L'Iraq perseguita i suoi eretici
Analisi di Ben Cohen
(traduzione di Yehudit Weisz)
A destra: curdi iracheni
Ha l'aria di una caccia alle streghe. Molti dei 300 leader della società civile irachena, sunniti e sciiti, che la scorsa settimana si sono riuniti nella regione curda per una conferenza a favore di un accordo di pace iracheno con lo Stato di Israele, sono ora oggetto di mandati di arresto da parte delle autorità e di minacce di morte da parte delle milizie islamiste. Il Presidente ed il Primo Ministro iracheni hanno diretto il coro di condanna, invocando una legge di vecchia data che punisce come traditori quegli iracheni che mantengono contatti con degli israeliani o che favoriscono iniziative di normalizzazione con lo Stato ebraico.
Joe Biden
Le minacce ricevute dalle milizie sciite sostenute dall'Iran, erano più inquietanti. “Noi non smetteremo di perseguitare quei traditori ovunque si trovino”, ha minacciato la Brigata Saraya Awlia al-Dam (“Guardiani del sangue”), un gruppo responsabile lo scorso febbraio dell'uccisione di un imprenditore americano durante un attacco missilistico sulla capitale curda di Erbil, la stessa città dove si è svolta la conferenza della settimana scorsa. Per non essere da meno, il veterano leader sciita filo-iraniano Muqtada al-Sadr ha dichiarato che se i partecipanti alla conferenza non venissero arrestati, “noi adotteremo rigorose misure a livello nazionale contro i processi di normalizzazione e i facinorosi.”
Wisam Al-Hardan
Pochi giorni prima, tutto sembrava molto diverso. Quando si diffusero i primi notiziari sulla conferenza, scoppiò una diffusa euforia tra i gruppi pro-Israele e i commentatori. In un articolo pubblicato su The Wall Street Journal da uno dei principali partecipanti della conferenza, Wisam Al-Hardan, si dichiara: “Chiediamo che l'Iraq si unisca agli Accordi di Abramo a livello internazionale. Chiediamo piene relazioni diplomatiche con Israele e una nuova politica di sviluppo e prosperità reciproci.” Nello stesso pezzo, Al-Hardan - un leader del movimento sunnita “Il Risveglio di Anbar e i Figli dell’Iraq”, che si alleò con l'esercito americano in Iraq nel 2008, ha espresso il suo desiderio di ricostruire la fiducia e l'amicizia con le migliaia di ebrei iracheni espulsi dal Paese sulla scia della creazione di Israele nel 1948. Lo stesso messaggio è stato espresso dalla dottoressa Sahar Karim Al-Ta'i, responsabile della ricerca presso il Ministero della Cultura iracheno, che alla conferenza ha detto: “Vogliamo la pace con Israele.” E un ex comandante militare iracheno che ha partecipato a un fallito colpo di Stato contro il dittatore ba'athista Saddam Hussein nel 1989, il General Maggiore Amir al-Jubouri, ha dichiarato: “Abramo, la pace sia con lui, ha dato vita a una nazione che ha spianato la strada per la pace. Oggi, noi e tutti i suoi discendenti dalle tre religioni principali abbiamo la responsabilità di completare insieme questo percorso.”
Ascoltando queste opinioni da parte di cittadini arabi, insieme al loro esplicito desiderio nell'ultimo anno di aggiungere il nome dell'Iraq agli Accordi di Abramo tra Israele e alcune nazioni arabe, non sorprende che ci fosse molta attesa nell'aria. Per certi versi, gli sviluppi in Iraq erano anche più entusiasmanti degli stessi accordi. Gli Stati con cui Israele ha fatto pace sono guidati da governi che volevano fare la pace. Ciò che la conferenza in Iraq ha mostrato è stato il desiderio dei cittadini arabi di fare la pace, anche se ciò significava sfidare il loro governo, la cui obiezione intransigente all'esistenza stessa di Israele non si è spenta nonostante i numerosi cambi di regime a Baghdad nell'ultimo mezzo secolo. Ma ora che sono emersi i mandati di arresto e le minacce, la piacevole narrativa emersa dalla conferenza sembra vacillare. Ci sono state segnalazioni secondo cui Al-Hardan, lui stesso obiettivo di un mandato di arresto, era protetto dalle autorità curde. Altri rapporti affermavano che Al-Hardan aveva completamente sconfessato la conferenza, sostenendo che l'articolo pubblicato sul Journal era stato scritto a suo nome senza la sua approvazione, anche se non era chiaro se fosse stato costretto a dirlo. Ancora più preoccupante, da quando la conferenza è terminata, non si è saputo più nulla della dottoressa Al-Ta'i, che ha anche un mandato di arresto a suo nome. La sorte dei dissidenti politici in Iraq è sempre stata brutale, e quindi ci sono tutte le ragioni per temere che si scatenerà una combinazione di arresti e di propaganda per schiacciare il nascente movimento per la pace con Israele.
Quasi due decenni dopo il rovesciamento del regime di Saddam, il governo iracheno valuta, ancora oggi, la questione della pace con Israele attraverso la lente della lealtà araba e islamica piuttosto che dell'interesse nazionale. La loro presa di posizione sottolinea anche il fatto che Israele è ormai una linea di demarcazione all'interno del mondo arabo e di quello islamico. Gli Stati che oltrepassano quella linea lo fanno perché hanno messo da parte la narrativa dell'unità araba che ha portato una serie di guerre disastrose e costose in cui le forze armate israeliane sono risultate vittoriose. Vedono anche i benefici economici ed educativi delle partnership con Israele. Ma altrove in Medio Oriente, a Baghdad, a Teheran, a Beirut, tale pensiero è ancora considerato eretico. E gli eretici sono perseguitati. Si sarebbe potuto sperare che gli Stati Uniti- che continuano a partecipare agli sforzi militari per contrastare gli islamisti del Daesh, esercitano una certa influenza a Baghdad e sono esplicitamente impegnati ad espandere gli Accordi di Abramo - avrebbero accolto favorevolmente la conferenza di Erbil e parlato in difesa di quei partecipanti ora braccati. Ma una dichiarazione ufficiale della coalizione guidata dagli Stati Uniti affermerebbe solo che “non avevamo avuto informazione dell'evento, né abbiamo alcuna affiliazione con i suoi partecipanti.” Come ha sottolineato Robert Satloff del think-tank del Washington Institute for Near East Policy in una risposta su Twitter, la domanda non era se i funzionari americani avessero una conoscenza anticipata della conferenza, ma “se, a livello politico, il governo degli Stati Uniti sostiene il diritto di coraggiosi iracheni a radunarsi a sostegno del progetto americano di ampliare gli Accordi di Abramo e di pace con Israele.” Alla luce dell’attuale cupo umore politico negli Stati Uniti, sono pochi i motivi per mirare a questi obiettivi, specialmente se facendolo ci si inimicasse il governo iracheno. Il silenzio dell'amministrazione Biden suggerisce che potranno parlare degli Accordi di Abramo solo quando un governo arabo annuncerà la sua intenzione a fare la pace. A quei cittadini arabi che vogliono fare la pace con Israele, a prescindere dai loro governanti, è stato concretamente detto che loro sono soli.
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate