Riprendiamo da LIBERO di oggi, 28/11/2021, a pag. 16 con il titolo "Gli iraniani muoiono di sete ma hanno la bomba atomica", la cronaca di Mirko Molteni.
Nell'Iran ormai vicino alla bomba atomica, la gente fatica a dissetarsi. In questi giorni emerge la contraddizione del regime degli ayatollah, che investe soldi, tanto più con un'economia provata dalle sanzioni, per l'arma suprema, mentre a molti cittadini manca un bene essenziale come l'acqua. Migliaia di persone hanno protestato nella città di Isfahan, presidiando il letto in secca del fiume Zayandeh-Roud, perchè la siccità s'è aggiunta a una decisione impopolare delle autorità, cioè deviare l'acqua del fiume nella vicina provincia di Yazd. Erano inizialmente agricoltori disperati, poi anche centinaia di residenti del centro cittadino si sono uniti ai contadini. La polizia s'è schierata in tenuta antisommossa e ha usato lacrimogeni sui dimostranti. Decine sono stati arrestati e accusati di eversione dal capo della polizia locale, Mohamad Reza Mirheidari. Intanto, siti internet del governo iraniano sono stati attaccati dal gruppo hacker Hooshyarane Vatan, vicino all'opposizione clandestina, che ha fatto apparire sugli schermi scritte auguranti «morte all'ayatollah Khamenei» e «salute a Rajavi», leader del fronte d'opposizione MEK. I moti per la mancanza d'acqua a Isfahan sono, per l'esule iraniano Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore di Iran Human Rights, «i più gravi dal luglio scorso, quando analoghe sommosse per l'acqua si ebbero nella provincia del Khuzestan».
I COLLOQUI DI VIENNA E imbarazzante che un'aspirante potenza atomica abbia ricorrenti problemi con gli acquedotti. Tanto più che possibili reazioni americane e israeliane al raggiungimento dello status atomico aggiungerebbero disastro al disastro. Un rapporto dell'intelligence britannica, il servizio MI6, inizialmente destinato solo ai capi dei servizi segreti alleati, ma rivelato dalla tv israeliana N12 e dal Jerusalem Post, stima che gli iraniani potrebbero completare un ordigno nucleare anche solo «fra un mese». L'allarme si rinnova mentre Teheran conferma che da domani riprenderà a Vienna i colloqui con i paesi firmatari del patto JCPOA del 2015 (Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Germania, UE e USA) che doveva limitare l'uranio iraniano, ma da cui nel 2018 sono usciti gli Stati Uniti di Donald Trump, che lo riteneva un paravento. Nella capitale austriaca è già arrivato ieri il vice ministro degli Esteri iraniano e capo negoziatore sul nucleare Ali Bagheri, che vorrebbe far rientrare nel patto gli americani e chiedere la revoca delle sanzioni. L'Iran toma così al tavolo delle trattative dopo che in agosto è divenuto presidente il "falco" Ebrahim Raisi. Il presidente USA Joe Biden parrebbe più conciliante di Trump. Ma per l'esperta irano-americana Negar Mortazavi: «Biden ha perso l'occasione di ripristinare il trattato nei primi mesi del suo mandato, quando a Teheran c'era ancora il governo moderato di Hassan Rohani». Non si fida Israele, il cui servizio segreto Mossad ritiene che un ordigno nucleare sia alla portata dell'Iran "entro pochi mesi", sebbene ammetta che ci vorrà più tempo perchè i pasdaran possano poi montare su un missile una testata atomica abbastanza compatta e leggera. Insomma, un conto è un aggeggio ingombrante da far scoppiare nel deserto per dimostrazione, altra cosa un ordigno militarmente pratico. L'ex-capo del Mossad, Yossi Cohen, ha il 26 novembre ribadito che «va mantenuta l'opzione di attacco militare alle installazioni atomiche iraniane». Il parlamento ebraico, la Knesset, ha già stanziato 1,5 miliardi di dollari per la preparazione del raid con aerei e missili e in ottobre il generale Aviv Kochavi garantiva che i piloti dei caccia israeliani F-15E si stavano «addestrando duramente», talvolta insieme a bombardieri americani B-1B. Ma indiscrezioni raccolte dal Times of Israel fra i generali israeliani indicavano in «un anno» il tempo necessario affinchè l'aviazione israeliana sia davvero pronta ad agire.
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