Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/11/2021, a pag.22 con il titolo "Il ritorno di Assad" il commento di Domenico Quirico.
Domenico Quirico
Bashar al Assad
Mi chiama un amico siriano. Uno di quelli che definiamo fortunati: "i siriani della Merkel" che hanno ottenuto asilo in Germania, hanno approfittato del breve periodo in cui questi sventurati relitti della guerra siriana divennero popolari, ebbero diritto a un lampo della nostra compassione grazie a un bambino annegato nel mare greco. Di cui oggi facciamo perfino fatica a ricordare il nome.
La sofferenza è silenziosa
So di cosa mi vuol parlare. Ho pensato a lui quando ho letto la notizia. Che l'Interpol, l'organizzazione internazionale delle polizie, ha reintegrato nei suoi meccanismi di scambio delle informazioni il regime di Bashar Assad. Dal 2012, pur non essendo stata formalmente espulsa, la polizia di uno Stato criminale del nostro tempo era stata di fatto scollegata. Eppure l'amico siriano dapprima non sembra volere parlare di questo trionfo del tiranno che dopo dieci anni sembra ormai onnipotente signore delle rovine e di un cimitero con mezzo milione di morti. Con i siriani ho imparato che la sofferenza diretta e brutale non desidera parole, almeno nel momento in cui viene provata ed è ancora viva. La sofferenza aperta è timida, riservata e silenziosa. Siamo noi che proviamo compassione, che viviamo la sofferenza invia indiretta, che abbiamo bisogno di esprimerci a parole. «Sai che più passa il tempo e più mi sembra di diventare pazzo? Delle volte la sera quando scende l'oscurità mi viene voglia di salire sul balcone come facevamo nel 2011 ad Aleppo e lanciare come sfida il "takbir", cominciare a gridare Allah akbar! E poi sentire i soldati che per L'Interpol reintegra il regime nella rete di comunicazioni di polizia globale così il dittatore rientra nella società internazionale e aumenta il controllo su oppositori e dissidenti sfogare la loro rabbia si mettevano a sparare. Mi fermo in tempo, ma un giorno non ci riuscirò e griderò fino a quando i miei bravi vicini tedeschi accenderanno le luci e spaventatissimi, pensando a qualche terrorista entrato nel palazzo, chiameranno la polizia... Sì, forse sono già pazzo».
Nel parlamento mondiale
Solo allora parliamo di Bashar riammesso, con i suoi sgherri e torturatori, nel parlamento mondiale dei poliziotti, sotto il simbolo della bilancia della giustizia in perfetto equilibrio. E immaginiamo come i "mukhabarat" delle innumerevoli polizie segrete siriane, gli sgherri del padre e del figlio, stiano festeggiando nelle loro caserme con annessa lugubre sala per gli interrogatori l'ennesimo atto di viltà ipocrita del mondo. E se la ridono delle assicurazioni della organizzazione che ha sede a Lione (la Francia, il Paese dei diritti umani...) perché il personale siriano «ha seguito dei corsi di addestramento» e comunque l'utilizzo dei dossier dovrà «seguire lo spirito della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo».
Violenza legalizzata
Gli sbirri addestrati da decenni di esercizio della violenza legalizzata staranno già accumulando pile di pratiche interessanti, immaginando come usare le "notizie rosse", gli avvisi di ricerca emessi dagli Stati membri dell'Interpol, per chiedere la estradizione dei "terroristi", ovvero gli oppositori fuggiti; o per ostacolare i loro sforzi di ottenere lo status di rifugiati. Ci sarà molto lavoro nei prossimi anni, adesso che sono diventati interlocutori accettabili, colleghi delle polizie democratiche.
II peso di Emirati e Cina
Ogni volta mi stupisco della precisione e dei dettagli con cui rievoca, uno a uno, i nomi, l'età e le azioni degli attivisti suoi compagni che i poliziotti di Bashar hanno torturato e ucciso, racconta con tono risoluto le vicende della morte di ciascuno. Vite brevi come un lampo. Delitti perfetti in cui gli assassini ora trionfano. Improvvisati e maldestri esploratori del ventunesimo secolo pensavamo di aver visto già tutto. Invece siamo solo all'inizio. Qualche mormorio a mezzavoce, niente di rilevante, ha accolto la elezione alla guida di Interpol di un generale emiratino che voci multiple e attendibili accusano di torturare dissidenti e prigionieri. La riabilitazione poliziesca di Bashar, che è senza dubbio la riprova del peso che Emirati e Cina hanno ormai conquistato in questa delicatissima organizzazione, è passata invece sotto silenzio. Nessuno finora ha intonato l'eterna, inutile solfa: come è possibile nel terzo millennio che accadano ancora cose simili? Consumiamo la notizia e la gettiamo nella spazzatura.
Di nuovo intrappolati
Nel 2011 il senso della rivoluzione siriana era stato aver infranto il muro della paura. I genitori dei ragazzi scesi in strada erano assoggettati da decenni con la paura. Loro erano andati oltre. Dopo dieci anni sono di nuovo intrappolati in quella morsa di ferro, perfino coloro che pensavano con la fuga di essersi sottratti a quell'infernale subbuglio. L'intrattabile Bashar, unendo astuzia geopolitica e barili bomba, ha vinto, controlla il settanta per cento del territorio siriano, assedia, paziente, Idlib, ultima enclave ribelle e jihadista, ha cacciato via alcuni milioni di potenziali oppositori, quelli che non ha ucciso, ha superato il pericolo del cedimento interno, del finale alla Macbeth. E ora lavora per rientrare a testa alta nella buona società internazionale come se nulla fosse successo. Nessuno gli ha tolto il seggio alle Nazioni Unite. Ha compreso tutto: trionfa sempre l'omertà di combriccole semplicemente utilitarie, dei grandi assassini resta riverita memoria, delle vittime non ci importa nulla. Il loro anacronismo è dimostrato dal loro costante insuccesso.
Verso un nuovo mandato
Per dimostrare con inoppugnabile certezza che niente è cambiato e verificare le reazioni ha organizzato una rielezione per un quarto mandato e altri sette annidi potere. Copione scritto da lui, intangibile: due candidati finti e i sostenitori che andavano in giro tra le rovine delle città che lui ha metodicamente distrutto con i cartelli: scegliamo l'avvenire, scegliamo Bashar. Nell'elezione precedente si era accontentato dell'88 per cento, stavolta ha voluto il novanta. Come a dire: vedete? La Siria è mia.
Un Paese in agonia
Il Paese è in agonia strangolato dalle sanzioni, dalla mancanza di carburante mentre incombe l'inverno e dilagano affarismo e corruzione. I pescecani del clan Assad, passata la paura, hanno ripreso allegramente i vecchi metodi: rubare. E cambiato il capo mafia: ora dirige i traffici e il contrabbando Asma, una prima donna glamour e senza scrupoli. Tutto è in famiglia. Dal mondo sunnita gli arrivano segnali sempre più espliciti di distensione. I Paesi del Golfo gli fanno la corte perché vogliono che allenti i legami con i diavoli di Teheran, che per aiutarlo si sono svenati in questi dieci anni senza ricavare grandi frutti. Una delegazione saudita è venuta a Damasco in visita ufficiale per «parlare di sicurezza». I ricchi emiri fanno intravedere aiuti finanziari indispensabili per sopravvivere e pressioni su questa America atona, incolore perché lo riabiliti dal ruolo di canaglia. Bashar ci conosce, sa che basta attendere.
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