Caos migranti tra Bielorussia e Polonia Cronaca di Giampaolo Visetti
Testata: La Repubblica Data: 16 novembre 2021 Pagina: 17 Autore: Giampaolo Visetti Titolo: «'Un maglione nel deserto l’esca del dittatore'. Così Lukashenko ha ingannato i migranti»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 16/11/2021, con il titolo " 'Un maglione nel deserto l’esca del dittatore'. Così Lukashenko ha ingannato i migranti", la cronaca di Giampaolo Visetti.
Il dittatore Lukashenko
Il maestro Muneer non si era mai permesso una felpa di morbido pile. Ha ceduto in agosto. Vicino alla sua casa di Erbil un furgone si è fermato sotto il sole. Esponeva una scritta mai vista: «Saldi per la neve della Bielorussia». D’estate in Iraq nessuno spende per capi da inverno polare. «Mi sono incuriosito – dice nel centro “Dialog”, dove ha trovato riparo davanti alla stazione polacca di Bialystok –: se sono arrivato qui lo devo a quel mercante di roba cinese partita da Vladivostok (Siberia russa, ndr ) ». Nessuno, tra i vicini accorsi nell’afa per approfittare delle occasioni, sospettava che giacconi, sacchi a pelo e berretti sintetici fossero l’esca del sistema- Lukashenko per arruolare migranti da scagliare contro l’Europa. La trappola stava invece scattando in decine di città e villaggi del Medio Oriente, sparse tra Iraq, Siria, Yemen e Afghanistan.
«Nei bazar e sui social – dice Widad, curda di Sulaymaniyya intercettata a Starzyna – da luglio martellavano: volando a Minsk arriverete poi in Germania. Ci vergogniamo per aver forzato la frontiera polacca, ma chi non riesce più a vivere si deve muovere». A vendere il “pacchetto-Europa”, l’agenzia del governo bielorusso. Offriva «volo, alloggio in tre hotel di Stato, visto e pullman fino al confine Ue». Migliaia di disperati sono finiti invece contro i fili spinati, nella morsa tra gli eserciti di Aleksandr Lukashenko e di Varsavia. Dopo una settimana di violenze nei campi dentro la foresta, esplode ora la rivolta dei profughi contro chi «ha pianificato la nostra fine». «I dépliant – dice Shafeeq, falegname decollato da Damasco – assicuravano che con 3mila dollari avremmo trovato lavoro in Europa. Mi sono impegnato la casa, ho chiesto un prestito a mio cugino e con 12 mila dollari ho portato via la famiglia. A Minsk ne hanno pretesi altri 500 per i visti: ho capito che sarebbe finita male». Mostra il biglietto aereo: Belavia, compagnia di Stato bielorussa. Tra i respinti alla frontiera e i salvati dalle Ong polacche, monta la rabbia verso i «dittatori che riducono i poveri a proiettili».
La marea umana preme contro il valico a Bruzgi e continua a crescere. Boschi e campi sono una latrina: esplosive le condizioni igieniche e sanitarie. L’Oms stima che in Bielorussia siano accampati tra 10 e 20mila migranti: il 70% ha bisogno immediato di cure mediche. «A casa non torniamo – gridano – non abbiamo più niente, l’Europa deve salvarci, Lukashenko ci ha ingannati ». Come, è un segreto che non custodiscono più. In agosto Minsk ha allentato il regime dei visti verso i “Paesi amici” e moltiplicato i suoi charter. La corsa al “turismo low cost dei condannati” ha travolto anche i taciti auspici di Mosca: oltre al caos, un affare fra i 30 e i 60 milioni di dollari. «Appena atterrato a Minsk – dice Jawad, muratore di Kirkuk bloccato a Kleszczele – due soldati bielorussi mi hanno consegnato il kit: badile, cesoie e un’accetta. Eravamo 32. Ci hanno caricati su un camion militare e ci hanno chiesto se avremmo preferito finire in Polonia o in Lituania. Tre ore dopo una guida in mimetica ci ha indicato il sentiero che aggira il check-point di Kuznica». La pista segreta finiva contro protezioni non squarciate prima. «Le abbiamo sfondate – dice Zayd nel centro di Bialystok – i militari bielorussi picchiano e negano il pane a chi si ferma. Minacciano di uccidere chi torna verso Minsk, anche se mostra i soldi per un riparo. Ci sono donne e bambini con noi, la prima cosa è salvare loro». Da settembre in Iraq il prezzo di un visto per la Bielorussa è esploso da 90 a 1.300 dollari. Voli esauriti fino a giovedì, quando il pressing Ue ha convinto Baghdad e Ankara a bloccarli. Le liste d’attesa sono ora concentrate su Dubai e Istanbul, da dove la russa Aeroflot continua a decollare. Usa e governi Ue non mostrano dubbi: senza il sì del Cremlino, Lukashenko non acquista migliaia di profughi per attaccare l’Europa, miglior cliente energetico di Putin. «Prima dell’estate – dice Lamya, ventenne curda – volare a Minsk o a Mosca era escluso. Un’agenzia di viaggi a Mosul all’improvviso mi ha detto che la via era aperta. In pochi giorni aveva venduto oltre cento pacchetti. Se la Russia lascia che entro Natale io possa arrivare nella Ue via Bielorussia, ho pensato, vale la pena tentare ». Importare e spingere i migranti verso Polonia, Lituania e Lettonia, si rivela ora l’errore strategico di Lukashenko. Le loro accuse confermano con la forza delle testimonianze dirette le prove raccolte contro il regime. L’esercito che ha arruolato, senza più nulla da perdere, gli si rivolta contro: invoca un corridoio umanitario, ma è pronto a tutto per evitare di essere rimpatriato con la forza da chi l’ha tradito. «Sono analfabeta – dice Amer, iracheno respinto sei volte al confine – però so chi mi ha spedito a morire qui».
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