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Diego Gabutti
Corsivi controluce in salsa IC
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Il potere del ciarlatano 13/11/2021
Il potere del ciarlatano
Recensione di Diego Gabutti

(da Italia Oggi)

Neri Pozza Editore | Il potere del ciarlatano
Grete De Francesco, Il potere del ciarlatano, Neri Pozza 2021, pp. 320, 22,00 euro, eBook 9,99 euro.

All’inizio c’è un venditore d’unguenti miracolosi che s’esibisce nelle fiere, tra merciai e banchetti di frutta e verdura; suoi complici i borsaioli confusi tra la folla. Quindi c’è «il Dottor Baloardo (divenuto col tempo Balanzone), con lo sguardo rivolto lontano a simboleggiare il tipo che “la sa lunga”». Figura originaria d’impostore, che con «discorsi misteriosi e accattivanti», con ciarle e paroloni, Baloardo trasporta il suo pubblico «verso l’universo pittoresco della scienza illusoria o pseudo-scienza», fin da allora (come oggi, in tempi di No-VAX e d’ambientalismo fondamentalista) l’imbroglione s’autolegittima indossando una «toga da erudito». Poi il ciarlatano – di cui Grete De Francesco, nel suo Potere del ciarlatano, apparso in prima edizione nel 1937 «presso l’editore svizzero Schwabe», racconta la storia e illustra la fenomenologia – si lascia dietro le spalle il pubblico plebeo di fiere e piazze, dove gli spacciatori d’oroscopi e d’elisir raccolgono pochi spiccioli rischiando multe e processi per magia, per evolversi in occultista à la Cagliostro o à la Saint-Germain e salire ai piani alti della società.

Qui il ciarlatano veste con eleganza, s’esprime con proprietà, balla la quadriglia, s’incipria la parrucca e millanta abracadabra e procedimenti alchemici che, mercé un modesto investimento da parte di principi e duchi, possono mutare il piombo in oro e prolungare indefinitamente la vita. Dispensa, con l’occasione, anche consigli politici, o lavora come spia dietro le quinte e all’ombra dei troni, per metà giullare, per metà Rasputin. Quindi, in epoca moderna, c’è la trasformazione definitiva: il ciarlatano entra direttamente e personalmente in politica. O ci viene spinto a forza, come buona parte dei moderni dittatatori, dalla massa spaventata (si muore, ci si ammala, si è poveri) e semi-colta dei suoi seguaci, convinti che il ciarlatano, molleggiandosi sui tacchi, sbraitando nei microfoni della radio, masticando sigari cubani, arruolando Dio nei suoi ranghi, «vaffando» la Casta corrotta e sfruttatrice e promettendo a tutti pasti gratis, conosca davvero, come afferma, la formula magica per sconfiggere malattia, morte e povertà. È dell’«antitesi tra propaganda e istruzione», come scrive Grete De Francesco a Thomas Mann, che nasce il Novecento barbaro e totalitario, che anche Mann ha esplorato nei suoi saggi e nelle sue novelle: un mondo sotto il dominio degl’impostori. In apertura del secolo breve, sinistro prodotto della Grande guerra, c’è il Mago Cipolla, l’incantatore da vaudeville espressionista di Thomas Mann; ha «mani lunghe e giallastre, un anello con sigillo a lapislazzulo, occhi piccoli e severi, la bocca contratta». Cipolla è una metafora, e sta lì a segnalare che il ciarlatano, fuor di metafora, si è trasformato in tiranno carismatico, in Führer, in Uomo della Provvidenza e Padre dei Popoli. Spacciatore di promesse vane, baffi, kepì, in una mano la frusta, nell’altra una carota, il ciarlatano è la figura novecentesca che vende i suoi unguenti a prezzi stracciati. Guai a comprarli, e guai anche a non comprarli: il ciarlatano, in questa sua estrema incarnazione, non ammette rifiuti.

Primo di questa nuova e trucida specie è Mussolini, il «Duce-Duce», che ispira a Thomas Mann il Mago Cipolla, protagonista della novella Mario e il mago. Mann scrive Mario e il mago nel 1930, in vacanza a Forte dei Marmi, nell’Italia messa sull’attenti da manganelli, treni in orario e tribunali speciali. A sua volta la novella di Thomas Mann ispira a Grete De Francesco il libro sui ciarlatani. «Un brivido di paura», scrive lei all’autore dei Buddenbrook e di Moniti all’Europa, percorre il continente. Non c’è nazione che non veda stagliarsi la figura del moderno impostore – intento a vendere «opinioni» e programmi politici come i suoi antenati vendevano elisir salvavita – nelle ombre che crescono anno dopo anno nelle curve a gomito del secolo. Dopo Mussolini, sulle cassette della frutta del potere assoluto, salgono altri ciarlatani della stessa scuola, a cominciare dal grande charlatan tedesco, anzi austriaco come Grete De Francesco, che farà di Treblinka e Auschwitz-Birkenau l’universale rimedio contro morte, malattia, savi anziani e povertà. Raccolto intorno al suo crocchio, in questa sventurata fiera del Novecento, un pubblico di «sovrauomini» prima s’ubriaca di parole, poi le mette in pratica. Più in piccolo, ma altrettanto spaventosi, seguiranno altri ciarlatani, in Europa e fuori, e ciascuno di loro sarà in qualche modo l’erede dei truffatori, degl’imbonitori, degl’impostori, guaritori e cavadenti di cui Grete De Francesco passa in rassegna il repertorio e le forme studiando le stampe, la letteratura, le biografie, i codici penali dal XVI secolo in avanti. Ebrea viennese, sposata a un italiano, l’autrice del Potere del ciarlatano si laurea a Berlino, negli anni venti, con una tesi sul fascismo mussoliniano appena salito al potere. È per non incorrere nella censura nazifascista che nel suo libro, come scrive a Thomas Mann, evita di trarre apertamente le conclusioni ultime dei suoi studi e di segnalare la natura cialtronesca e truffaldina delle moderne dittature politiche. Amica di Ernst Bloch e di Sigfried Krakauer, collaboratrice d’importanti riviste scientifiche e di quotidiani, tra cui la Frankfurter Zeitung, il suo Potere del ciarlatano piace a Theodor Adorno, oltre che a Thomas Mann. Piace meno a Walter Benjamin, che nel charlatan delle stampe, dei memorialisti e degli antichi repertori vede una figura positiva, da presepe di terracotta, o da teatrino delle marionette. Ma non è una marionetta a bussare alla porta di Grete De Francesco, nel centro di Milano, il 24 ottobre 1944. A bussare, su mandato del mostruoso Mago Cipolla che governa la Germania, sono le SS. Arrestata e deportata, di Grete De Francesco, nata Margarethe Weissenstein a Vienna nel 1883, si perdono le tracce «a Ravensbrück, dove fu probabilmente assassinata nel febbraio 1945».

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Diego Gabutti

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