusalemme di porre fine ai raids contro i siti nucleari di Teheran.
Sarebbe un’imposizione priva di senso. Israele sa che i temporeggiamenti iraniani a Vienna hanno uno scopo ben preciso: rimandare quanto più è possibile la conclusione dei negoziati e, nel frattempo, portare a compimento il piano nucleare di Teheran. E, proprio per questo motivo, mentre a Washington si attende che i negoziati riprendano, Gerusalemme non può che agire contro i siti nucleari iraniani al fine di rallentare il più possibile la conclusione del programma di Teheran. Ma per quanto le incursioni di Israele possano in qualche modo ritardare il programma nucleare iraniano, non saranno mai in grado di annullarlo. Israele attende che gli Stati Uniti concludano i negoziati di Vienna con un esito favorevole per lo Stato ebraico, ma tutto sta a indicare che questo obiettivo non sarà raggiunto. O, se sarà raggiunto, sarà soltanto una finzione, come è stato con il Jcpoa: gli iraniani non permetteranno mai che agli organismi internazionali di controllo sia consentito di entrare nei laboratori nei quali il programma nucleare è elaborato nella sua fase finale, quella decisiva.
L’Iran, dunque, ha un evidente vantaggio nella presente situazione. Benché continui a subire le incursioni pesanti di Israele, non rallenta il ritmo di arricchimento dell’uranio. Anzi, il suo costante tentennamento sullo svolgimento dei negoziati di Vienna non può che significare la possibilità di un’accelerazione del suo programma nucleare. In fin dei conti, stante la situazione all’interno del governo americano, il pericolo vero è per Israele. Benché gli Accordi di Abramo rappresentino un risultato storico nelle relazioni arabo-israeliane, essi non sarebbero di alcun ostacolo nell’eventuale decisione di Teheran di attaccare lo Stato ebraico con l’arma nucleare; al contrario, essa dimostrerebbe al mondo arabo sunnita che l’Iran è la potenza egemone nel Medio Oriente. Per di più, la prospettiva che, conclusi i negoziati di Vienna, gli Stati Uniti si ritireranno dal Medio Oriente e dai suoi endemici problemi, disegna al regime degli ayatollah un futuro di dominio incontrastato nella regione.