'L'origine del Virus': le responsabilità della Cina e la colpevolizzazione di Donald Trump Il libro di Paolo Barnard, Steven Quay, Angus Dalgleish
Testata: Libero Data: 25 settembre 2021 Pagina: 12 Autore: Paolo Barnard, Steven Quay, Angus Dalgleish Titolo: «Così hanno usato il Covid per fare fuori Trump»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 25/09/2021, a pag.12, con il titolo "Così hanno usato il Covid per fare fuori Trump" l'estratto dal libro di Paolo Barnard, Steven Quay, Angus Dalgleish.
Per gentile concessione dell'editore Chiarelettere pubblichiamo un estratto del libro L'origine del Virus in vendita da domani.
La copertina (Chiarelettere ed.)
Vi raccontiamo una storia che per la sua drammaticità prende alla gola. Non solo è ormai alla luce del sole che il SARS-CoV-2 non può essere un virus nato in natura e spontaneamente saltato sulla razza umana; non solo chiediamo qui un ripensamento internazionale sul tipo di esperimenti in cui si manipolano virus pericolosi per scopi di assai dubbia utilità scientifica e che costituiscono una delle possibili fonti artificiali proprio dell'attuale contagio: le prove da noi presentate impongono altresì di dire con chiarezza che una sostanziale parte delle innumerevoli vite mietute in tutto il mondo dal Covid-19 si poteva evitare, ma così non fu, a causa dei silenzi, degli insabbiamenti e dei giganteschi interessi politici che hanno visto la Cina e una parte dell'Occidente protagoniste durante tutta la pandemia. Ci si chieda: perché queste verità così drammatiche non sono apparse sui media e nei dibattiti scientifici del mainstream, se non in minima parte e comunque tragicamente troppo tardi?
Donald Trump
IN RITARDO Donald Trump è l'involontario protagonista della principale risposta. La maniacale omertà del regime di Pechino è il secondo. Mi concentro sul primo, della Cina si parlerà nel dettaglio più avanti, ma voglio premettere con fermezza che quanto segue non va in alcun modo inteso come l'espressione di simpatie politiche o personali verso l'ex presidente. Per nulla, qui trattiamo di fatti accaduti e solo di quelli. La domanda fondamentale - come è partito il flagello virale che ha scosso l'umanità - è stata stravolta e schiacciata da eventi del tutto scollegati, avvenuti dalla parte opposta del pianeta rispetto alla Cina: il 2020 era l'anno elettorale negli USA e Donald Trump, avversato dalla quasi totalità dei media occidentali, dai movimenti progressisti femminili, dalle minoranze etniche e di genere, poi da parte dei Big Tech e di una larga fetta di Wall Street, della City di Londra e dalle istituzioni accademiche nella loro quasi totalità, andava abbattuto. Punto. Il 16 marzo 2020, alle 18.51 ora di Washington DC, il presidente Trump twittò quanto segue: «Gli Stati Uniti sosterranno con forza quelle industrie come le compagnie aeree, e altre che sono particolarmente colpite dal virus cinese...». Fu il pandemonio. Le parole «virus cinese» offrirono agli avversari di Trump uno strumento con cui martellare tutta la sua amministrazione, poggiando sull'ideologia dominante del terzo millennio, il politically correct. Le accuse di razzismo, di incitazione all'odio delle minoranze asiatiche nel mondo, di irresponsabilità diplomatica, considerati i delicatissimi equilibri in gioco con la seconda potenza globale, si riversarono sulla Casa Bianca come uno tsunami. Al punto che quando esattamente un anno più tardi, il 16 marzo 2021, un giovane di razza bianca trucidò otto persone, fra cui sei donne asiatiche, in tre centri massaggi di Atlanta, uno stuolo di network tv, giornali e commentatori accusarono Trump di aver direttamente ispirato quel gesto delirante. Di colpo, chiunque da quel momento in poi osasse, anche in contesti del tutto scollegati come le scienze, sussurrare una critica nei confronti della Cina, e magari proprio in riferimento al nuovo coronavirus, veniva istantaneamente cauterizzato a fuoco come sostenitore di Trump, contiguo al suo presunto razzismo, bigotto nemico del progresso civile e soprattutto veniva tacciato di voler portare acqua al mulino elettorale della sua amministrazione. Se Trump aveva definito il SARS-CoV-2 come prodotto della Cina, allora di default la Cina era innocente, ordine di scuderia indiscutibile. Questo negli Stati Uniti, in Europa e nella maggioranza dei paesi avanzati. Non solo i grandi media, ma anche gli organi di stampa scientifici furono chiamati a raccolta, e obbedirono pur di vedere il tramonto di Trump, primo fra tutti l'influentissimo «The Lancet». Non veniva concessa neppure una parola di scetticismo ai ricercatori - anche eminenti o persino insigniti di Nobel - su come i cinesi avevano impostato la scienza del Covid-19. Chiunque fra loro non riuscisse proprio a convincersi che il nuovo coronavirus potesse essere saltato dai pipistrelli all'uomo in circostanze così inedite e fitte di lacunosi dettagli evolutivi, e che per questo chiedesse che l'ipotesi della fuga del coronavirus da un laboratorio fosse presa in considerazione, fu bollato dai media e dal gotha delle pubblicazioni scientifiche come «complottista» o «crackpot theorist», che in inglese significa «teorico fuori di testa». L'autorevole «British Medical Journal» («BMJ») dovrà farsi carico, sedici mesi più tardi, di un clamoroso mea culpa da parte di una fetta del mondo scientifico e accademico per quella censura a scopi di partigianeria politica. Cito ad esempio la deprimente constatazione della dottoressa Filippa Lentzos, esperta di biosicurezza del King's College di Londra, pubblicata da «The Wall Street Journal» e ripresa dal periodico scientifico: «Ci furono scienziati che si zittirono. Temettero di perdere la carriera e i fondi di ricerca» (Adam O'Neal, A Scientist Who Said No to Covid Groupthink, «The Wall Street Journal», 11 giugno 2021). Il «BMJ» scrive inoltre che una singola lettera (rivelatasi un falso) pubblicata da «The Lancet» dirottò quasi un anno di giornalismo sulle origini del coronavirus.
SCIENZA IMBAVAGLIATA La testata scientifica ammetterà che lo sforzo partigiano nel sospingere ai margini l'ipotesi della fuga del virus da un laboratorio svanì, guarda caso, dopo che Trump perse la Casa Bianca (Paul D. Thacker, The Covid-19 Lab Leak Hypothesis: Did the Media Fall Victim to a Misinformation Campaign?, in «BMJ», vol. 374, n. 1656, 2021). La scienza s'imbavagliò sulla peggior catastrofe medica in un secolo finché l'ex presidente americano non si tolse di mezzo. Così accadde che quasi tutto ciò che riveliamo in questo libro - dalle menzogne scientifiche della Cina e dei suoi ricercatori a coloro che nel cuore del sistema americano li avevano finanziati e che ora tremavano - non trovò nessun canale di sbocco, nessuna audience tra i diretti interessati, cioè i cittadini del mondo ma soprattutto le vittime stroncate dal contagio, tantissime delle quali, come ho detto, potevano essere invece risparmiate. Con l'avvento del Covid-19 la scienza ha davvero insudiciato la memoria di Galileo per sempre, svendendo tutta sé stessa per i trenta denari necessari ad abbattere un politico.
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