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La Repubblica Rassegna Stampa
14.11.2021 La morsa di Putin sull’Europa
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 14 novembre 2021
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Tank e migranti la morsa di Putin sull’Europa»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 14/10/2021, a pag. 1, con il titolo "Tank e migranti la morsa di Putin sull’Europa", l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.

A destra: Vladimir Putin

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Maurizio Molinari

Ammassando contingenti militari ai confini con l’Ucraina e consentendo a migliaia di migranti di premere sui confini bielorussi della Polonia il presidente russo Vladimir Putin si è ritagliato nell’arco di poche settimane il ruolo di regista di una doppia crisi in Europa dell’Est, che ha per evidente obiettivo generare instabilità nell’Unione europea e mettere sotto pressione la Nato. Le mosse del Cremlino contro Ucraina e Polonia sono maturate in rapida successione. Prima abbiamo assistito all’arrivo dei reparti militari russi ai confini con l’Ucraina: si tratta di almeno 90 mila uomini, con relativi mezzi blindati ed artiglieria, posizionati — secondo fonti di Kiev — sul lato opposto del confine oppure dentro i territori orientali occupati dal 2014 dai ribelli filorussi. Il 41° corpo d’armata russa ha creato la propria base a Yelnya, 260 km a Nord del confine ucraino, ripetendo la situazione tattica che nel 2014 degenerò nell’annessione della Crimea e nel conflitto del Donbass che ha finora causato oltre 14 mila vittime.

Allora la Russia intervenne dopo la sconfitta nelle presidenziali ucraine del candidato che sosteneva come «affidabile», al doppio fine di impedire l’entrata di Kiev nelle alleanze occidentali e di controllare i porti della Crimea sul Mar Nero. Ora la minaccia di invasione punta a tenere sotto scacco il nuovo presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ribadendo a Ue e Nato che Mosca è pronta a tutto pur di impedire che l’Ucraina coroni l’aspirazione di aderire alle alleanze occidentali. Il presidente americano Biden ha inviato a Mosca il capo della Cia, Bill Burns, e l’Assistente Segretario di Stato per l’Europa, Karen Donfried, recapitando al Cremlino un messaggio di allarme sull’escalation militare in Ucraina ma le truppe russe restano lì, schierate lungo i confini, paventando il rischio di un’invasione simile a quella che dal 2008 ha paralizzato l’altra Repubblica ex Urss che Mosca vuole ad ogni costo tenere legata a sé: la Georgia. Con la crisi ucraina in pieno svolgimento, Putin ne ha costruita un’altra parallela poche centinaia di km più a Nord, sostenendo il dittatore bielorusso Alexander Lukashenko nella decisione di far arrivare migliaia di migranti da Asia e Medio Oriente fino alla frontiera polacca per creare un nuovo, esplosivo, fronte di attrito con l’Unione europea. Le forze di sicurezza polacche accusano la Bielorussa di aiutare i migranti a superare illegalmente la frontiera, arrivando a minacciare l’uso di armi contro i reparti polacchi, e la Lituania si schiera a sostegno di Varsavia ma Lukashenko rilancia minacciando di interrompere il flusso delle forniture di gas verso l’Unione europea, lasciando intendere che persegue un braccio di ferro di lungo termine. Se Bruxelles gli rimprovera una rielezione viziata dai brogli, la repressione degli oppositori e gravi violazioni dei diritti umani, lui ribatte giocando in maniera spregiudicata la pedina dei migranti. È un confronto aspro nel quale Putin ostenta il sostegno a Minsk: fa volare i propri bombardieri strategici nello spazio aereo bielorusso, chiede all’Europa di pagare Lukashenko per bloccare il flusso dei migranti ed imputa gli stessi profughi agli «errori compiuti dalle potenze occidentali» in Medio Oriente. L’intento del Cremlino sembra essere dunque quello di generare crisi parallele per stringere in una morsa l’Unione europea: da una parte il rischio di invasione militare in Ucraina contro un governo che vuole rapporti più stretti con Bruxelles, dall’altra il rischio di una invasione di profughi in Polonia per far esplodere le tensioni interne all’Ue proprio sul tema dei migranti. La delicata transizione dei poteri a Berlino nel dopo-Merkel, le incertezze a Parigi legate alle presidenziali di primavera e il possibile ritorno dell’instabilità in Italia in coincidenza con la scelta del nuovo Capo dello Stato in gennaio, offrono al Cremlino una finestra di opportunità per rilanciare l’offensiva ibrida contro l’Europa il cui unico obiettivo resta creare scompiglio nei singoli Paesi al fine di indebolire le alleanze Nato e Ue, creando le condizioni per affermare in maniera più efficace gli interessi russi. È interessante notare come tutto ciò coincida con l’imminente inaugurazione del Nord Stream 2, che aumenterà la dipendenza dell’Europa dalle importazioni di gas russo, e con l’ostilità di Mosca a raggiungere sulla protezione del clima accordi favorevoli ad accelerare la transizione ecologica verso le energie rinnovabili. Ovvero, anche sul fronte dell’ambiente le mosse del Cremlino dimostrano di avere come priorità l’interesse strategico russo di riuscire a tenere sotto scacco l’intero Vecchio Continente. Ma non è tutto perché nella tela europea del presidente Putin c’è anche la Turchia di Recep Tayyip Erdogan: non solo per la dipendenza di Ankara dal gas russo o per gli aerei di linea turchi usati dai migranti mediorientali per raggiungere la Bielorussia ma soprattutto per la convergenza di interessi in Libia nel riuscire a scongiurare le elezioni in programma il 24 dicembre per eleggere un governo capace di unire il Paese e porre fine alla guerra civile iniziata nel 2011. Se da Parigi, venerdì, l’Ue ha parlato all’unisono con il governo libico a favore delle elezioni ed anche del ritiro dei «mercenari stranieri», Mosca e Ankara sono de facto sul fronte opposto perché questi «mercenari» sono soprattutto loro, ipotecando con le rispettive basi in Cirenaica e Tripolitania la possibilità di una riunificazione nazionale. Resta da vedere come reagirà l’Ue di Macron, Scholz e Draghi alla sfida ibrida russa in pieno svolgimento ovvero se l’unità registrata sulla Libia li porterà ad avere una forte posizione comune anche su Bielorussia e Ucraina. La difesa comune europea può nascere anche da simili scelte.

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