Riprendiamo dalla RAGIONE di oggi, 14/09/2021, a pag. 6, l'analisi di Anna Mahjar-Barducci dal titolo "Marocco e Tunisia battono la tentazione islamista".
Anna Mahjar-Barducci
Mohammed VI
Gerusalemme Mentre in Afghanistan i talebani tornano al potere, i Paesi del Nord Africa seguono una corrente opposta e dicono `no' ai partiti islamisti. Lo scorso 8 settembre, il Partito della giustizia e dello sviluppo (Pjd), vicino ai Fratelli Musulmani, ha subito una clamorosa sconfitta alle elezioni legislative in Marocco. Il Pjd, che è stato al potere per dieci anni, è passato dall'avere 125 deputati a soli 13 rappresentanti in Parlamento. I quotidiani marocchini hanno parlato di un vero «disastro elettorale». Nei mesi scorsi, i leader del partito islamista pensavano di poter far leva su un sentimento anti-israeliano per poter vincere le elezioni, nono- stante il Marocco — per volontà del monarca Mohammed VI — abbia normalizzato i rapporti con lo Stato ebraico lo scorso dicembre. II 16 giugno, infatti, l'allora primo ministro ed esponente del Pjd Saadeddine Othmani aveva ricevuto in pompa magna il leader di Hamas Ismail Haniyeh, subito dopo la guerra degli undici giorni dello scorso maggio fra Israele e Gaza. II re del Marocco Mohammed VI però non aveva ricevuto Haniyeh e, proprio in quel giorno, si era invece congratulato con Naftali Bennett per essere diventato il nuovo primo ministro di Israele. II Pjd però adesso è storia. Lo scorso 10 settembre, il re ha nominato capo del governo l'uomo d'affari Aziz Akhannouch, esponente del Raggruppamento nazionale degli indipendenti (Rni), un partito politico marocchino di orientamento liberale e grande vincitore delle elezioni.
L'altro Paese del Nord Africa che ha cacciato gli islamisti è stata la Tunisia. Dopo la `rivoluzione dei gelsomini' alla fine del 2010, che aveva mandato via il presidente Zine El Abidine Ben Ali — un dittatore con l'unico pregio di aver mantenuto una Tunisia laica come voluta da Habib Bourghiba, stimatore di Ataturk e fondatore della Tunisia moderna — gli islamisti di Ennahda sono tornati nel Paese. Lo scorso luglio, però, il presidente Kais Saied, personaggio laico e professore di diritto costituzionale, ha `congelato' il Parlamento, guidato dal leader di Ennahda Rached Ghannouchi, e rimosso il premier Hichem Mechichi, considerato il `fantoccio' del partito islamista. Recentemente, Saied ha detto che un nuovo governo sarà annunciato «al più presto» e ha accennato anche a una futura riforma della Costituzione. Gli islamisti di Ennahda sono infuriati e continuano ad accusare Saied di aver compiuto un «colpo di Stato», ma la maggior parte della popolazione tunisina è scesa in piazza per sostenere il gesto coraggioso del loro presidente. Sulle pagine del quotidiano francese "Le Figaro", il filosofo tunisino Mezri Haddad ha poi scritto: «Quello che sta succedendo in Tunisia non è un colpo di Stato ma un sussulto d'indignazione repubblicana». Questi ha inoltre denunciato i legami di Ennahda con Turchia e Qatar, sostenitori dei Fratelli Musulmani, asserendo che «minano l'indipendenza del Paese». Haddad ha anche definito il partito islamista un «pericolo imminente» per la nazione tunisina, accusandolo di «spudorato lassismo con i jihadisti tunisini di ritorno dall'Iraq e dalla Siria». L'Occidente però non sembra sostenere questi cambi rivoluzionari in Nord Africa, avvenuti a poche ore (se non minuti) di volo dalle coste europee. Per quanto riguarda il Marocco, molti media francesi hanno sottolineato il fatto che il partito liberale Rni sarebbe troppo vicino al Palazzo reale, come per sminuirne la vittoria contro gli islamisti, mentre in Tunisia la maggior parte dei media europei e americani hanno supportato la tesi islamista del `colpo di Stato', definendo Ennahda come un partito «moderato» e addirittura «democratico». La tentazione islamista pertanto sembra a volte più solleticare gli intellettuali occidentali che non il mondo arabomusulmano.