Gentilissima Debora, Mio padre, cattolico praticante, poco prima di morire ottantenne (nel 1990), mi rivelò che causa leggi razziali (1938) sua cugina (da parte materna, cognome DeAngelis) non avrebbe avuto il permesso di matrimonio. Lui fu incaricato dalla famiglia di contattare le autorità in quel di Ancona. Secondo le sue parole "fu una cosa laboriosa" ma l'accusa di ebraismo decadde. Non avendomi voluto dire quali fossero state le prove esibite (certificati battesimali, dichiarazioni di Comunità Ebraiche di "non appartenenza), mi è ora venuto il dubbio che tutto fosse stato risolto con un esborso di soldi (a quella data la famiglia di mio padre aveva risorse derivate da vendita di attività commerciale). Secondo Lei la corruzione, in quel tragico contesto, era una via liberatoria praticabile? So che non è facile fare congetture, ma spero in una risposta. Cordiali saluti,
Emilio Strepetti
Gentile Emilio,
Lei mi parla di tempi estremamente difficili per gli ebrei, erano anni in cui ognuno cercava di salvarsi in ogni modo possibile. Può darsi che i soldi avessero avuto peso nel certificato di "non appartenenza alla razza ebraica". Conosco personalmente famiglie che si sono salvate pagando tutto quello che avevano ai nazifascisti per i quali il denaro ebraico non puzzava per niente. Non sempre chi cercava di salvarsi lo ha potuto fare perché quei criminali spesso prendevano i soldi e poi non mantenevano la promessa di lasciarli vivere. La cugina di suo padre, senza quella "cosa laboriosa" non solo non avrebbe potuto sposarsi ma sarebbe anche stata deportata. Non credo sia giusto parlare di corruzione, lo definirei semmai un tentativo giusto e disperato di salvarsi la vita mentre era imminente la tragedia che avrebbe travolto gli ebrei.