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Informazione Corretta Rassegna Stampa
29.10.2021 La morte di Virginia Woolf
Recensione di Diego Gabutti

Testata: Informazione Corretta
Data: 29 ottobre 2021
Pagina: 1
Autore: Diego Gabutti
Titolo: «La morte di Virginia Woolf»
La morte di Virginia Woolf
Recensione di Diego Gabutti
La morte di Virginia | Leonard Woolf | 9788867082964 | Edizioni Lindau
Leonard Woolf, La morte di Virginia, Lindau 2021, pp. 96, 14,00 euro.

«Quando restituì le bozze, il 13 maggio 1940, il cordone ombelicale che l’aveva legata per due anni a Biografia di Roger Fry fu finalmente reciso; 319 giorni più tardi, il 28 marzo 1941, Virginia si uccise gettandosi nel fiume Ouse. Questi 319 giorni di lenta e inesorabile discesa nel baratro sono stati i più atroci e tormentati della mia vita. La mia sfera privata, la storia inglese e la Londra di malta e mattoni, che costituivano gli elementi fondamentali del mio mondo, furono completamente disintegrati». Un inestricabile intreccio di singole catastrofi e di «catastrofi universali»: semplicemente non c’è altro modo di raccontare le guerre (e non soltanto le guerre del XX secolo, guerre per il dominio combattute tra eletti e subumani, tra proletari e borghesi, tra fedeli di Vere Religioni in perenne conflitto tra loro, e soltanto in ultimo tra nazioni nemiche). Editore e letterato inglese, laburista, ebreo nell’età della Shoah, il liberalismo per bandiera, Leonard Woolf racconta la guerra contro Hitler nella forma d’un vasto, rovinoso catalogo di storie personali: la sua, ogni altra. Ai suoi occhi, gli occhi di Leonard Woolf, è come se l’istinto di morte dell’Occidente, travolto dalle derive apocalittiche della modernità, si riflettesse nel suicidio di sua moglie, Virginia Woolf, grande scrittrice inglese, un’icona del «modernismo» letterario. Lei teme d’impazzire, perché già troppe volte è stata trascinata nei gorghi della depressione, e preferisce morire che passarci di nuovo; l’Occidente, da parte sua, è contemporaneamente impazzito e suicida.

Biografia di Virginia Woolf
Virginia Woolf

Vent’anni prima la civiltà liberale era stata abbattuta dagli esiti totalitari dalla Grande guerra: la rivoluzione russa, la Marcia su Roma, le bande armate di destra e sinistra in Germania. Fascisti e comunisti avevano convenuto col Marx del Capitale che «la violenza è la levatrice d’ogni vecchia società gravida d’una società nuova» e dunque alè, la parola ai forni e ai plotoni d’esecuzione. Virginia e Leonard Woolf, Lytton Strachey, Clive e Vanessa Bell, John Maynard Keynes, e tutto il milieu d’artisti, politici, professori passati alla leggenda come Bloomsbury Group, o Circolo di Bloomsbyry, avevano gioito da giovani per la fine dell’età vittoriana. Morta di parto, l’età vittoriana aveva messo al mondo una società nuova, che per prima cosa aveva spalancato le porte alla dolcezza del vivere: le arti d’avanguardia, la rivoluzione culturale e sessuale, le suffragette, le grandi diatribe intellettuali. Ma con l’età vittoriana, una volta saltato ogni argine, anche la democrazia aveva perso d’un tratto il suo appeal. Gli occhi da finto pazzo di Mussolini, gli occhialetti pince-nez di Lev Trotskij, il berretto da studente nichilista di Lenin, il monocolo di D’Annunzio incantavano le folle. Erano l’equivalente, in politica, del cubismo e del dadaismo: l’idea era che si dovesse far piazza pulita di tutto. E così fu.

«Nei dieci giorni» – scrive Woolf – «durante i quali il cielo e la civiltà, il Paese nel quale si era nati, cresciuti e vissuti, la vita privata e il conto bancario stavano precipitando, nei quali dopo colazione si contemplava la possibilità di uccidersi per asfissia [per non finire nelle mani delle SS] in un garage sporco e umido e tuttavia si continuava a cucinare e mangiare uova e bacon di primo mattino. Era la stessa cosa che stavano facendo i greci, ne sono certo, a Tebe e ad Atene più di 2300 anni fa, quando gli eserciti d’Alessandro il Grande si apprestavano a distruggere la civiltà di Omero, Pindaro, Sofocle, Platone e tutte le case, a parte una: era tipico di uno dei grandi conquistatori, dei grandi distruttori di civiltà, il disumano flagello della storia umana, quell’Alessandro «grande conquistatore macedone ordinava di risparmiare / la casa di Pindaro, mentre templi e torri / venivano distrutti» e lui vendeva tutti gli abitanti come schiavi. Dev’essere stato lo stesso quando, nel 410 d.C., gli abitanti di Roma mangiavano l’equivalente delle nostre uova col bacon mentre il visigoto Alarico si preparava a entrare in città per saccheggiarla. Dev’essere stato così per i milioni di vittime di Gengis Khan e dei turchi quando Costantinopoli cadde nel 1453, e ogni volta che risuonarono i tamburi e le marce di tutti i conquistatori, dagli egizi ai sumeri fino a Hitler». Sotto le bombe, incalzati da un esercito che vuole governare l’Inghilterra col terrore, la Francia occupata, le svastiche che dilagano in Europa, le sirene, i rifugi, gli ebrei sotto minaccia di sterminio, il 1984 che incombe sui gentili: Woolf racconta con penna spaventata e brillante la guerra globale. Illustra le sue crudeltà: un testimone racconta del bambino ebreo piangente che viene afferrato per la gamba da un soldato tedesco (non da Hitler o da Goebbels, ma da un tedesco qualsiasi) e lanciato come un sacco di carbone nel carro merci. Illustra anche l’agghiacciante routine di chi si è presto abituato al peggio: le gite, le abitazioni distrutte, le visite degli amici, ogni avere terreno andato a fuoco e «come se non bastasse,niente più domestici». Poi «Virginia s’annega» nell’Ouse e il suo cadavere non affiora che «tre settimane più tardi, quando alcuni bambini lo vedono galleggiare nel fiume»). Qualche anno prima, nel 1925, era così – «non con uno schianto, ma con un lamento» – che «finiva il mondo» in The Hollow Men, gli uomini vuoti, la poesia di T.S. Eliot.

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Diego Gabutti

takinut3@gmail.com

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