Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/12/2021, a pag.29, con il titolo 'Dietro il distacco da un oggetto c'e il desiderio di vivere il futuro' l'intervista di Lorenzo Cresci a Elena Loewenthal.
Elena Loewenthal
La copertina (La nave di Teseo)
C’è la storia di un essere umano dentro un oggetto. Ci sono sentimenti, ricordi, forza e fragilità. Quella fragilità che a volte porta a distaccarsi da un bene, un anello, una catenina d'oro, un orologio. «Ma quella fragilità è voglia di rinascere», dice Elena Loewenthal, direttore del Circolo dei Lettori di Torino, che di storie e di oggetti scrive nel libro Monte dei Pegni, edito da Nave di Teseo.
Storie personali, di educata disperazione, di raffinata ricerca di futuro. Com'è nato questo libro? «Da una precedente esperienza, di una decina di anni fa, quando per Einaudi mi ero già occupata del Monte di Pietà, incuriosita da quegli assembramenti che osservavo quotidianamente sotto la sede di Torino. All'epoca avevo immaginato le storie di quelle persone in fila, con grande dignità, pronte a mettere in pegno i propri beni preziosi. Oggi quel modello durato centinaia di anni si sta rinnovando, con Banca Sistema, e sta cambiando la concezione, sottraendola all'idea della dannazione. Si ottiene il denaro in prestito lasciando oggetti che possono essere recuperati in qualsiasi momento, in una chiave moderna».
La lunga storia del Monte dei Pegni, o Monte di Pietà, racconta disperazione, uomini e donne all'ultima spiaggia, ma anche vicende di delicati rapporti tra religioni e perfino di persecuzione. «Affonda le radici nel Cristianesimo, quando ai cristiani è fatto divieto teologico di trattare il denaro, quando il concetto è che il tempo è di Dio e l'uomo non può opporsi al principio. Eppure il credito diventa fondamentale per la sopravvivenza di una microeconomia, ma anche per la sopravvivenza del contadino che perde un raccolto, per esempio».
Divieto sì, ma c'è poi una necessita concreta. E qui diventa protagonista la comunità ebraica, che pure paga a caro prezzo questo ruolo assegnato. «Le minoranze ebraiche presenti nell'Europa cristiana fanno gioco al meccanismo realizzato. A loro viene concesso il permesso di vivere nelle mura di una città a patto di prendere la licenza per aprire un banco. Attenzione, un banco, non una banca, e senza il diritto, proseguito fino alla metà dell'Ottocento di possedere alcunché, né case né terreni».
I cristiani trovano quindi un escamotage: e la comunità ebraica finisce sotto accusa, come componente di questo meccanismo di circolazione dei preziosi e del denaro. «Non a caso ancora oggi trai sinonimi più utilizzati per definire un ebreo si fa riferimento ad avaro, tirchio. Ma esistono, come tutti, ebrei avari ed ebrei con le mani bucate. È comunque l'essere umano che sceglie di essere quello che è. Però, tornando al Medioevo, l'ebreo viene associato al denaro, ma perché obbligato a fare questo. L'ebreo gestiva il banco e garantiva la cristianità del non contrapporsi alla legge di Dio. È stato così ovunque».
Poi che cosa succede? «Escamotage su escamotage sul principio della pietà, il cristiano esce dall'impossibilità di erogare prestiti, e si dà origine alle banche, non a caso se ci pensa le principali banche europee portano i nomi di santi».
Però dove c'è pegno c'è prestito e in poco tempo inizia comparire la parola usura, un incubo tramandato fino ai nostri tempi. «Un concetto che però non aveva l'accezione negativa odierna, ma testimoniava soprattutto una condizione storica di provvisorietà. Oggi però mi piace pensare che, almeno per il Monte dei Pegni, esista una autentica struttura garantista del cliente. Lasci un pegno, ricevi denaro e una polizza. Fino a qualche anno fa, fuori in strada vicino al Monte dei Pegni stazionavano strozzini pronti a comprare la polizza stessa per poche lire, così da ottenere il pegno. Azioni difficili da scoprire, ma che ora sembrano piuttosto contenute se è vero che non più del cinque per cento di chi chiede un prestito non si ripresenta, mesi dopo, a riprendersi il proprio bene dato a pegno».
L'attuale crisi ha acuito il ricorso al banco dei pegni? «Sì, anche se ricorrere al Monte dei Pegni è diventata un'usanza con varie sfaccettature. Non c'è solo chi si rivolge perché è in crisi e ridotto agli sgoccioli, ma c'è anche chine fa un uso di routine. Ci sono donne che in primavera portano la pelliccia e la riscattano in autunno, facendo del Monte dei Pegni quasi un uso-deposito, perché considerato un luogo sicuro».
Le storie che lei racconta sono uno spaccato della società di oggi, con un grande carattere italiano: sacrifici, affetti, legami al passato, ma anche ripartenze. Quali l'hanno colpita di più, raccogliendole? «La storia del fotografo di matrimoni che impegna le sue attrezzature, perché i matrimoni si sono quasi azzerati nel periodo della pandemia. Ma anche il ristoratore che deve ricostruire il dehors distrutto dalla mareggiata e fa ricorso ai suoi ricordi per avere il denaro. E la mamma che impegna i propri averi per far studiare la figlia».
Appunto: difficoltà, ripartenza, sogni. «Con finali lieti, come la figlia ormai laureata che torna a riprendere quegli averi investiti dalla mamma».
Che cosa significa distaccarsi da un oggetto? «Il distacco è molto personale, ognuno reagisce a suo modo. Ma anche il distacco fa parte della nostra vita. Come dice Maurizio Ferraris "noi nasciamo con una fragilità biologica", e quindi è difficile prendere le distanze o addirittura abbandonare un oggetto che fa parte della nostra vita. E' una cosa che rende comuni tutti gli uomini, in tutto il mondo. Penso a chi attraversa il mare, disperato, eppure porta con sé un oggetto che lo lega a quel che sta lasciando, a quel valore».
Tanta sofferenza, quindi? «Sofferenza ma anche speranza per qualcosa di nuovo che potrebbe arrivare, per una prospettiva che si apre. Non a caso il sottotitolo del libro è "un anticipo del futuro"».
Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostate