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La Stampa Rassegna Stampa
22.11.2002 L'opinione di un alto ufficiale israeliano
Un articolo importante per capire come si svolge lo scontro militare con i palestinesi

Testata: La Stampa
Data: 22 novembre 2002
Pagina: 9
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «La nuova strategia: catturare i terroristi, non ucciderli»
Riportiamo un articolo di Fiamma Nirenstein pubblicato su La Stampa venerdì 22 novembre.
"CHIAMIAMOLO convenzionalmente «l´altissimo ufficiale»: questa è la condizione del colloquio che ci fornisce in esclusiva una chiave importante per capire come si svolge lo scontro militare con i palestinesi. L´attacco terrorista di ieri a Gerusalemme proveniente da Betlemme, quello di Hebron che ha ucciso 12 persone, l'attacco del kibbutz Metzer, l'agguato che ha ucciso la madre di sette figli: sono tutti avvenimenti che conducono ad azioni in cui Israele cerca di fermare i terroristi, spesso entrando con i carri armati nelle città da cui provengono, spesso spargendo il sangue dei civili, anche se «mai e poi mai con intenzione, anzi, con dispiacere e conseguenze disciplinari» dice l´ufficiale. E spiega come le incursioni che riescono a prevenire la maggior parte degli attentati, se non tutti, siano parte di una strategia modificatasi nel tempo, traendo lezione da questa nuova guerra in cui l'esercito è stato accusato di disumanità e di bassi standard morali. La parola d'ordine oggi è catturare. Diversa da quella del passato che era eliminare i terroristi. Servono informazioni, serve un criterio che induca il mondo al sostegno contro una guerra sempre più dura. Nei giorni scorsi sono stati catturati molti terroristi; due erano proprio sulla strada verso il loro obiettivo nel territorio d´Israele; a Shuweika a nord di Tulkarem è stato preso al volo, in un´ondata di arresti, anche Muhammad Naifeh il capo delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa, responsabile dell'impensabile attacco al kibbutz Metzer, dove una mamma con i suoi due bambini è stata trucidata mentre li difendeva con il proprio corpo. L'esercito ha preferito catturarlo, nonostante l'eliminazione fisica del colpevole di un attacco così infame in passato sia stata preferita. Le case dei terroristi di Hebron sono state rapidamente distrutte, l'esercito è di nuovo in città dopo averla sgomberata il 25 ottobre con un gesto di buona volontà, come Betlemme e Gerico. Sembra che gli sgomberi totali diano risultati controversi, molto contestati da uomini politici e da cittadini. L´alto ufficiale descrive uno stato d'animo diviso fra il desiderio, quasi il bisogno, di mantenere un alto livello morale e la crudeltà della guerra al terrore, che non uccide sul campo ma a tradimento, che non si gioca sul coraggio ma sull'astuzia. Spiega: «E´ una lunga guerra, che i palestinesi hanno trasformato nello scontro più difficile per le pur immense forze di un esercito adatto tuttavia solo agli scontri convenzionali. Abbiamo capito a stento di dover affrontare la guerra di domani non quella di ieri. C'è voluto parecchio. Adesso, ogni volta che possiamo prendere un prigioniero evitiamo le esecuzioni dei terroristi, anche se hanno molto sangue sulle mani, a meno che la loro sparizione non eviti prossimi attacchi. Cerchiamo di ridurre al minimo possibile il rischio per i civili che si trovano vicino a loro». Tuttavia, c'è un alto numero di morti fra i civili palestinesi, e tra questi molti bambini. L'osservazione lascia sorprendentemente pensosa la nostra fonte: «Ci sono stati incidenti e errori, ma - dice - operiamo continue correzioni per cercare di evitare quello che capita quando anche l'esercito nemico è composto da civili, i terroristi, che si nascondono in mezzo ad altri civili. Quindi un uso più limitato dei carri armati, in modo che non sia possibile ai ragazzini arrampicarcisi sopra con bottiglie molotov o scatenare sassaiole pericolose per i soldati, che li impressionano fino a indurli a fare fuoco».
Quanto ai civili uccisi, l'esercito verifica, così come verifica i propri errori: dopo ogni «massacro» denunciato dai palestinesi (come a Khan Younis o a Refah, recentemente), dice l´ufficiale, si consultano tutte le fonti possibili, ufficiali e non, per sapere se davvero ci fossero donne e bambini o vecchi fra i morti. «Talora è vero, talora non ne troviamo traccia. Si gridò ai cinquemila morti a Jenin, poi scesero a 500; infine ce n'erano 52 contro 23 nostri. Un altro esempio: Refah è un campo di battaglia sotto cui passano i tunnel che i palestinesi hanno scavato per contrabbandare le armi. Per evitare intromissioni sparano sulle truppe in Israele, in zona nostra, non contestata, dalle case circostanti. E´una situazione molto delicata. Anche gli ingegneri che costruiscono il muro di difesa in quella zona sono stati attaccati. Abbiamo risposto a due attacchi consecutivi e otto palestinesi sono rimasti uccisi; oltre agli armati (di cui uno incerto) due donne e due bambini. Ne siamo dolenti, verifichiamo come è potuto accadere e agiamo di conseguenza. E´contrario alla nostra volontà e ai nostri interessi e non abbiamo attaccato per primi». E a Khan Younis? Sedici morti sono tanti. L´ufficiale racconta che ha verificato: una donna, la madre di un terrorista, è rimasta uccisa, come sostengono i palestinesi, ma si indaga ancora se fra gli altri ci fossero civili disarmati. Pare di no, dice, e comunque, ribadisce. «Verifichiamo a fondo, senza mentire mai. E senza mai attaccare mai per primi. Mentre voi giornalisti correte alle conclusioni che vi danno i palestinesi, non aspettate le nostre, non avete tempo. Mi ricordo, per fare un esempio, che si parlò di una donna di 81 anni uccisa in uno scontro a Morag mentre io sono certo che a Morag non abbiamo colpito nessuna donna». Ma sono centinaia i bambini uccisi. L´ufficiale è scettico: succede, ripete, perché i terroristi cercano intenzionalmente rifugio fra i civili, anche se è pronto ad ammettere che l'autorità morale del suo esercito è scossa. «Ma è più responsabilità vostra che nostra. Comunque ci siamo corretti, miriamo ad arrestare per non sparare per strada o in case dove non sappiamo chi c'è; cerchiamo di togliere il coprifuoco quanto più possibile, di lasciar passare le ambulanze anche se è vero che a volte trasportano terroristi. La stampa però non ricorda mai che tutto questo è a nostro rischio e pericolo. Lo si è visto a Hebron, a Betlemme». L´altissimo ufficiale sa che i palestinesi soffrono e che, rinchiusi e sofferenti come sono, il loro odio non può che aumentare: «E´ nostro interesse che tornino a pensare a una vita normale». L'esercito israeliano sta indagando: 256 incidenti di polizia militare; 97 errori di comportamento di soldati; 118 casi di atti violenti; 24 casi di spari impropri; 7 incidenti vari, come gesti di umiliazione del nemico. «Un comandante che non aveva agito secondo le regole è stato cacciato due settimane fa e per tre anni resterà in disparte. Potrà tornare al lavoro solo se lo deciderà il Capo di Stato maggiore in persona». L'alto ufficiale non crede che la situazione attuale possa migliorare, almeno finchè Arafat rimane al comando. Descrive la sua strategia come un ben calcolato dosaggio della minaccia del terrore. A suo parere anche l'incontro del Cairo fra Hamas e Fatah sarà tenuto da Arafat al livello minimo di rappresentatività perché in realtà la rinuncia al terrore non è in discussione."
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