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La Repubblica Rassegna Stampa
23.09.2021 Caso Eitan, oggi la prima udienza a Tel Aviv
Commento di Sharon Nizza

Testata: La Repubblica
Data: 23 settembre 2021
Pagina: 1
Autore: Sharon Nizza
Titolo: «Eitan, oggi la prima udienza a Tel Aviv. Le strategie degli avvocati»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA online di oggi, 23/09/2021, l'analisi di Sharon Nizza, dal titolo "Eitan, oggi la prima udienza a Tel Aviv. Le strategie degli avvocati".

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Sharon Nizza


La famiglia Biran. L'unico sopravvissuto alla tragedia della funivia è Eitan, di 6 anni

Tel Aviv – Si incontreranno oggi per la prima volta al Tribunale della famiglia di Tel Aviv, dodici giorni dopo il loro ultimo faccia a faccia fuori dalla villetta di Travacò Siccomario, quando la zia Aya consegnò Eitan al nonno Shmulik per la visita di routine, non immaginando che il piccolo non avrebbe più fatto rientro. Nell’aula giudiziaria siederanno da una parte Shmuel Peleg, il nonno materno indagato, in Italia e in Israele, per sequestro di minore, e con lui la nonna materna ed ex moglie Etty Cohen. Dall’altra parte, la ricorrente Aya Biran, zia paterna e tutrice legale del bambino, atterrata in Israele domenica per presenziare al processo a porte chiuse che si aprirà questa mattina (9:00 ore locali) per stabilire se e quando Eitan tornerà in Italia. La zia Aya, ancora sottoposta a quarantena per via delle restrizioni Covid, ha ottenuto una deroga per il caso eccezionale che la vede, suo malgrado, tra i protagonisti di un altro tragico capitolo della storia di questa famiglia che non trova pace. La giudice Iris Ilotovich-Segal dovrà gestire un caso ad alto profilo mediatico e con possibili risvolti diplomatici, affidato all’ars oratoria di alcuni dei nomi più di spicco del foro israeliano: tra i legali dei Peleg, Boaz Ben Tzur, il penalista che difende l’ex premier Benjamin Netanyahu nel processo per corruzione in corso; i Biran si sono affidati invece al penalista Avi Himi, presidente dell’Ordine degli avvocati israeliani e a Shmuel Moran, tra i massimi esperti nei casi che coinvolgono la Convenzione dell’Aja sulla sottrazione internazionale di minori. Il procedimento che si apre oggi verte unicamente sulla domanda di restituzione del minore secondo i termini stabiliti dalla Convenzione – che fissa un tempo massimo di sei settimane per emettere una sentenza, senza contare però ricorsi e appelli: la giudice dovrà stabilire se il bambino ha effettivamente la “residenza abituale” nel Paese in cui si chiede il ritorno e se il soggetto che presenta la domanda di ritorno – la zia Aya Biran – “è il titolare della responsabilità genitoriale” senza il cui consenso è stato sottratto il minore. Le istanze di adozione e di custodia presentate dalla zia materna Gali Peleg in Israele non rientrano in questa procedura e verranno discusse successivamente, in Italia o in Israele, a seconda di quanto stabilito dal tribunale di Tel Aviv. Diversamente da quanto risuonato finora nel dibattito mediatico, le argomentazioni sull’educazione e l’identità ebraica (l’iscrizione alla scuola cattolica, il fatto che a casa parlassero ebraico, usassero celebrare le cene dello Shabbat etc.) difficilmente avranno un peso nell’aula del tribunale, stando all’opinione di diversi esperti. I legali dei Peleg invece fonderanno le proprie tesi su due linee principali: contestando sia l’argomento della “residenza abituale” sia quello della “responsabilità genitoriale”. La strategia del pool degli avvocati della famiglia materna punta al “caso eccezionale” presumibilmente “senza precedenti nella giurisprudenza”: i casi noti di applicazione della Convenzione dell’Aja si riferiscono infatti generalmente a contese nell’ambito di divorzi, mentre nel caso presente entrambi i genitori non sono in vita e nessuna delle due famiglie ha l'affidamento “naturale” del bambino. Il decesso prematuro dei genitori nelle note circostanze tragiche, sosterranno, rende obsoleta la definizione di “residenza abituale” nella situazione che si è venuta a creare e quantomeno giustifica di considerare che l’orfano abbia “due luoghi di residenza abituali”: Italia e Israele. Se la giudice considerasse questa ipotesi e Israele rientrasse come un possibile luogo di residenza del bambino, verrebbe a mancare uno degli elementi principali su cui basare l’accusa di rapimento.

A sostegno di questa tesi, presenteranno alla corte le prove che dimostrerebbero che Amit e Tal hanno trascorso diversi mesi all’anno in Israele da quando erano in Italia per gli studi, e stavano programmando di tornare a vivere in Israele – versione smentita dalla famiglia Biran e da altri conoscenti della coppia in Italia, che di contro addurranno prove a favore della loro versione. L’altra parte della strategia dei Peleg punta a screditare la legittimità della custodia del bambino affidata ad Aya. Su questo punto, si concentreranno su quel 25 maggio, due giorni dopo la tragedia, in cui la giudice giunta appositamente all’ospedale di Torino, affiderà la tutela legale alla zia paterna. Secondo il team legale dei Peleg, il nonno Shmulik aveva appena terminato il riconoscimento delle salme ed era impegnato a organizzare il trasferimento delle bare e i funerali, e si è trovato coinvolto in una procedura svoltasi in maniera “frettolosa e disordinata” in italiano, senza debita traduzione – se non quella della stessa Aya che aveva interessi a presentare le cose diversamente da come erano, sosterranno – che l’ha portato involontariamente a cedere diritti senza cognizione di causa. La strategia degli avvocati di Aya Biran invece punterà all’applicazione lineare della procedura: restituire il bambino, nei tempi più stretti possibili, alla tutrice nominata dal Tribunale di Torino e poi di Pavia “perché possa riprendere la sua routine di studi e riabilitativa”. Nell’udienza di oggi, che secondo le previsioni potrebbe durare diverse ore, chiederanno di affidare nell’immediato Eitan alla zia, anche nel corso del procedimento in Israele. “E’ del tutto illogico che il bambino sia nelle mani di chi è indagato per il suo rapimento” dice a Repubblica l’avvocato Avi Himi. “Ci aspettiamo che la corte israeliana rispetti le decisioni dei tribunali italiani che hanno stabilito che la zia Aya Biran è la tutrice legale del bambino. Questa deve essere la posizione di uno Stato di diritto”. I Biran sosterranno anche il danno psicologico e mentale che i Peleg stanno arrecando al bambino, “sottoposto a un lavaggio del cervello” testimoniato da Hagai, il fratello di Aya, che l’ha incontrato sabato. I legali dei Peleg, come via di compromesso, proporranno che il bambino risieda presso un altro componente della famiglia materna fino alla sentenza. “Si tratta di un caso complesso”, dice ad Haaretz l’avvocato Yuval Sasson, già alto funzionario del Dipartimento internazionale della Procura di Stato israeliana, l’organo competente per l’applicazione della Convenzione dell’Aja. Tuttavia, nel momento in cui, con il rapimento del bambino, c’è in ballo un’apparente violazione della sovranità italiana, spiega Sasson, si può pensare che prevarrà il principio per cui Israele rispetterà il sistema giudiziario italiano, come “si aspetterebbe dall’Italia nella situazione opposta”.

Va però sottolineato che, per come viene applicata la Convenzione in Israele, la Procura di Stato e l’Autorità Centrale non sono parte del procedimento in corso, ma possono “esprimere un parere legale, qualora il Tribunale lo richieda” stabilisce la normativa. Pochi giorni dopo il rapimento era trapelato sui media un primo parere legale formulato da funzionari di diversi ministeri – smentito ufficialmente dai portavoce del ministero degli Esteri e della Procura - secondo cui “Israele dovrà agire per restituire il minore alle autorità italiane quanto prima”. Il fatto che la polizia israeliana abbia aperto un’indagine contro il nonno Peleg – aggiunge Sasson - potrebbe essere un altro indice del sostengo della Procura per il rientro del bambino in Italia. Anche l’anticipo dell’udienza - prevista inizialmente per il 29 settembre – a una giornata in cui il tribunale è chiuso per via della festività di Sukkot, è “indice dell’urgenza che la corte riserva al caso”, dice l’avvocato Himi. Un segnale positivo, per i legali dei Biran. Dopo giorni di speculazioni, sarà l’udienza di oggi a dare il polso della durata del procedimento e forse anche delle intenzioni della giudice sul futuro di Eitan.

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