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La Repubblica delle donne Rassegna Stampa
11.12.2021 Liliana Segre 'donna dell'anno'
La intervista Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica delle donne
Data: 11 dicembre 2021
Pagina: 73
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Liliana Segre»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA delle DONNE di oggi, 11/12/2021, a pag. 73, con il titolo "Liliana Segre", l'intervista del direttore Maurizio Molinari.

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Maurizio Molinari

Liliana Segre: «Io, donna di pace: il mio impegno contro la parola e i  fatti violenti» - Il Sole 24 ORE
Liliana Segre

Senatrice Segre, il pubblico di D l’ha scelta. È un punto di riferimento per chi ci legge. Che sensazione le fa? «Sono molto onorata e mi domando come mai mi succede questo, me lo chiedo continuamente quando la gente mi ferma per strada, me lo chiedo quando ottengo premi e riconoscimenti, me lo chiedo ora. Perché sono una nonna, non merito tutta questa attenzione».

L’attenzione nasce dal riconoscimento per i valori che rappresenta: l’importanza delle memoria, la repulsione dell’odio, il rispetto per il prossimo.. .«Sono valori da trasmettere al pubblico e ai posteri, sono talmente tanti e troppo spesso dimenticati. Al punto da apparire ormai obsoleti, quasi ridicoli. E questo mi ferisce poiché ho passato trent’anni della mia vita a parlare di storia avendola sempre ritenuta cruciale. Sono la portatrice di qualche cosa di speciale, la memoria della Shoah, perché io purtroppo l’ho vissuta in prima persona la storia di cui ho raccontato e la scelta di tramandare la mia testimonianza senza odio mi è sembrata un dovere morale per chi era sopravvissuto all’odio. Oggi però vivo un tempo della mia vita in cui la domanda che mi pongo tutti i giorni, quando mi alzo la mattina, è se ne è valsa la pena».

Da dove nasce questo interrogativo? «Dall’odio che vedo adesso, l’odio che traspira dalle parole di tutti: dagli scontri politici, fino a quelli di due persone che litigano per una sciocchezza per strada. Tutto ciò mi fa pensare che i valori più importanti sono ancora in pericolo e io devo far passare, fino al mio ultimo giorno, il messaggio sul rispetto della vita, degli uomini come delle donne. Per far fiorire ogni tanto un albero della vita».

Nella società in cui viviamo ci sono gli opposti che lei descrive. C’è un’anima che esprime grande attenzione per il ricordo della Storia e delle immani sofferenze che la sua generazione ha subito. E c’è n’è un’altra, molto aggressiva, che con linguaggi e azioni aberranti nega e offende la memoria della Shoah. In mezzo c’è il più profondo degli abissi. «È un abisso colmo di risentimento: lo si tocca quando si sceglie un obiettivo da odiare e questo obiettivo, vecchio o giovane, simpatico o antipatico, meritevole o no, finisce per attirare intolleranza. Se ti vaccini vieni additato come azionista delle case farmaceutiche, se difendi i migranti che muoiono in mare, sei una donna che deve essere stuprata e violentata. A volte sono stata direttamente colpita da questa ondata di odio: mi augurano la morte dimostrando di non avere pazienza, visto che ho 91 anni».

Per questo vive sotto scorta. «Questa situazione ha avuto un risvolto umanamente molto importante. All’inizio, essendo una donna così assolutamente indipendente, ho reagito in modo molto negativo. E invece poi la scorta si è rivelata la sorpresa più bella di questi ultimi anni perché mi ha permesso di incontrare i meravigliosi carabinieri che mi seguono ovunque e con i quali ho formato una seconda famiglia. Non certo perché abbia abbandonato la mia prima famiglia, ma perché sono diventata anche la loro nonna e ne ho avuto e ricevo tutti i giorni una grande ricchezza di affetto e di orgoglio attraverso mille attenzioni. Quindi, benvenuta la scorta».

Le devo confessare che quando ho sentito l’assessore leghista di Lissone, Fabio Meroni, No Vax, riferirsi a lei usando, al posto del nome, il numero tatuato sul suo braccio sinistro ad Auschwitz, ho provato un brivido. Pur avendo studiato a lungo l’antisemitismo e l’intolleranza, non avevo mai ascoltato niente di simile. E sinceramente non avevo mai immaginato che potesse accadere. Mi sono chiesto da dove nasce tutto ciò. È solamente la brama politica di conquistare un titolo di giornale, oppure è la cancellazione totale della conoscenza? «È la cancellazione totale della conoscenza. Ecco dove siamo arrivati. All’espressione di una generazione di ignoranti, figli di ignoranti. È iniziato con il 18 politico e ora siamo a chi ritiene che basti guardare sul telefonino per sapere tutto. Grande ignoranza e profonda ignoranza. In famiglia mi hanno chiesto di rispondere a un’aberrazione del genere, ma io ho troppo rispetto per le parole, per i concetti, per i ricordi e per il mio numero e allora una risposta non l’ho trovata. Ho detto che c’era solo il silenzio, quel silenzio profondo e importante che non si conosce più. Silenzio».

Se la genesi dell’odio è la carenza di conoscenza la risposta non può essere che lo studio. «Sono una lettrice attenta, da sempre, e ho letto che un gruppo di studenti proprio in queste ultime settimane chiedeva al ministro dell’Istruzione di eliminare quello che una volta si chiamava il tema a scuola. Sarebbe il più grave degli errori, perché i ragazzi non sanno più scrivere. L’ignoranza nasce dall’idea che non ci sia più bisogno di studiare perché schiacciando un tasto ci sono tutte le risposte. Ma lo studio è un’altra cosa: imparare a memoria, ricordarsi a novant’anni un pezzo della Divina Commedia o di Foscolo. Io sono contenta che mi abbiano obbligato a studiare a memoria, anche se si tratta di un sistema di insegnamento che poi è stato contestato e oggi è considerato ridicolo. Si tratta in realtà di piccoli squarci di ricchezza nella propria mini cultura, che rafforzano, consolidano».

Perché, quando la cultura genera conoscenza, si formano gli anticorpi necessari per arginare l’intolleranza? «Perché conosciamo noi stessi e gli altri. Dopo aver letto tanto, dopo essere stati giudicati e aver giudicato, si sviluppano le difese dall’odio».

Una parte non indifferente delle persone che attacca lei e più in generale la memoria della Shoah, contesta anche la scienza sul tema dei vaccini. Che spiegazione dà a questa coincidenza? «Non riesco a capire, sarà che sono stata abituata fin da piccola a pensare che sia naturale vaccinarsi. Ho fatto vaccinare i miei figli, i miei nipoti, ho fatto abitualmente anche il vaccino antinfluenzale perché sono vecchia e mi sembra che sia un aiuto, un riparo. Troppo difficile pensare che i No Vax possano essere paragonati ai perseguitati. Come ho detto alla Commissione contro l’istigazione all’odio, di cui vado fiera come ultimo atto della mia vita, la mascherata di Novara delle finte divise dei No Vax per compararsi a come eravamo noi nei lager, è grave quanto quella dei tifosi della curva che si misero indosso il sacro viso di Anna Frank per odiare quelli dell’altra curva. Fu un modo per oltraggiare la memoria di Anna Frank e di tutti i milioni di uccisi per la sola colpa di essere nati. Per odiare l’altro».

Qualche settimana fa c’è stata una manifestazione No Vax al Circo Massimo, a Roma. Alcune persone hanno innalzato uno striscione dove c’era scritto che i “Protocolli dei Savi di Sion” dicevano “la verità” e che “c’è una lobby ashkenazita che vuole controllare il mondo”. E adesso grazie ai vaccini “ci riuscirà”. Perché dei cittadini italiani nel 2021 affermano di credere al più noto dei libelli antisemiti del secolo scorso? «Per lo stesso motivo per cui c’è qualcuno che dice a una donna di 91 anni “Sei un maiale, hai una cotenna così grossa che Hitler non è riuscito a toglierti, speriamo che ci riesca il Covid”. Ricevo altri simili insulti, non mi voglio sporcare la bocca nel ripeterli, ne ho parlato con il presidente Mattarella. Non avevo mai denunciato gli autori ma questa volta l’ho fatto, la polizia lo ha trovato in 24 ore e sa cosa ha fatto costui? Ha chiesto al suo avvocato di telefonare a mio figlio, che è anche avvocato, dicendo che il suo cliente era “terrorizzato per quello che aveva scritto”. E voleva farsi perdonare»

C’è però anche un’altra Italia, un’altra Europa, quella delle scolaresche che vanno in visita nei campi di sterminio, che studiano quello che è avvenuto durante la Shoah. «È una minoranza delle minoranze quella che facendo il viaggio ad Auschwitz, poi ne riporta qualche cosa. Molti mangiano un gelato e basta, come ho visto alla televisione. Se i ragazzi non sono preparati è meglio che non ci vadano perché può essere un’esperienza inutile. C’è una parola che ho fortemente voluto al Memoriale della Shoah a Milano, che in fondo è la risposta a tutto questo. La parola è “Indifferenza” perché è questa indifferenza il nemico peggiore del ricordo, della conoscenza. Quella scritta a caratteri cubitali è un monito per chi la legge. Perché ciò che più ci aggredisce è il fatto che a nessuno importi più niente di niente. C’è una terribile indifferenza generale».

Non crede che sul piano storico uno dei vulnus dell’Italia sia non aver fatto i conti fino in fondo con la collaborazione di molti cittadini nelle persecuzioni naziste? «Sono completamente d’accordo con lei in questo. Perché ogni tanto si dice che l’armadio della vergogna sia stato aperto, ma è vero solo in parte. Si cominci ad aprire qualche cassetto, qualche sportello. A me non risulta che ci sia stato un esame vero di quanti hanno tradito e hanno collaborato con i nazisti. Io questi collaboratori li ho visti con i miei occhi».

Come li ricorda? «Li conoscevo e non ho mai dimenticato nulla di quegli anni e di quei giorni. Non per niente, anche se sono così vecchia, resto una dei pochi sopravvissuti che esattamente si ricordano l’ora, il giorno, dove e chi. Questi collaboratori italiani dei nazisti li ho visti quando siamo stati caricati sui treni merci. Quanti fascistoni c’erano che aiutavano le SS a caricarci. Certo, non erano tutti tedeschi. C’erano degli zelanti servi dei nazisti, molto zelanti. Poi hanno cambiato casacca e questo si è visto anche in personaggi molto noti. Io ne ho seguiti tanti che, da fascisti che erano, poi sono diventati altro. Mi ricordo che le adunate non erano obbligatorie, ma c’erano italiani molto volonterosi. Quando veniva a parlare Mussolini a Milano c’era la piazza piena, come è successo per la dichiarazione di guerra. Ero una bambina attenta e appartenevo a una famiglia che già temeva. Anche se non abbastanza, come si è visto poi. Qualcuno di questi collaboratori però mi ha chiesto scusa».

E lei cosa gli ha risposto? «Che è troppo tardi. Ho perso una famiglia. Non c’è scusa possibile». Un Paese che non esamina fino in fondo le proprie responsabilità nella Shoah crea una ferita nella memoria, indebolisce le difese rispetto all’odio. «Stiamo vivendo un’ondata di estremismo, intolleranza. Non so se si possa chiamare fascismo, se si possa chiamare una destra spinta. Ancora non si è rivelata, però la tendenza è quella. Io sono stata respinta alla frontiera, so che cosa è un muro e lo rivedo quando viene impedito di entrare a chi cerca una via di salvezza, di sopravvivenza. Per questo sono così profondamente scomoda per gli odiatori».

Grazie Senatrice, ha un messaggio particolare per le lettrici e i lettori di D che l’hanno scelta? «Molto volentieri, ma non solo per le lettrici e i lettori di D. Sono molto fiera di essere una donna e guardo con preoccupazione a ciò che avviene alle donne, penso in particolare ai femminicidi, a chi vuole che le donne stiano solo a casa a fare la calza, all’invidia nei confronti di una donna che si afferma. Per non parlare del resto del mondo, di quei Paesi che rimandano le donne a casa e non le fanno studiare. Io nelle donne ho molta fiducia, riconosco che ci sono stati dei tempi della mia esistenza in cui abbiamo camminato una gamba davanti all’altra per la sopravvivenza. Sono dei ricordi che mi dicono quanto è importante la marcia per la vita, proprio perché noi avevamo fatto la marcia per la morte. È questo il messaggio che vorrei che tutti condividessero con me».

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