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La Stampa Rassegna Stampa
28.11.2002 Il Likud sceglie Sharon
Secondo i sondaggi Sharon è riuscito a essere più credibile di Netanyahu

Testata: La Stampa
Data: 28 novembre 2002
Pagina: 10
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Nella guerra dei falchi il Likud sceglie Sharon»
Riportiamo un'accurata analisi della realtà israeliana di Fiamma Nirenstein, pubblicata su La Stampa giovedì 28 novembre 2002.
"Due mesi precisi prima delle elezioni anticipate, Israele assiste oggi al grande derby: Ariel Sharon contro Benyamin Netanyahu, Arik contro Bibi. L'attuale primo ministro utrasettantenne che con ormai classica ripetitività viene descritto come un «falco», combatte oggi la battaglia delle primarie nel Likud, il partito moderato, contro il ragazzo d'oro della destra, 55enne, già primo ministro nel 96, poi schiacciato al tappeto dalla sinistra. Trecentomila membri del partito dovrebbero andare a votare, gli attivisti cercano di trascinare i loro alle urne; ma nel quartiere generale di Netanyahu a Ramat Gan, un sobborgo di Tel Aviv, si respira un'aria rassegnata, anche se Aviv Bushinsky, il biondino che assiste Bibi dal tempo del governo, applicandosi sulle labbra un sorriso per la stampa insiste: «I sondaggi hanno commesso più errori di quanti se ne possano ricordare: noi siamo fiduciosi, Netanyahu ha ragione quando dice che dopo l'ondata terroristica che si è rovesciata su Israele sarebbe un errore letale uno Stato palestinese, e la gente lo sa». Ed è qui che si sbaglia. Proprio l'accettazione dello Stato palestinese, che Sharon ha dichiarato essere «già di fatto esistente» e a cui è in linea di principio favorevole, ha funzionato da molla per un autentico referendum popolare. E ad oggi, Sharon guida su Netanyahu per ben 22 punti. «La pace è il tema» aveva detto Amram Mitzna dopo la sua vittoria la settimana scorsa alle primarie del Partito laburista, il nemico del Likud: aveva ragione anche per il Likud, e Sharon, come tutti i generali che guidano i soldati a morire e a uccidere, lo sa. La gente delle democrazie è aliena alla guerra. Se non vi è obbligata, ne fa a meno. I suoi figli le stanno più a cuore di un pezzo di terra. Israele, specie dopo due anni di Intifada, vuole stare tranquillo, vuole la pace, e gli uomini del Likud, anche se per mettersi a trattare vogliono che cessi il terrorismo, lo desiderano, anche in cambio dei Territori, parte o tutti. «E' interessante - dice Tommy Lapid, il segretario del partito antireligioso Shinui - sia il partito laburista che il likud, in un periodo di tragedia nazionale, si sono mossi verso sinistra. Evidentemente una soluzione legata alla forza non è più praticabile». Sharon vorrebbe certo passare alla storia non come l'uomo che ha spinto l'esercito di nuovo dentro le città palestinesi, ma come colui che è riuscito a fare la pace nonostante tutto. «Un'illusione insensata» sostiene Moshè Arens, che tiene per Netanyahu, e che fu ministro della difesa al tempo del governo Shamir, quando, nel 91, scoppiò la Guerra del Golfo in cui Israele non sparò un colpo «finchè Arafat, l'inventore della strategia della violenza è alla testa del suo popolo, non c'è altro da fare che difendersi, anche occupando». E' proprio quello che il popolo non vuole sentirsi dire; Sharon ha compreso il bisogno di vedere una luce in fondo al tunnel dopo aver perso tanti giovani e mentre viene messa in questione da un punto di vista morale. Bibi, pensando che il terrorismo producesse senso di vendetta, ha puntato a fare il duro, e stasera il voto dirà che gli è andata male. Cosa dicono i sondaggi sui due concorrenti e sulla società Israeliana? Sharon ha preso 54 per cento contro il 32 di Netanyahu. colui che per 20 mesi ha guidato un governo di coalizione con Shimon Peres, batterà probabilmente il giovane che ha promesso che non intende, invece, procedere a un governo di unità nazionale. Inoltre, fra i votanti del Likud, il 52 per cento si dichiara favorevole allo Stato Palestinese, e il 38 contrario. «Il votante, nostro o loro, è più intelligente di noi politici» dice il ministro Matan Vilnai, laburista. Ha disturbato in Bibi l'eccessiva sicurezza: l'ex primo ministro Ytzchack Shamir benchè sia contro lo Stato palestinese, ha fatto sapere che tuttavia voterà per Sharon, perché è più serio. E Lauder, il finanziatore americano di Netanyahu, ha ritirato il suo appoggio: ha accusato Bibi di «mancanza di professionalità». Intanto, fra i palestinesi, Arafat ha dichiarato il suo (soffocante) sostegno per Mitzna: ma qualcuno comincia a dire che forse dopo la rielezione, anche il terribile Sharon volterà pagina. Accusato dai commentatori di aver lasciato soffrire a Israele il peggior periodo della sua vita, Arik dice: ho mantenuto l'equilibrio politico, ho usato l'esercito duramente ma solo per difesa, ho contenuto l'estremismo; ho evitato rotture internazionali, magari non mi amate, ma sono stabile e affidabile; e appena sarà pronto un tavolo di pace, ci andrò. Per rendere ancora evidente l'atteggiamento benevolo, paterno, che gli porta tanti consensi, Sharon ha anche coperto di complimenti in varie occasioni pubbliche Netanyahu: «Un ottimo ministro degli esteri, che è stato capace di spiegare la posizione di Israele al mondo intero nelle poche settimane in cui ha servito: certamente anche nel prossimo governo mi pregerò di offrirgli la stessa posizione». Bibi, che invece nei giorni scorsi aveva tenuto a far sapere che Sharon non intendeva offrire la sua leadership e quella di Netanyahu al prezzo di uno, ma che aveva invece offerto il posto di Ministro degli Esteri all'attuale sindaco di Gerusalemme Ehud Olmert, si è affrettato, all'annuncio, a copiare il capo: anche lui ha offerto a Sharon il posto di ministro degli esteri nel suo eventuale governo. UN gesto, stavolta, controproducente, sbruffone: non ci crede nessuno. Bibi al tempo del suo governo fu tacciato di inaffidabilità, di volatile opportunismo da Clinton, anche se fu lui a cedere Hebron e a promuovere l'incontro con Arafat a Wye Plantation, affidandogli un altro 12 per cento dei Territori. Ma poi, rimandò le mosse dello sgombero (non di quello di Hebron) fino a causare grande impazienza in tutto il consesso internazionale. Adesso è il suo stesso popolo a dimostrare di non fidarsi di lui. Forse fra quattro anni di reinserimento nel giuoco politico, con pazienza e modestia, la gara si svolgerà fra lui e Mitzna."
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