Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/10/2021, a pag. 36, con il titolo "Cancel Culture, finalmente una reazione", l'analisi di Giovanni Belardelli; dalla REPUBBLICA - Torino, a pag. 11, con il titolo 'Cancel culture pericolosa deriva di nuovi puritani', l'intervista di Francesca Bolino a Helena Janeczek.
Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Giovanni Belardelli: "Cancel Culture, finalmente una reazione"
Da qualche tempo arrivano segnali inquietanti dagli Stati Uniti, dove si sta combattendo una furibonda battaglia sul passato: statue distrutte o rimosse, e non solo di esponenti confederati ma anche di Lincoln o di Thomas Jefferson; libri proibiti perché, proprio per raccontare criticamente (e in modo verosimile) l'America razzista, mettevano in bocca a . qualcuno la parola «negro»; autori di lingua inglese ostracizzati perché maschi e bianchi, a partire da Shakespeare. Per questo merita attenzione un articolo della New York Review of Books, che finora aveva dato molto spazio alle ricostruzioni in chiave negativa della storia americana. Sul numero del 23 settembre David A. Bell, storico di Princeton, critica il libro di un altro storico, Tyler Stovall, il cui titolo è tutto un programma: White Freedom: The Racial History of an Idea. Stovall non è interessato tanto a ricostruire le tendenze razziste (innegabili) che hanno percorso la storia americana, ma sostiene che il razzismo rappresenta da sempre l'essenza e lo scopo di quella storia. La stessa indipendenza sarebbe stata voluta nel 1776 per difendere il regime schiavista, perché i bianchi a causa della loro whiteness non possono che essere razzisti. Questa è la tesi che ormai si e diffusa negli ambienti della cancel culture e che finalmente è sottoposta a critica da Bell sulla New York Review of Books. Intendiamoci, è una critica prudentissima, che cerca di mascherarsi dietro qualche apprezzamento sul libro; ma nella sostanza lo demolisce. L'estrema prudenza del recensore ricorda la «dissimulazione onesta» di Torquato Accetto, che Croce indicò durante il fascismo come guida per garantirsi spazi di libertà; e questo la dice lunga sul clima di paura che domina nel mondo accademico americano. Ma possiamo sperare che la recensione sia un primo segnale di reazione, forse favorita dal fatto che la cancel culture, bollando tutti i bianchi per la loro whiteness, ha passato il segno approdando a posizioni di fatto razziste.
LA REPUBBLICA Torino - Francesca Bolino: 'Cancel culture pericolosa deriva di nuovi puritani'
Helena Janeczek
"Cancel culture", un'espressione entrata nel linguaggio corrente, a proposito e a sproposito, come "Meetoo" o "black lives matter'. Se ne parlerà domani alle 21.30 nell'aula magna della Cavallerizza nel quadro di Biennale democrazia. Ma che cosa si intende esattamente? Censura? Lo chiediamo a Helena Janeczek (scrittrice, vincitrice del premio Strega con la "Ragazza con la Leica" Guanda nel 2017) che dialogherà su questo tema con Marco Damilano, direttore dell'Espresso, e Adriano Ercolani. «È un termine che ci è rimbalzato dall'altra parte dell'Oceano e che viene usato dalla destra, dai di Francesca Bolino conservatorie ultimamente ha sostituito espressioni che da noi si usano ancora come per esempio il "politicamente corretto". Per capire meglio consiglio di leggere il recente articolo della storica intellettuale americana Anne Applebaum, studiosa della Russia sovietica e dei totalitarismi, pubblicato su The Atlantic dove lei dice per carità non voglio che si parli di cancel culture».
Perché importante leggerlo? «Chi conosce la Appelbaum sa che è una liberale al cento per cento. L'articolo si intitola i "Nuovi puritani" ed esprime una critica a quelle dinamiche di conformismi che vanno a ledere la reputazione delle persone, che mettono in atto meccanismi censori, che possono portare soprattutto negli Usa a silenziare persone attaccate spesso sui social media. E inizialmente lei fa riferimento fa al romanzo sulla società puritana dell'Ottocento di Nathaniel Hawthorne, "La lettera Scarlatta", che è un filone molto vivo nella cultura americana».
E cosa sostiene? «Che questi meccanismi non vengono messi in atto soltanto da parte di un certo mondo progressista quello che in americano viene definito woke, sensibile alle istanze di genere, delle comunità LGTB etc, ma che funziona anche nell'altra direzione. Tesi condivisibile per quando riguarda gli Usa, il luogo originario da cui tutto è partito».
Dopo Meetoo e "black lives matter", cosa è successo? «Per esempio è stata presa la decisione di non pubblicare il libro di Woody Allen, che invece in Italia è uscito con grande successo dalla Nave di Teseo. Qui ci sono stati dei consensi di nicchia a episodi tipo la vernice rosa (lavabile) sulla statua di Montanelli a Milano. È successo due volte, la prima in relazione a temi anticoloniali, la sua "avventura" in Etiopia; l'altra su questioni femministe».
Chi ci guadagna e chi ci perde? «Questa questione mi mette un po' difficoltà, sono dinamiche complesse, polarizzate, con attori interessati a questa polarizzazione. In America hanno tirato giù le statue dei confederati, o sono entrati alla Casa Bianca e si sono fatti le foto con la bandiera dei confederati che là ha una valenza politica molto forte. Una conflittualità che non è trasponibile dalle nostre parti. Sono d'accordo con Zerocalcare per quel fumetto sulla dittatura immaginaria: per quel che riguarda l'Italia ci siamo dentro in pieno».
C'è stato un avvenimento di questo tipo che l'ha colpita? «Pensando alla cancel culture, mi è tornato in mente il caso della professoressa Rosanna Maria Dell'Aria, che è stata sospesa all'epoca di Salvini ministro dell'Interno perché gli alunni avevano fatto un riferimento a lui e alle leggi razziali di Mussolini. È stata reintegrata solo un anno dopo dal tribunale».