Lewis, Jerry in persona
Commento di Diego Gabutti
Jerry Lewis, con Herb Gluck, Jerry in persona, Sagoma 2021, pp. 360, 25,00 euro
Jerry Lewis, con James Kaplan, Dean & Me. Una storia d’amore, Sagoma 2012, pp. 360, 25,00 euro, pp. 331, 19, euro, eBooks 7,66 euro.
Sarebbe andata sempre peggio, il mondo è cattivo, ma non erano rose e fiori nemmeno all’inizio, nell’America del dopoguerra, quando Dean Martin e Jerry Lewis, «il tizio di bell’aspetto e la sua scimmia», rivoluzionarono lo show dal vivo trasformando ogni serata da nightclub in un Helzapoppin scatenato. «Per quante immagini possiate aver visto d’eserciti trionfanti che tornano in patria marciando, o del marinaio che bacia la ragazza a Times Square», scrive Lewis in Dean & Me, «gli anni subito dopo la guerra furono tenebrosi e incerti. C’erano stati milioni di morti e di mutilati. Il comunismo russo sembrava una faccenda parecchio brutta, ed erano state testate le prime armi nucleari».
Non di meno quella era un’America ottimista – l’America dei film scacciapensieri, l’America di Frank Sinatra e Gary Cooper, di Gianni e Pinotto e di John Wayne Uomo tranquillo, un’America in cui le ragazze erano invariabilmente oneste e bellissime e i loro fidanzati tutti eroi e Adoni. Ma l’ottimismo, come sempre accade, non durò a lungo: i «sixties», il Vietnam, le droghe, Scientology, i tumulti di piazza, la violenza urbana. Cambiarono anche i film: sempre più iperrealistici e violenti, sempre meno danzanti e canterini. Martin e Lewis si erano separati, come capita prima o poi a tutte le coppie comiche, e per le solite ragioni. Chi è la spalla? Chi è più amato dal pubblico? Chi porta a casa la pagnotta? Martin si rivelò un grande attore drammatico, oltre che un perfetto comedian; Lewis diventò uno dei registi preferiti dei Cahiers du Cinéma. Ma erano star del dopoguerra, e mal s’adattarono ai tempi nuovi e così, a poco a poco, le loro carriere s’arenarono.
Negli anni di Arancia meccanica, di Sergio Leone, del Mucchio selvaggio e del Padrino, non c’era più spazio per That’s Amore o per il Picchiatello. A Lewis non andavano giù i tempi nuovi. Non «ululava» solo «contro la guerra, o contro le cazzate che provenivano da Washington» – ricorda in Jerry in persona – «ma anche contro la violenza quotidiana che arrivava nelle nostre case attraverso la televisione. Un omicidio mandato in onda ogni minuto. Ladri e poliziotti, assassini, piromani, rapitori, stupratori, maniaci omicidi: un elenco completo di brutture devastanti. Cos’era accaduto a cose come I Remember Mama, Playhouse 9016, il Kraft Theatre, agli spettacoli che avevano offerto tanto intrattenimento di qualità? Davvero triste che le preghiere domestiche della mamma e il commovente eroismo del macellaio Marty di Paddy Chayevsky fossero stati abbandonati in favore della spazzatura». Non era più aria, a Hollywood e in televisione, per l’happy end, per il vaudeville, per lo swing, per il bel canto.
Come dollari stampati dalla Zecca ai tempi della guerra civile, buoni sentimenti, torte di mele e canzoni sdolcinate (non importa quanto belle) erano andati fuori corso. Per un pugno di dollari e Like a Rolling Stone incarnavano il nuovo Zeitgeist, lo spirito dei tempi nuovi. Lewis si dedicò alla beneficenza (raccolse decine di milioni di dollari per l’Associazione per la lotta alla Distrofia Muscolare) e Dean Martin girò un paio di memorabili film brillanti (uno su tutti: Baciami, stupido di Billy Wilder) oltre a parecchi western, tra belli e brutti, e l’orribile serial spionistico en rose dell’agente segreto Matt Helm. Prima che lo Zeitgeist cambiasse cavallo, prima dei gangster forsennati degli anni settanta, un’era geologica prima di Quentin Tarantino e di Taxi driver, erano divertenti anche i criminali. A Lewis, che l’aveva preso in giro senza sapere chi fosse, toccò chiedere scusa ad Albert Anastasia, il boss della Murder Inc.: l’Anonima Omicidi. A lui e Martin capitava di frequentare (volere o volare) «un simpatico italiano che si chiamava Willie Moretti, detto Willie Moore, amico di lunga data e socio di Frank Costello». Moretti era «noto per avere dato una spintarella a Frank Sinatra a inizio carriera. Alla fine degli anni trenta, quando il fenomeno Sinatra cominciava a decollare, Frank […] voleva rompere il contratto con Jimmy Dorsey, ma Dorsey non cedeva. Ora, leggenda vuole – io non c’ero e non posso confermare – che il signor Moretti abbia puntato una pistola in bocca al signor Dorsey e gli abbia chiesto educatamente di liberare il signor Sinatra dal contratto. Che – continua la leggenda – Dorsey cedette prontamente a Willie per un dollaro». Insomma: The Goodfather, ma senza teste di cavallo sul cuscino.
Quindi anche i gangster eleganti e fedeli alle amicizie passarono al nemico: il realismo cinematografico, Quei bravi ragazzi, gli stupri, le torture, C’era una volta in America, le ghenghe colombiane. Benché devoto all’happy ending, «scimmia» senza debiti con la politica e le ideologie, artisticamente lungi da ogni engagement, Lewis si lasciò tentare, all’inizio degli anni settanta, da un soggetto terribile. The Day the Clown Cried, il giorno in cui il pagliaccio pianse, è la storia d’un clown, ad Auschwitz, che rallegra i bambini ebrei con smorfie e lazzi mentre li accompagna ai forni. Una volta montato, una volta superate le questioni legali sorte con la produzione, Lewis non accettò mai di mostrarlo in pubblico (a differenza di Roberto Benigni, che diresse e interpretò un film, guarda caso, molto simile a quello di Lewis, anche se di gran lunga più sentimentaloide e annacquato). Non ebbe cuore di farlo circolare, e non ne parlò mai volentieri, Sotto chiave fino al 2024, potrà essere visto soltanto a discrezione degli eredi di Lewis.
Dopo The Day the Clown Cried, ex divo, regista sorpassato e depresso, per di più intossicato dagli antidolorifici in seguito a un brutto incidente alla spina dorsale, Lewis cercò di riacchiappare la magia dei vecchi film girando altre due storie del Picchiatello, il personaggio che sta a lui come il Vagabondo a Chaplin. Non ne risultò nulla di memorabile. Nel ruolo d’un famoso entertainer à la Jerry Lewis, fu al fianco di Bob De Niro in Re per una notte di Martin Scorsese (De Niro, comico ignoto, lo prendeva in ostaggio per guadagnarsi un passaggio televisivo). Interpretò piccole parti in film da dimenticare. Lui e Martin, che non si erano incontrati né si erano scambiati un saluto per più di vent’anni, tornarono a frequentarsi negli ultimi tempi, riavvicinati dai drammi familiari.
Martin morì nel 1995 a settantotto anni. Lewis morì novantunenne nel 2017. Aveva diseredato i suoi discendenti naturali, figli e nipoti, ai quali negò a sorpresa l’happy end, come lo Zeitgeist l’aveva negato alle platee televisive e cinematografiche. Una volta aveva scritto: «Nell’era di Truman, di Eisenhower e Joe McCarthy noi liberammo l’America. Nei dieci anni che seguirono la seconda guerra mondiale, Dean e io non solo diventammo il fenomeno di maggiore successo nello show business, ma facemmo la Storia. L’America del Dopoguerra era una nazione parecchio morigerata. A condurre i programmi radiofonici c’erano dei censori, i presidenti portavano il cappello, le signore indossavano i bustini. Noi saltammo fuori dal nulla: nessuno si aspettava niente che fosse come Martin e Lewis. Un tizio di bell’aspetto e la sua scimmia». Ecco, di quest’America, di questa gioiosa parentesi nella storia del mondo e dello spettacolo, sì è quasi perso ogni ricordo.
Diego Gabutti