Ma che diavolo di problema c’è con il concetto di una maggioranza ebraica in Israele?
Analisi di Eric H. Yoffie
(da Israele.net)
Eric H. Yoffie
Nel difendere la legge israeliana sulla cittadinanza, il ministro degli esteri Yair Lapid ha affermato che essa “mira a garantire una maggioranza ebraica in Israele”. Per tutta risposta, Carolina Landsmann ha scritto su questo giornale (Ha’aretz) che “un paese che si sforza di negare a una minoranza qualsiasi la possibilità di diventare maggioranza non è una democrazia”. Questa tesi non ha senso. Perché mai lo stato ebraico non dovrebbe fare tutto ciò che può fare legalmente per mantenere una maggioranza ebraica? E cosa diavolo ne è stato della sinistra sionista? Perché tanti dei suoi campioni trovano difficile sostenere una cosa così chiaramente sensata e giusta? Qualunque studente di Israele e sionismo sa che la demografia è cruciale; che il sionismo, oggi e in passato, ha sempre avuto come obiettivo la creazione di uno stato democratico a maggioranza ebraica; che lo stato d’Israele può e deve adottare misure appropriate per assicurare il mantenimento di una stabile maggioranza ebraica; che adottare tali misure e affermare onestamente le proprie intenzioni non è in contrasto con i principi democratici e con gli ideali della Dichiarazione d’Indipendenza d’Israele; e che la perdita della maggioranza ebraica significherebbe la fine del sionismo e la scomparsa dello stato di Israele. Di più. La premessa del sionismo è che vi sono molti ebrei che desiderano ardentemente vivere tra altri ebrei in uno stato a maggioranza ebraica.
Questa loro aspirazione è perfettamente comprensibile e non hanno alcuna intenzione di discolparsi per questo fatto. Sono grati che lo stato d’Israele, dopo millenni di esilio ebraico, gli permetta finalmente di realizzarla. Israele, ci ricordano, è stato creato per promuovere la religione, la civiltà e la cultura del popolo ebraico e della sua maggioranza ebraica. Grazie al cielo, dicono, c’è Israele che è l’unico posto al mondo dove sono i non-ebrei che devono adattarsi a vivere come minoranza, naturalmente con i diritti democratici e di eguaglianza civile garantiti dalla legge israeliana, almeno in teoria. È vero naturalmente, come afferma Landsmann, che Israele non deve mai “usare la forza” per contenere il numero di cittadini arabi. Giusto per ribadire ciò che è ovvio, trasferire forzatamente dei cittadini arabi fuori dal paese sarebbe una violazione delle norme democratiche e del diritto internazionale, per non parlare della tradizione e dei valori ebraici. Sarebbe il ripudio di tutto ciò che il sionismo rappresenta e dei principi che incarna. Ma assicurare una maggioranza ebraica adottando leggi e politiche coerenti con il sistema democratico è tutt’altra questione. È sia accettabile che auspicabile.
Privo di maggioranza ebraica, forse che Israele continuerebbe a garantire immediato rifugio, senza se e senza ma, a qualunque ebreo che si trovasse in pericolo e in emergenza, in qualunque altro paese del mondo? Quasi certamente no: una maggioranza non ebraica deciderebbe senza dubbio diversamente. Privo di maggioranza ebraica, forse che Israele continuerebbe ad essere l’unico paese in cui gli ebrei possono improntare il calendario alle festività ebraiche, e dove gli ebrei possono apertamente praticare in ogni aspetto della vita i valori ebraici, e sviluppare lingua e cultura ebraiche (pur nel rispetto di festività, lingua e tradizioni delle minoranze) senza dover chiedere il permesso a nessuno? Molto improbabile. Ed proprio per queste ragioni che è nato il sionismo. (…) Sono ben contento che Lapid abbia sollevato la questione demografica in un momento in cui sia la destra sionista che la sinistra sionista hanno perso la bussola su una questione che sta al centro della stessa ragion d’essere d’Israele. La destra sionista ha risposto alla questione demografica con atti illegali e la negazione del problema, costruendo insediamenti per più di 40 anni e soprattutto fondando avamposti illegali. Mentre il grosso degli insediamenti si può pensare che possa rimanere parte di Israele in una futura soluzione a due stati, i tanti avamposti illegali sparsi nei Territori rendono sempre più difficile una spartizione del paese. E l’esito più probabile diventa un unico stato bi-nazionale, a maggioranza araba. (…) Signor Lapid, finché il governo non sarà pronto a sgomberare gli avamposti illegali in Giudea e Samaria e affrontare la pirateria dei coloni più fanatici, a poco servono le prediche sulla necessità di preservare la maggioranza ebraica d’Israele. E che dire della sinistra sionista, su cui un tempo si poteva contare che fosse alla testa dell’impegno per la maggioranza ebraica in uno stato d’Israele ebraico e democratico?
È una storia lunga e complicata, ma il nocciolo della questione è che, sia in Israele che nella diaspora, la sinistra sionista vacilla paurosamente. Influenzati dai partiti arabi israeliani e della martellante propaganda palestinese, dal pensiero post-sionista, dalla repulsione per qualunque nazionalismo tipo Blut und Boden (“sangue e suolo”) e dal sincero impegno per i valori universalistici, anche i sionisti di sinistra, come i loro omologhi di destra, hanno iniziato a parlare di un unico stato con una minoranza ebraica, spesso occultato nella retorica su una “confederazione arabo-ebraica”. Ma una tale confederazione è soltanto una pia illusione che si realizzerà solo quando si vedranno gli asini che volano. Fino ad allora l’unica soluzione possibile, per quanto al momento possa sembrare improbabile, deve essere messa insieme a partire dalla realtà sul terreno. Il che significa uno stato a maggioranza ebraica costituito da uno specifico popolo, il popolo ebraico, da una specifica cultura, la cultura ebraica, e un segmento di una specifica terra, la Terra d’Israele/Palestina. E significa anche uno stato a maggioranza araba-palestinese costituito da uno specifico popolo, il popolo arabo-palestinese, da una specifica cultura, la cultura arabo-palestinese, e da un altro segmento di quella stessa terra, la Terra d’Israele/Palestina. Ogni stato avrà ovviamente delle minoranze, ma la maggioranza sarà quella che determinerà il tono politico e culturale della vita pubblica. Questa configurazione non sarà perfetta. E arrivarci non sarà facile. Potrebbero volerci molti anni per arrivare a un accordo a due stati. Ma sinistra e destra prendano nota: nel frattempo, il compito degli ebrei è adoperarsi per una separazione dei popoli che renda possibili due stati, e per una realtà demografica che veda gli ebrei come una maggioranza chiara e non contestata nella loro porzione di Terra d’Israele/Palestina. Ripeto: noi ebrei vogliamo uno stato nostro dove gli ebrei, in quanto maggioranza solida e sicura di sé, possano autodeterminarsi, governare democraticamente e vivere in pace con i nostri vicini. Questo è il sionismo. E in ultima analisi, i piani e le fantasie su un unico stato bi-nazionale finiranno col cedere il passo alla logica dei principi sionisti, che si impone da sé
(Da: Ha’aretz, 18.7.21)