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La Repubblica - La Stampa - Nazione/Carlino/Giorno Rassegna Stampa
13.09.2021 Caso Eitan: le cronache
di Sharon Nizza, Paolo Berizzi, Fabiana Magrì, Aldo Baquis

Testata:La Repubblica - La Stampa - Nazione/Carlino/Giorno
Autore: Sharon Nizza, Paolo Berizzi - Fabiana Magrì - Aldo Baquis
Titolo: «La guerra delle famiglie: 'Soffre, fatelo tornare'. 'No, la sua casa è qui' - 'Abbiamo agito per il suo bene qui con noi avrà una vita felice' - Guerra sull'educazione del piccolo: 'In Israele crescerà da vero ebreo'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/09/2021, a pag. 21, la cronaca di Sharon Nizza, Paolo Berizzi dal titolo "La guerra delle famiglie: 'Soffre, fatelo tornare'. 'No, la sua casa è qui' "; dalla STAMPA, a pag. 3, la cronaca di Fabiana Magrì dal titolo 'Abbiamo agito per il suo bene qui con noi avrà una vita felice'; da NAZIONE/CARLINO/GIORNO, a pag. 7, con il titolo "Guerra sull'educazione del piccolo: 'In Israele crescerà da vero ebreo' ", la cronaca di Aldo Baquis.

Con l'eccezione di Fabiana Magrì, chi più chi meno, in tutti i giornali stamattina la notizia cui viene dato lo spazio più grande è il ritorno di Eitan in Israele. Anzi, il "rapimento"!  Il tono è pressoché uniforme: la zia di Pavia è stata privata della presenza del nipotino a cui voleva molto bene, tanto da iscriverlo in una scuola religiosa... cattolica. Il nonno, invece, l'ha rapito, l'ha portato in Israele e per presentarlo come un essere brutale, in quasi tutte le cronache viene sottolineato che era stato un soldato, ignorando che in Israele il servizio militare è non solo obbligatorio, ma viene vissuto come parte essenziale dell'orgoglio della vita di tutti i cittadini, uomini e donne.
Cronache a senso unico, con l'eccezione di Fabiana Magrì, quindi, a quando l'arrivo di voci diverse?

Ecco gli articoli:

Il piano del nonno per rapire Eitan Biran: «Arrabbiati perché non iscritto  a una scuola ebraica» - Open
Eitan con la sua famiglia: il bambino di 5 anni è l'unico sopravvissuto alla tragedia del Mottarone

LA REPUBBLICA - Sharon Nizza, Paolo Berizzi: "La guerra delle famiglie: 'Soffre, fatelo tornare'. 'No, la sua casa è qui' "

«Sembra un film di Hollywood scritto male». Dice così, a metà pomeriggio, la zia paterna Aya Biran. «Siamo sconvolti, l’hanno rapito». Replica della zia materna Gali Peleg, che ad agosto ha annunciato di aver avviato le pratiche per l’adozione del nipotino: «No, non l’abbiamo rapito: l’abbiamo portato a casa. Siamo stati obbligati, non abbiamo più saputo quali fossero le condizioni mentali e di salute del bambino». Ancora Aya, la tutrice: «Eitan stava facendo un percorso di recupero: adesso questo percorso è stato interrotto ». No, ribatte Gali Pelag in un’intervista alla radio israeliana: «Il nostro amato Eitan è tornato in Israele dopo aver perso tutta la sua famiglia, così come volevano i suoi genitori. Dal momento in cui è arrivato qui, è in cura presso l’ospedale Sheba Tel Hashomer dove è trattato da uno staff medico di primo livello, a causa delle condizioni complesse e delicate in cui si trova». Due famiglie: quella del papà e quella della mamma di Eitan Biran. Due famiglie e in particolare due zie che, da più di un mese, si contendono il nipotino rimasto orfano. Avvocati, denunce, ricorsi, tribunali: una guerra che pare surreale: un supplemento di pena per Eitan. «Prima il bambino era in condizioni mentali non buone. Al termine delle nostre visite piangeva, chiedeva se aveva fatto qualcosa di male», ha attaccato Gali Peleg. «Eitan stava benissimo qui con noi, giocava con le sue cuginette ed era pronto ad andare a scuola», ribatte Aya. Che le due famiglie avessero idee diverse sul futuro di Eitan si era capito già durante i 19 giorni del ricovero in ospedale a Torino. Nonni e zii materni ipotizzavano il trasferimento a Tel Aviv; zia Aya aveva ribattuto: «Abbiamo condiviso la crescita dei bambini, li abbiamo allattati insieme. Sono stati anni di gite con i passeggini, di pomeriggi passati nella piscinetta in giardino. Sono gli scatti dei nostri momenti insieme, tra dubbi, studi, lavoro, le nostre festività, i Shabbat insieme». Poi i rapporti sono degradati. Quando le hanno domandato della tutela del bambino data dal giudice italiano a Aya, Gali Peleg ha risposto: «A noi il lato legale non interessa. Non ci interessa la convenzione dell’Aja. A noi interessa solo il bene di Eitan. Abbiamo agito solo per il suo bene. Cosa avremmo potuto mai dirgli se, da grande, ci avesse rinfacciato di non averlo riportato in Israele?». Tra un botta e riposta e l’altro, si è aperta un’inchiesta per sequestro di persona. Dice lo zio Or Nirko, marito di Aya: «Io me lo sentivo dall’inizio che quella famiglia avrebbe fatto qualcosa di sporco per aggirare la legge italiana. Ma arrivare al punto di organizzare un sequestro… ». Adesso è battaglia legale. Alla denuncia per sequestro di minorenne presentata sabato da Aya alla polizia italiana, ieri mattina se ne è aggiunta una seconda, sporta in Israele contro Shmuel Peleg, il nonno materno di Eytan che l’ha prelevato da casa di Aya senza farvi più ritorno. La denuncia sul suolo israeliano accelererà l’apertura di un’inchiesta locale, che fino a ieri non era stata avviata in quanto non ancora giunta la richiesta di rogatoria internazionale. Se non interverrà prima l’autorità giudiziaria, il primo confronto tra le parti potrebbe svolgersi il 22 ottobre, quando è convocata al Tribunale per i Minorenni di Milano l’udienza richiesta dalla famiglia Peleg per reclamare la nomina della zia paterna come tutrice del bambino.

LA STAMPA - Fabiana Magrì: 'Abbiamo agito per il suo bene qui con noi avrà una vita felice'

Un lungo edificio di mattoni rossi con tante piccole finestre. Una parete a specchi che sovrasta l'ingresso e tutto intorno il via vai di un'ordinaria domenica israeliana. Lo Sheba medical center di Tel HaShomer, a est di Tel Aviv, è da sempre una delle eccellenze mondiali in ambito sanitario, diventata anche l'ultima tappa del viaggio di Eitan. «La sua casa», come l'ha definita la zia materna Gali nel messaggio inviato per avvisare i parenti paterni che ancora attendevano il suo rientro a Pavia. Una fuga, un ritorno a casa o un rapimento, a seconda delle versioni degli uni o degli altri. Un viaggio, in ogni caso, partito da Pavia e terminato, per adesso, alla periferia orientale di Tel Aviv. Piuttosto che unire i due "clan", quello materno dei Peleg e quello paterno dei Biran, la tragedia che si è consumata il 23 maggio 2021 in Italia, ha innescato una spirale "Non avevamo notizie delle sue condizioni mentali e di salute, lo vedevamo poco" di azioni e reazioni, un vero e proprio effetto a valanga su una serie di dissapori e divergenze culminati nel trasferimento forzato in Medioriente. «Dall'Italia non avevamo più notizie di lui, abbiamo agito per il suo bene» ha ribadito ieri Gali spiegando che «adesso merita una vita normale fatta di amici, sport e famiglia». Poi per spiegare il blitz aggiunge: «Siamo stati obbligati ad agire così, non avevamo notizie sulle sue condizioni mentali e di salute. Potevamo solo vederlo per breve tempo. Lo abbiamo riportato a casa, così come i genitori volevano per lui». E ancora: «Eitan ha urlato di emozione quando ci ha visto ed ha detto "finalmente sono in Israele"». L'esatto contrario di quanto ha raccontato la zia affidataria, Aya, da Pavia. Per provare a capire qualcosa in questa faida famigliare fatta di amori, interessi economici, valori culturali ed educazione religiosa bisogna spostarsi a Ramat Aviv, un sobborgo residenziale al nord di Tel Aviv, dove vive Etty Peleg (57 anni), la nonna materna. Nell'incidente, oltre alla figlia, al genero e al nipotino minore, la signora Peleg Cohen ha perso anche suo padre Itzhak (detto affettuosamente Izzy) e sua madre, cioè il bisnonno paterno dei bambini. Stretti intorno alla madre, a Ramat Aviv, ci sono le sorelle Gali (29 anni) e Aviv (22) e il fratello Guy (32). I tre, oltre a Tal, sono figli di Etty e Shmuel Peleg (58), nati prima del loro divorzio. Sono stati i tre figli, l'11 agosto, a convocare la prima conferenza stampa in Israele, sollevando le gravi accuse iniziali contro Aya Biran. Ed è stato l'ex marito Shmuel, sabato, a prelevare il nipotino Eitan e a portarlo in Israele dove adesso sta ricevendo assistenza medica e supporto psicologico. Shmuel e suo figlio Guy sono i due parenti di Eitan dal lato materno che accompagnarono le bare nel viaggio verso Israele. Con loro, a bordo dell'aereo, c'erano anche il padre di Amit e due fratelli del ragazzo, che vivono ad Aviel, un villaggio agricolo nel nord di Israele, dove si è officiato il funerale della coppia e del bambino piccolo, che adesso sono sepolti lì. Sotto le fronde degli alberi nel cimitero, al riparo dalla calura, erano state ammesse poche centinaia di persone, solo le famiglie del moshav. A cui i famigliari di Amit avevano aperto le porte di casa nei sette giorni successi, quelli della shivà, il lutto ebraico. Quel giorno Etty Peleg non ce l'aveva fatta a partecipare alla funzione ed era rimasta nella sua auto. Il giorno successivo, ai funerali di Izzy Cohen, era stato il padre di Amit a non essere presente. Stava già tornando in Italia e, subito dopo, l'aveva seguito anche Shmuel. In quei giorni di pieno lutto si era appresa la notizia che Aya era stata investita della custodia di Eitan. Ma il suo posto è in Israele, ripete da sempre nonna Etty. Sostiene che Tal e Amit stessero programmando il loro rientro permanente in Israele per l'anno prossimo. Al quotidiano Israel Hayom ha raccontato che avevano perfino comprato un appartamento a Ramat Hasharon, un elegante centro residenziale a pochi chilometri da Ramat Aviv. E poi c'è la questione identitaria, culturale e religiosa, a preoccupare il ramo materno della famiglia. «Tal e Amit si rivolgevano a Eitan e a Tom in ebraico e parlavano di ebraismo e di Israele», si è sfogata con Israel Hayom. Invece, in una delle sue visite ad Aya, alla nonna del bambino è balzata all'occhio l'assenza della mezuzah sulla porta e di qualsivoglia simbolo ebraico in casa. La notizia dell'iscrizione del nipote a una scuola religiosa cattolica ha ulteriormente infastidito la famiglia lontana. «Questa non è l'eredità che Amit e Tal volevano trasmettergli, è proprio l'opposto». Parcheggiata in strada nella via dove vive Etty Peleg Cohen, come lei stessa ha confidato nell'intervista, c'è una Renault rossa nuova di zecca. L'aveva comprata un mese prima del disastro che ha ucciso i suoi cari, in vista di una loro visita in programma a luglio. Dopo l'incidente, proprio non ci pensa a venderla. Aveva promesso che l'avrebbe usata per portare Eitan in giro, con la sua famiglia, nella sua vera patria.

NAZIONE/CARLINO/GIORNO - Aldo Baquis: "Guerra sull'educazione del piccolo: 'In Israele crescerà da vero ebreo' "

«Rapito? Noi non usiamo quella parola. Lo abbiamo riportato a casa». Così, a poche ore dal drammatico e misterioso ritorno in Israele del piccolo Eitan Biran, la zia Gali Peleg (sorella della madre, Tal Peleg) cerca di illustrare in una intervista radio le ragioni per le quali è più giusto che il nipote cresca nel Paese dove sono sepolti i genitori, e non in Italia con l'altra zia, Aya Biran. È però un'intervista ricca di reticenze. Come è accaduto che il bambino abbia passato la frontiera fra Italia e Israele con documenti in apparenza incompleti? «lo di questo aspetto non mi sono occupata», taglia corto Gali Peleg. Sui media qualcuno ipotizza che sia stato noleggiato per lui un aereo privato. Altri ritengono che sia invece passato da un Paese terzo, da dove avrebbe raggiunto Israele con un volo di linea. È stato il nonno Shmuel ad accompagnarlo? «No comment». Ma la operazione non è stata forse condotta in contrasto con la convenzione dell'Afa che tutela lo spostamento di minori? «lo non conosco gli aspetti legali. I tribunali non mi interessano. Solo Eitan mi interessa, e il suo futuro». Ma si può sapere dove è adesso, Eitan? «In un posto dove riceve le migliori cure sanitarie e mentali». Le autorità mantengono un basso profilo. Per il ministero degli Esteri è solo «una lite familiare». La polizia israeliana ha ricevuto la richiesta della famiglia Biran di indagare sul prelievo del bambino e sul suo ingresso in Israele. Secondo le prime ricostruzioni sarebbe stato condotto dal nonno Shmuel Peleg, che aveva con sé il suo passaporto israeliano. È possibile che la polizia voglia ascoltare la sua versione. La stampa locale segue con costernazione la battaglia fra le due zie, che riecheggia il classico dilemma di re Salomone di fronte all'amaro confronto fra due madri. La zia che vive in Israele sostiene che i genitori - Amit e Tal - avrebbero voluto che crescesse in Israele con una identità spiccatamente ebraica. Sono tasti a cui l'opinione pubblica locale è molto sensibile. Ieri, la zia che vive in Italia ha replicato con un sofferto testo in ebraico e in italiano in cui ha ricordato che Eitan «è un bambino, ma non è la memoria di mio fratello e della mia cognata». Non bisogna fare di lui un monumento. Per il ramo israeliano la sua futura educazione ha invece il senso della realizzazione di un testamento postumo dei genitori. «Am it e Tal - secondo Gali Peleg - progettavano di tornare in Israele quest'anno. Amit si era iscritto all'Università». Il rimpatrio di Eitan era dunque una necessità. All'arrivo, ha raccontato Gali Peleg, «bisognava vedere la sua emozione. 'Sono finalmente in Israele', ha detto. Era al settimo cielo, gli è tornato il colore sul viso». Poi sono giunte le dosi di fango, con accuse alla zia Aya di non aver mai avuto un rapporto stretto né con la madre Tal né con Eitan e di aver ottenuto la sua custodia in modo scorretto. Nel suo testo Aya Biran ha replicato di aver dovuto, suo malgrado, essere «la portatrice di cattive notizie» a Eitan. Un compito ingrato. Ha anche descritto i suoi tentativi «di dare un abbraccio a un bambino che non lo vuole, perché vuole quello della mamma. E io al fianco, con le lacrime bloccate e con un grido enorme soffocato in gola». Lei spera ora di ottenere la cooperazione delle autorità israeliane per riavere Eitan. «Vogliamo solleticarlo di nuovo facendogli 'formiche, formiche' sulla pancia» ha detto alla tv israeliana. Le sue figlie, ha aggiunto, sono in ansia per lui. «E anche il gatto Oliver lo aspetta».

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