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La Stampa Rassegna Stampa
29.11.2002 Il bersaglio del terrorismo
Il bersaglio del terrorismo è sempre più sfuggente e generico

Testata: La Stampa
Data: 29 novembre 2002
Pagina: 1
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Nessuno può credersi al sicuro»
In seguito ai terribili attentati di giovedì 28 novembre in Kenia e in Israele, riportiamo un articolo di Elena Loewenthal pubblicato su La Stampa venerdì 29 novembre 2002.
"UN'AUTO imbottita di esplosivo sfonda l'ingresso di un albergo dal nome promettente, anticamera di una vacanza esotica: Paradise. Cinque minuti dopo due razzi sfiorano un aereo con a bordo duecentosessantuno turisti. Passa qualche ora e tre terroristi armati aprono il fuoco contro un gruppo di persone in attesa di votare per il proprio rappresentante di partito. Lo scenario è degno del miglior catastrofismo cinematografico con dovizia di effetti speciali. Se non che, siccome di realtà e non di finzione si tratta, invece del colpo di mano del provvidenziale eroe che rimette tutto a posto, è assai più prevedibile attendersi, dopo questa giornata di terrorismo all'opera tanto cruenta quanto assurda, la solita onda lunga di elucubrazioni. Di una retorica che con autentico virtuosismo si arrampica sui vetri, pur di stabilire dei comodi distinguo. Perché fintanto che l'obiettivo del terrorismo, della violenza cieca, è un bersaglio distante, facilmente distinguibile e ben racchiuso entro i confini della sua colpa e non della nostra innocenza, allora noi - cioè gli altri - siamo al riparo.

A noi non può toccare di partire per il Kenya per una settimana di vacanze e trovarci dilaniati da un'autobomba, né di salire su un volo charter e scorgere dal finestrino il bagliore di un missile puntato contro il nostro aereo. Perché noi non siamo "loro". L'affanno del distinguo, una sorta di istinto di sopravvivenza politica e civile a spese di vittime già "giustiziate" e delle prossime venture, si premura infatti di precisare, a fianco di ogni gittata di sangue, la natura dei nemici del terrorismo. Non di giustificazione si tratta, beninteso, bensì di una forma di rassicurazione, che ha - implicito - un fondamentale "però": però erano coloni di un insediamento, però erano israeliani, però erano ebrei, però erano occidentali, però erano turisti… Dietro ognuna di queste definizioni si annida il seguito di una connessione logica che si fa pretesa di spiegazione: secondo la retorica del comodo distinguo, ne consegue che a noi tutto questo non tocca e non può toccare.

O per lo meno fintanto che non siamo coloni, israeliani, ebrei… occidentali o turisti. Se non che, qualcosa di giorno in giorno finisce per tornare sempre meno: il bersaglio del terrorismo è sempre più sfuggente e generico. Gli attentati si susseguono con atroce costanza, e all'insegna di una globalizzazione che non ha nulla da invidiare alle più sofisticate strategie commerciali dell'hamburger di massa (ma come mai nessun no-global inveisce di fronte a questo tipo di mondializzazione?), e una indiscriminatezza che - dietro il labile pretesto di slogan tuonati a posteriori, con i brandelli di morti ormai sull'asfalto - è il vero comune denominatore, da Bali a Mosca, da Mombasa a Tel Aviv. "
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