Riprendiamo oggi 23/11/2021, da AVVENIRE, a pag. 20, con il titolo "La grande storia degli Ebrei d'Oriente", il commento di Simona Verrazzo.
Sulla sponda sud-orientale del Mediterraneo la presenza della lingua araba è in grado di estendere il significato di espressioni come "vicino Oriente" o "medio Oriente", arrivando a spingersi fino al Marocco, il più occidentale di paesi arabi, e Mashreq è la parola araba utilizzata per indicare l'Ovest. La premessa aiuta a comprendere la mostra presso l'Istituto del Mondo Arabo di Parigi: "Ebrei d'Oriente. Una storia plurimillenaria" L'esposizione conclude la trilogia dedicata alle religioni monoteistiche nate in quello che oggi è il mondo arabo, cominciata nel 2014 con "Hajj, il pellegrinaggio alla Mecca" e proseguita nel 2017 con "Cristiani d'Oriente, 2000 annidi storia". Da domani fino al 13 marzo la mostra punta a far conoscere la secolare presenza delle comunità ebraiche nei paesi arabi, fatta di convivenza e persecuzioni, scambi culturali, intellettuali e commerciali così come di ghettizzazioni. Ed ecco che toma la lingua come collante, poiché è vero che la mostra si intitola Ebrei d'Oriente, ma è anche vero che si concentra pure verso l'Ovest, coinvolgendo il Marocco e prima ancora il regno spagnolo dell'Andalusia, che proprio durante la dominazione araba raggiunse il suo massimo splendore grazie all'importante presenza delle comunità ebraiche.
Di quell'epoca il nome che su tutti spicca è Moshe ben Maimon, più noto come Mosè Maimonide, medico e giurista ebreo, nato a Cordoba nel 1135 e morto al Cairo nel 1204. Tra sezioni tematiche e un percorso tra geografia e storia, una delle date spartiacque è il 1492, anno della cacciata di ebrei e musulmani dagli odierni Spagna e Portogallo, una diaspora approdata prima in Marocco e poi in tutto il nord Africa, fino ad arrivare alla sponda orientale del Mediterraneo, toccando anche Italia e Grecia. Sono i sefarditi, da Sefard, il nome con cui gli ebrei chiamavano la penisola iberica. Da Fez a Beirut passando perAlessandria d'Egitto, le comunità ebraiche nei paesi arabi bagnati dal Mediterraneo hanno convissuto per secoli con musulmani e cristiani mantenendo costumi, tradizioni culinarie, luoghi di culto e soprattutto la lingua. A differenza degli ebrei del resto del mondo arabo, loro si distinguono per l'utilizzo di una propria lingua, il "ladino mediterraneo", che nei secoli ha consentito di mantenere i rapporti tra le diverse comunità presenti sulle sponde meridionale e orientale. Dai reperti archeologi agli o :o: etti liturgici e di uso quotidiano, dai manoscritti alle installazioni multimediali, l'esposizione punta anche a promuovere e conservare un patrimonio di enorme ricchezza e che arriva fino ai nostri giorni. È il caso del recupero delle sinagoghe che da secoli fanno parte del contesto urbano delle città arabe. In Tunisia il tempio sull'isola di Jerba è uno dei maggiori luoghi di culto ebraici di tutta l'Africa ed è meta di pellegrinaggio. In Libano è sottoposta a restauro la principale sinagoga di Beirut, pesantemente danneggiata dopo l'esplosione dell'agosto 2020. In Iraq e Siria sono in corso progetti di censimento delle sinagoghe devastate durante il regime del Daesh. Preziosa è l'attenzione data alla comunità ebraica dello Yemen, tra le più antiche del mondo e oggi, composta da neanche cinquanta persone, vittima di persecuzioni da parte dei ribelli sciiti Houthi.
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