Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 21/11/2021, a pag. 10, con il titolo 'Il virus del razzismo al contrario' l'intervista di Stefano Zurlo.
Stefano Zurlo
Luca Ricolfi
Con Paola Mastrocola ha appena firmato, per La nave di Teseo, il Manifesto del libero pensiero. Da sempre Luca Ricolfi, sociologo, professore universitario e autore di saggi fortunati, ha preso di mira il conformismo orientato sulla bussola dell'ideologia. Ora frusta il politically correct che costringe il linguaggio ad una gimkana per non discriminare le donne, i gay, le lesbiche e via elencando i protagonisti di un nuovo, grottesco galateo: una sorta di decalogo scritto dalla sinistra e dalle élite progressiste.
Professor Ricolfi, che succede? «Il politicamente corretto c'è da circa 45 anni, ma ora siamo in presenza di una escalation, e soprattutto di una diversificazione, con la proliferazione di varianti del ceppo originario, come succede per il virus del Covid. Io ne ho contate cinque, e in un articolo su Repubblica di tre settimane fa ho provato a classificare le mutazioni che le hanno prodotte. L'ultima, forse la più pericolosa, è il razzismo al contrario, che colpevolizza il maschio bianco eterosessuale in quanto tale, ossia a prescindere dai suoi comportamenti».
Una volta - afferma con Mastrocola nel Manifesto - «la censura era di destra e la libertà di espressione di sinistra». Oggi le parti si sono capovolte? «Spero non completamente. Esiste anche una sinistra che si rende conto delle minacce alla libertà di parola, il problema è che - salvo rari casi (ad esempio quello di Piero Sansonetti) - non ha il coraggio di uscire allo scoperto, per paura del fuoco amico dell'establishment di sinistra».
Nel passato le parole erano neutre. Oggi, secondo lei, cl sono I vocaboli "giusti" e quelli "sbagliati". Un controsenso o, peggio, un assurdo? «Più che altro un atto di esclusione e intimidazione verso chi non si adegua alla neo-lingua. Neo-lingua che, troppo spesso lo si dimentica, viene fabbricata da una minoranza che si auto-attribuisce compiti di riforma, educazione e censura, senza aver ricevuto alcun mandato».
Il politicamente corretto è diventato la lingua dell'establishment. Ma l'establishment, almeno in Italia, è in gran parte di sinistra. Anzi, possiamo dire: sinistra uguale establishment? «Possiamo dire che, da due o tre decenni, l'establishment - quello vero, fatto di poteri economici, amministrativi e mediatici - ha capito che sottoscrivere intenzioni progressiste consolida il suo potere».
In Italia sembra che solo la sinistra abbia i sacri crismi per ambire alle cariche istituzionali più alte, vedi il Quirinale. Perché? «Per due ragioni, secondo me. La prima è che, come ho appena sottolineato, l'establishment ha scelto di posizionarsi a sinistra e, reciprocamente, la sinistra trova facilmente una sponda nell'establishment. La seconda ragione è che la destra nel suo insieme non ha fatto quasi nulla per assumere caratteri più ragionevoli e liberali. È soprattutto per questo che quasi tutti gli intellettuali guardano a sinistra: guardano da quella parte perché - con le dovute e rare eccezioni - il discorso della destra è troppo rozzo, e poco attento al mondo della cultura (o meglio: a quel che ne resta)».
Chi sono i molestatori del linguaggio e chi le loro vittime? «Sono moltissimi e al tempo stesso sono una esigua minoranza. Moltissimi perché li trovi ovunque, ma esigua minoranza perché la stragrande maggioranza delle persone normali ha problemi più seri di quelli (ad esempio l'uso dei pronomi) che tanto appassionano i molestatori».
Oggi, come lei ha denunciato su Repubblica sul caso di Kathleen Stock, la docente di filosofia (università del Sussex) e femminista minacciata per le sue idee, le minoranze perseguitano chi solo qualche anno fa era al margini, nella stessa posizione di chi ora lo accusa. La libertà di espressione è in pericolo? «Se per libertà di espressione intendiamo poter dire come la si pensa ovunque, senza timore di essere stigmatizzati o intimiditi, direi che la libertà, più che essere in pericolo, è già scomparsa. Detto crudamente: c'è più libertà di parola in un pub inglese che nell'università del Sussex».
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