Messaggio di speranza dall’Iraq?
Analisi di Michelle Mazel
(traduzione di Yehudit Weisz)
E’ successo a marzo di quest’anno. Il Sommo Pontefice, portando con sé il suo bastone da pellegrino, senza preoccuparsi dei pericoli si era avventurato a Baghdad, per cercare di placare le tensioni tra l’Islam e l’Occidente. Desiderava recarsi sul sito dell'antica città di Ur in Caldea, dove, secondo il racconto biblico, “Il Signore disse ad Abramo: Vattene dal tuo Paese… fino al Paese che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione.” E in quell’occasione, su un palco, si è unito ai rappresentanti delle varie confessioni presenti in Iraq. Insieme hanno recitato quella che è definita la “preghiera dei figli di Abramo”. Ma la politica e le suscettibilità locali si erano imposte, il ramo più vecchio dei figli del patriarca, quello risultante da suo figlio Isacco, non era stato invitato a questo bell'esempio di fraternità ecumenica. Non è il caso di ricordare le persecuzioni, le atrocità e gli assassinii che avevano posto fine a tre millenni di presenza ebraica. Meglio gettare un velo pietoso su questo triste episodio. Ma ora si alza un'altra voce. Quella di Wisam Al-Hardan, portavoce del “Movimento dei Figli del Risveglio dell'Iraq.”
Una raffigurazione di Papa Bergoglio
Parlando a nome di un pubblico di quasi trecento iracheni sunniti e sciiti riuniti alla sua chiamata nella città di Erbil, nel Kurdistan iracheno, lui ha esordito con una dichiarazione sbalorditiva: “Abbiamo chiesto pubblicamente all'Iraq di stabilire delle relazioni con Israele e il suo popolo nell’ambito degli Accordi di Abramo.” Ha poi parlato della “tragedia, avvenuta a metà del XX secolo, dell'esodo di massa e dell'espropriazione della maggioranza della nostra popolazione ebraica irachena, una comunità che aveva 2.600 anni di storia. Con la loro emigrazione forzata, l'Iraq si è in effetti reciso una delle sue vene principali.” Poi ha aggiunto: “Nella regione si percepisce un’aspirazione alla speranza: una comunità in espansione di pace, sviluppo economico e fratellanza, lo scenario degli Accordi di Abramo.” Prese di posizione che hanno assunto dimensioni inaspettate, poiché l'autore ha avuto cura di pubblicarle in una rubrica del Wall Street Journal. I leader israeliani hanno lodato questa iniziativa mentre la maggior parte dei commentatori stranieri sottolinea che è solo un pio desiderio improbabile da realizzare. Resta il fatto che le personalità presenti all'incontro non hanno esitato ad aderire a un'iniziativa di cui non potevano ignorare il rischio. Un rischio molto reale.
Le autorità di Baghdad le hanno subito minacciate di rappresaglie, mentre le milizie sciite del movimento iraniano si sono dichiarate pronte a far pagare loro a caro prezzo il loro “tradimento.” I palestinesi non nascondono la loro indignazione. Gli uni e gli altri nascondono l'altra dimensione di ciò che è appena accaduto. Per la prima volta degli arabi hanno messo sul tavolo la questione dell'esodo degli ebrei costretti a lasciare i Paesi dove avevano vissuto per secoli e ne hanno riconosciuto le proprie responsabilità. Il fatto che si tratti di iracheni il cui Paese non ha relazioni con Israele è tanto più straordinario in quanto l'Egitto, in pace con lo Stato ebraico da più di quarant'anni, si mostra ancora oggi, incapace di compiere un simile passo.