Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 03/12/2021, a pag. 23, con il titolo "Il ministro yemenita: 'L’Iran dietro la guerra civile. Aiutateci o sarà come a Kabul' ", l'intervista di Paolo Brera.
Ahmed Awad Binmubarak
«Roma è un pezzo del mio cuore», sorride il ministro degli Esteri yemenita Ahmed Awad Binmubarak, in Italia per la settima edizione dei Med Dialogues. Ma il cuore del suo Paese sanguina per le atrocità della guerra civile, e la povertà è spaventosa.
State perdendo la guerra? «Il popolo yemenita è in pericolo, è lui a pagare il conto. La guerra deve finire. Abbiamo tentato di evitarla, ma i ribelli houthi si illudono di poter controllare lo Yemen con il loro modello iraniano: il diritto divino a comandare in quanto scelti da Dio».
Marib, la città del petrolio, è sotto tiro. Sono vicini? «Non così vicini. Provano ad avanzare con ingenti perdite. La maggior parte dei morti sono bambini tra 12 e 18 anni. Li reclutano e preparano alla guerra con orgoglio».
Hanno armi iraniane? «Nel 2015 hanno avuto accesso a tutto l’arsenale militare yemenita, e lo hanno usato. Dagli iraniani hanno continuato a ricevere formazione, aggiornamenti e munizioni. Arrivano armamenti pesanti, tecnologia, soldi. Pochi mesi fa l’amministrazione Biden ha iniziato a sanzionare le loro reti finanziarie, assicurazioni e banche, ed è stato molto efficace».
Come si finanziano? «Nel 2019 hanno incassato 1,8 miliardi di dollari dai carburanti: li ricevono gratuitamente dall’Iran e li rivendono al mercato nero. Se impediamo i rifornimenti si lamentano dell’embargo. Ma non fermiamo cibo, medicine e aiuti».
Cosa vogliono gli houthi? «Nelle aree che controllano, i giovani iniziano la giornata cantando “morte all’America, morte a Israele, maledizione per l’Europa, vittoria per l’Islam”. Non sono solo slogan, è un’ideologia inculcata con discorsi di odio che minacciano di avvicinarci all’Afghanistan».
Quali sono le vostre priorità? «Il cessate il fuoco. Difenderemo Marib con le unghie, se cade è la fine della storia. Poi vogliamo sederci al tavolo. E abbiamo bisogno di aiuto economico: il riyal crolla e rischia di far collassare l’intero sistema».
Cosa chiede alla comunità internazionale? «Pressione politica e programmi di sviluppo. Serve capisca che non è una guerra per procura tra Iran e Arabia, né tra sunniti e sciiti. Bisogna guardare alla natura del conflitto e a come l’Iran lo sta usando».
Come si sta muovendo l’Iran? «Annuncia con orgoglio che controlla quattro capitali: Baghdad, Beirut, Damasco e la nostra Sanaa. Ne traggono beneficio nei negoziati sul nucleare a Vienna, ci usano come merce di scambio a basso costo. Alimentano la guerra: la prima delegazione straniera ricevuta dal presidente è stata la houthi. A Sanaa è il cosiddetto ambasciatore iraniano, ufficiale della guardia repubblicana, che riceve tutte le delegazioni in visita negli uffici del ministero degli affari esteri yemenita, occupato dagli houthi. Apre qualsiasi cerimonia».
Il suo governo invece è sostenuto dai sauditi e dalle loro bombe. «Abbiamo chiesto aiuto noi ai sauditi. È normale che non accettino di avere alle spalle milizie armate dall’Iran che lanciano missili balistici verso le loro città».
La coalizione vi sostiene con i raid a Sanaa: torna l’ora dei droni? «Spero di no, ma dobbiamo fermare gli houthi o tutto crollerà».
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