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La Repubblica Rassegna Stampa
13.11.2021 Migranti, Draghi: 'Sbarchi insostenibili'
Cronache di Tommaso Ciriaco, Anais Ginori, Alessandra Ziniti

Testata: La Repubblica
Data: 13 novembre 2021
Pagina: 2
Autore: Tommaso Ciriaco, Anais Ginori - Alessandra Ziniti
Titolo: «Draghi: 'Sbarchi insostenibili la Ue deve trovare una soluzione' - Il tradimento europeo 50mila arrivati in Italia e solo 97 redistribuiti»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/11/2021, a pag. 2-3, con il titolo "Draghi: 'Sbarchi insostenibili la Ue deve trovare una soluzione' ", la cronaca di Tommaso Ciriaco, Anais Ginori; con il titolo "Il tradimento europeo 50mila arrivati in Italia e solo 97 redistribuiti", la cronaca di Alessandra Ziniti.

Ecco gli articoli:

Tommaso Ciriaco, Anais Ginori: "Draghi: 'Sbarchi insostenibili la Ue deve trovare una soluzione' "

Sui migranti neanche Draghi scuote l'Unione europea | il manifesto
Mario Draghi

La speranza è un Natale che possa regalare ai libici le prime elezioni «libere», «credibili» e «inclusive», come recita la dichiarazione finale della conferenza internazionale sulla Libia guidata da Emmanuel Macron, Mario Draghi e Angela Merkel. Un vertice decisivo per tentare di mettere in sicurezza le elezioni previste il 24 dicembre, evitando che il paese riprecipiti nel caos con un impatto diretto anche sull’immigrazione, uno dei temi che Draghi è riuscito a far inserire nell’agenda del vertice parigino. «Gli sbarchi continui sull’Italia rendono la situazione insostenibile» ha commentato il premier. «La Ue deve trovare una soluzione e noi dobbiamo investire di più sulla Libia per aiutare i libici a creare condizioni più umane ». Tra defezioni, come quella della Turchia che ha mandato solo il viceministro degli Esteri, e il coinvolgimento più convinto degli americani rappresentati dalla vicepresidente Kamala Harris, il summit voluto da Macron rappresenta una tappa cruciale. Gli europei non più divisi raccolgono finalmente qualche segnale incoraggiante dai protagonisti libici, dal rispetto del cessate il fuoco che dura da un anno e mezzo, all’impegno a garantire il processo elettorale, all’iscrizione di 3 milioni di futuri cittadini sulle liste per votare. Il pressing per organizzare il voto a Natale è forte anche se l’appuntamento potrebbe slittare di qualche settimana per garantire la “simultaneità” di parlamentari e presidenziali, come ribadito ieri dal premier Abdulhamid Dbeibah (sempre ambiguo sulla sua eventuale candidatura). Dietro allo scontro sulla bozza di calendario, c’è fra la rivalità emersa di nuovo a Parigi tra Dbeibah e il presidente del Consiglio presidenziale, Mohamed Al Menfi. Il maresciallo Haftar, l’uomo forte della Cirenaica assente al vertice parigino, preme per mantenere le presidenziali il 24 dicembre in cui potrebbe presentarsi. Altri rappresentanti libici temono che far slittare le elezioni parlamentari a febbraio sia un modo per farle poi saltare del tutto. Draghi e Macron hanno prima avuto un faccia a faccia da soli per coordinarsi, ennesimo segnale della «convergenza» (parola di Macron) tra Roma e Parigi. «Se non si va d’accordo, non si aiuta la Libia», ha commentato il premier italiano. Dietro le quinte, però, la lettura della situazione libica non è perfettamente allineata. Se Macron ha voluto insistere sulla data del 24 dicembre, Draghi ha confermato “l’urgenza” del voto ma si è mostrato più sfumato su una scadenza tassativa, nella consapevolezza che una forzatura potrebbe scatenare nuove violenze. Alla fine è risultata decisiva la mediazione italiana, tradotta nella dichiarazione finale con un riferimento «all’inizio» delle elezioni presidenziali e parlamentari in Libia dal 24 dicembre e la necessità che i risultati dei due scrutini vengano annunciati insieme. Nelle sabbie mobili della politica libica, gli europei, spalleggiati finalmente dagli americani, minacciano sanzioni delle Nazioni Unite per chi proverà a boicottare le elezioni o rifiuterà di riconoscerne l’esito. «Tutti in Libia - è uno dei passaggi della dichiarazione finale - devono rispettare i risultati elettorali e non ostacolarli». Il vertice parigino accelera il processo di ritiro dei miliziani stranieri che affollano la Libia. La diplomazia italiana ha facilitato un compromesso sulla tempistica, sostituendo la richiesta di partenza «immediata» con «rapida». «Russia e Turchia devono ritirare le loro forze dalla Libia», ha ripetuto Macron citando il piano d’azione del comitato militare libico che riunisce le varie fazioni. Alla vigilia del vertice parigino, Haftar ha lanciato un segnale di buona volontà annunciando la partenza di trecento mercenari in appoggio al suo esercito. La Turchia ha invece espresso nuove riserve. Erdogan continua a sostenere che i militari inviati sono stati richiesti dal governo di Tripoli. Il percorso per stabilizzare la Libia è ancora denso di insidie ma la nuova prova di unità tra Italia, Francia e Germania avvenuta ieri a Parigi lascerà meno margini a Mosca e Ankara per soffiare sul caos.

Alessandra Ziniti: "Il tradimento europeo 50mila arrivati in Italia e solo 97 redistribuiti"

Gli 847 sbarcati domenica a Trapani dalla Sea-Eye resteranno tutti in Italia. E così anche i 306 della Ocean Viking e, tunisini a parte, la stragrande maggioranza dei 57.833 migranti approdati da gennaio sulle coste italiane. L’Europa ha voltato le spalle all’Italia, mandando in archivio la pagina bianca della solidarietà su cui timidamente, a Malta nel settembre 2019, cinque Paesi avevano iniziato a scrivere numeri a due o una cifra. Piccoli ma promettenti. Sembrava un inizio. E invece, prima per il Covid poi per la frattura sempre più profonda apertasi tra i 27 della Ue, quella pagina è bianca da mesi. La solitudine in cui è ripiombata l’Italia sta tutta in un numero: 97. Tanti sono i migranti che l’Italia è riuscita a redistribuire in Europa sui 50mila arrivi registrati dal pallottoliere del Viminale negli ultimi sette mesi, da aprile ad oggi. Il nulla. L’Easo, l’agenzia di supporto all’asilo dell’Unione europea, tenta disperatamente di continuare a fare la sua parte e, entro la fine di novembre, promette di concretizzare la partenza verso la Germania di un piccolo gruppo di migranti. Ma si tratta di persone arrivate in Italia mesi e mesi fa che Berlino si era impegnata allora ad accogliere ma che sono rimaste nei centri italiani. La realtà è che, da inizio estate, anche Germania e Francia hanno cominciato a fare orecchie da mercante. Ragioni di campagna elettorale più o meno imminente hanno consigliato ai leader di non insistere sulla strada della solidarietà, assai impopolare in ampie fasce dell’elettorato. Ad ogni sbarco annunciato – sono praticamente solo quelli delle navi Ong (che restano comunque minoritari nel complesso degli arrivi sulle coste italiane) – il Viminale prende qualche giorno di tempo prima di autorizzare l’ingresso in porto, nel disperato tentativo di raccogliere impegni alla redistribuzione da parte di quelli che fino alla primavera scorsa erano stati definiti i Paesi solidali (Francia, Germania, Portogallo, Spagna, Irlanda e Lussemburgo). Ma, almeno i big, non hanno neanche risposto. E così al Viminale non è rimasto altro da fare che approntare l’accoglienza per migliaia di persone. Da aprile ad oggi il numero dei migranti nei centri di accoglienza italiani (che si era più che dimezzato rispetto ai 180mila del 2017) è tornato costantemente a crescere superando quota 80mila. Nessuna emergenza, il sistema Italia è ben collaudato e pronto a ben altri numeri, ma dall’era Salvini al Viminale la qualità dell’accoglienza, i servizi e soprattutto il percorso di integrazione proposto sono stati notevolmente ridimensionati e i Cas che adesso ospitano tutta questa gente sono per lo più ridotti a dormitori. La ministra Lamorgese è all’angolo. Neanche il carisma di Mario Draghi è riuscito in questi mesi a far fare passi avanti al nuovo patto sulle migrazioni e sull’asilo, e all’ordine del giorno delle ultime sedute più che la redistribuzione è finito l’innalzamento di muri alle frontiere. Sempre più nel mirino di Matteo Salvini e della destra per l’aumento degli sbarchi (quasi raddoppiati rispetto allo scorso anno) e per la concessione dei porti alle navi umanitarie straniere, a Luciana Lamorgese non resta che ribadire il suo pensiero, l’ultima volta qualche giorno fa alla presentazione dei corridoi umanitari dall’Afghanistan: «L’Italia è un Paese accogliente, non tutti i Paesi hanno questa propensione all’accoglienza, al rispetto dei diritti umani. È giusto che si salvino le persone, ma è ingiusto che sia solo l’Italia a occuparsene solo perché è il Paese di primo approdo. Il principio di solidarietà dovrebbe essere il principio cardine dell’Europa». Eccola la solidarietà dell’Europa negli ultimi tre anni: degli oltre 103mila migranti sbarcati ne sono stati effettivamente redistribuiti 1.209, appena l’1,17 per cento, anche se dagli Stati Ue era stata data disponibilità per 2.028 persone (comunque un’inezia). L’accordo di Malta firmato dalla ministra a La Valletta nel 2019 sembrava aver inaugurato una stagione diversa, e il 2019, apertosi con soli 125 ricollocamenti, aveva chiuso a 478 facendo da volano ai 567 del 2020 nonostante lo stop imposto dal Covid. Quest’anno il crollo con appena 164 ricollocamenti dall’inizio dell’anno ad oggi. Nella classifica dei Paesi solidali Francia e Germania restano saldamente in testa con 561 e 382 migranti accolti, ma a valere doppio è la generosità di piccoli Paesi come il Portogallo, che ha aperto le porte a 103 persone, l’Irlanda con 52 e il Lussemburgo con 29. E anche la Spagna, nonostante le decine di migliaia di sbarchi sul suo territorio, ha accettato di accogliere 29 persone.

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