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Il Foglio Rassegna Stampa
25.10.2021 Georges Bensoussan: 'E' in corso una guerra ideologica'
L'intervista di Valeurs Actuelles

Testata: Il Foglio
Data: 25 ottobre 2021
Pagina: 5
Autore: la redazione del Foglio
Titolo: «Processo Bensoussan: 'La guerra ideologica non è mai stata così violenta'»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 25/10/2019 a pag.V, con il titolo "Processo Bensoussan: 'La guerra ideologica non è mai stata così violenta' " l'intervista a Georges Bensoussan a cura di Valeurs Actuelles.

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Georges Bensoussan

Lo storico Georges Bensoussan analizza gli anni di processo che ha subito e spiega perché sono stati il riflesso di un male francese. Il suo crimine? Aver denunciato nel 2015, durante una trasmissione di France Culture, l'antisemitismo arabo-musulmano. Per aver denunciato ancora una volta una spiacevole verità, Bensoussan è stato messo in croce e trascinato davanti alla giustizia per razzismo. Un'esperienza dolorosa raccontata nel suo ultimo libro "Un exil français" (L'Artilleur).

Valeurs Actuelles - La sua opera racconta le tappe del processo intentato contro di lei nel 2017, dopo le dichiarazioni del 2015, i quattro anni di procedure e la sua assoluzione definitiva (nel 2019). Quale motivo l'ha spinta a raccontare questo episodio della sua vita? Georges Bensoussan - Questo processo è stato lo specchio di un certo numero di crisi (...). Crisi delle associazioni di difesa dei diritti dell'uomo, che si sono unite al Collectif contre l'islamophobie en France (Ccif) sul banco delle parti civili. Un Ccif dissolto dopo l'assassinio di Samuel Paty e che depone la sua "segnalazione" soltanto cinque mesi dopo i fatti, quando si pensava che l'affaire fosse già chiuso. Infine una procura che dà seguito alla segnalazione del Ccif e fa ricorso in appello dopo la prima assoluzione. Questo processo mette anche in luce le spaccature all'interno della società ebraica di Francia. Se da una parte la stragrande maggioranza del mondo ebraico ha manifestato nei miei confronti una solidarietà costante, dall'altra una piccola parte delle élite ebraiche, piuttosto sconnessa dalla realtà sociali del paese, ha preso paura e si è "separata da me". Né sospensione né licenziamento, piuttosto il non rinnovo del contratto che stava per scadere. Quindi, sembrava dare ragione a quelli che mi accusavano di razzismo, come ha notato di recente e non senza malizia il giornalista Dominique Vidal: "Il Mémorial de la Shoah di Parigi ha deciso di fare a meno dei servizi di Georges Bensoussan". Una frase che suona come la conferma della fondatezza delle accuse di razzismo. Di questi anni, resta un'irreparabile negazione di giustizia. Vincitori al termine della prova giudiziaria, sarete tuttavia considerati con sospetto, e nei milieu della postura del Bene vi considereranno come una figura "divisiva", parola che da sola vale come una dissuasione dall'invitarvi e dal leggervi. Resta anche il ricordo della rabbia epuratrice di questi ardenti delatori, "progressisti" con tutta evidenza, che René Char chiamava nel 1962 "petainisti invertiti". Questi settari del goscismo culturale hanno definitivamente dimenticato le parole di Rosa Luxembourg, secondo cui "la libertà è sempre la libertà di colui che la pensa diversamente".

Qual è la sua opinione sul dibattito pubblico a vent'anni dall'uscita del libro "Les Territoires perdus de la République"? Si è un po' sbloccato grazie a un lungo lavoro di riconquista condotto dalla società e da una parte del mondo intellettuale. Nel 2002, i media della borghesia culturale "di sinistra" non erano lungi dal qualificare "Les Territoires perdus de la République" come un libro "razzista" e "vicino al Front national". Oggi, non è più così, anche perché la guerra ideologica non è mai stata così violenta, una guerra dove il goscismo culturale che impregna una parte della classe politico-mediatico-giudiziaria è irritato per l'apparizione di nuovi poli di parola. Che vuole dunque vietare. Infatti conduce una campagna dietro le quinte per cancellare Répliques, l'emissione di Alain Finkielkraut su France Culture, per impedire a Marcel Gauchet di esprimersi ai Rendez-vous de l'histoire di Blois, per mettere alla gogna Kamel Daoud e Olivier Pétré Grenouilleau... E' la sua vera natura, quella di un ordine morale che, di natura clericale ieri, riguarda oggi le questioni di società (maternità surrogata, "scrittura inclusiva", "migranti"), che stigmatizza, condanna al silenzio con l'invettiva ("estrema destra!"), dissuade dall'invitare certe persone ("divisive") e sterilizza il dibattito intellettuale, ossessionato non dalla ricerca della verità, ma dalla sua unica preoccupazione che è quella di sapere se i vostri discorsi fanno o no il "gioco del Rassemblement national".

Come si lotta contro il terrorismo intellettuale? La libertà ha un prezzo angosciante e costoso, è il coraggio. Tanto più necessario perché il magistero mediatico della borghesia culturale "di sinistra", ancora potente, inizia a inalberarsi perché, per la prima volta, appare seriamente contrastato. Bisogna dunque avere il coraggio di parlare.

Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/ 5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@ilfoglio.it

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