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Informazione Corretta Rassegna Stampa
04.09.2021 Avvicinato da un odiatore: cosa faresti?
Analisi di Ben Cohen

Testata: Informazione Corretta
Data: 04 settembre 2021
Pagina: 1
Autore: Ben Cohen
Titolo: «Avvicinato da un odiatore: cosa faresti?»
Avvicinato da un odiatore: cosa faresti?
Analisi di Ben Cohen

(traduzione di Yehudit Weisz)


“Paul” è un ebreo australiano, sulla quarantina, che vive nella città di Brisbane nello Stato del Queensland.  Di recente, era un sabato, Paul (il nome che gli è stato dato dai media locali per proteggere la sua identità) stava camminando con suo figlio di 11 anni verso la vicina sinagoga dove avrebbero partecipato a un bar mitzvah. Lungo la strada, sono stati avvicinati da uno sconosciuto che, avendo notato le kippah indossate da padre e figlio, rivolto a loro ha gridato "Heil Hitler" facendo il saluto nazista. Dopo aver finito per sua soddisfazione la raffica di insulti antisemiti, l'uomo ha voltato le spalle e se ne è andato. Ma per Paul non era finita lì. Preso il cellulare, ha iniziato a seguire lo sconosciuto mentre lo filmava. "Ehi amico", ha gridato, “hai detto 'Heil Hitler' a me?” L'uomo però non rispondeva e così Paul ha continuato a puntare la telecamera e a chiedere perché fosse stato insultato verbalmente con uno slogan nazista. Non ci volle molto perché l'uomo entrasse in azione. Si lanciò su Paul, colpendolo forte sopra lo zigomo sinistro. Nonostante il colpo, Paul era riuscito a tenere il telefono in mano, riprendendo l'uomo in video mentre scappava dalla scena. “Colpirmi in quel modo, sei una m…”, gli gridò dietro Paul con voce tremante di rabbia. “Ti denuncio alla polizia!” Paul ha denunciato l'aggressione alla polizia di Brisbane, che ora sta indagando. In un'intervista con l'emittente locale 9 News, Paul ha messo in rilievo che l'aggressore “mi ha fatto il saluto nazista, semplicemente perché ha visto la kippah che indossavo sul capo.” Mentre la copertura giornalistica dell'incidente era profondamente solidale con Paul e suo figlio, che era stato costretto a sopportare sia gli insulti antisemiti sia la vista di suo padre che veniva preso a pugni solo perché avevano scelto quel momento per andare alla sinagoga, il giornalista di 9 News ha posto la domanda che era sulla bocca di tutti.

“Questa non è una critica nei suoi confronti, ma alcuni si chiederanno perché lei abbia inseguito quel tizio” ha ipotizzato il giornalista. Paul ebbe una risposta pronta. “Si tratta dell'importanza di difendere ciò in cui si crede”, disse. “L'importanza di resistere all'odio, contro se stessi o contro altre persone.” Era la risposta dignitosa di un uomo coraggioso, ma è l'ultima parola su questo particolare incidente? Soprattutto con l'avvicinarsi di Rosh Hashanah e Yom Kippur, vale la pena ricordare che ciò che ha vissuto Paul potrebbe accadere a chiunque di noi. Siamo quindi obbligati a impegnarci in un esame di coscienza su ciò che potremmo fare in una situazione del genere e su come bilanciare il dovere verso la nostra sicurezza e l'incolumità di coloro che sono affidati alle nostre cure, con un impulso naturale e del tutto legittimo a difendere la nostra integrità come ebrei da coloro che vogliono umiliarci. Non esiste una risposta facile da nessun punto di vista.

Come padre, devo ammettere colpevolmente che la mia reazione sarebbe stata probabilmente simile a quella di Paul; il senso di colpa deriva dalla consapevolezza, dopo che la fiammata del confronto è passata, che hai esposto tuo figlio a un pericolo inutile. E se l'uomo avesse portato un coltello o, come sarebbe molto più probabile per le strade di una città americana, una pistola? E perché provocarlo ulteriormente continuando a filmarlo al punto che eri troppo impegnato a puntare il telefono nella sua direzione per pensare a difenderti? Eppure c'è un rovescio della medaglia. Ignorare un imbecille che ti urla slogan nazisti in pieno giorno perché hai la temerarietà di indossare un copricapo in pubblico significa accettare che tale comportamento è, se non normale, una parte inevitabile dell'esperienza di essere ebreo. Camminando con indifferenza - fingendo di non vedere gli occhi che ardono di odio o la saliva che si forma agli angoli della bocca - forse ti salvi da lesioni fisiche ma tolleri che un altro tipo di dolore ti venga inferto alla mente e all’anima. È difficile per un ragazzo sentirsi orgoglioso della sua ebraicità se vede suo padre accettare gli insulti che lo prendono di mira per la sola ragione che è ebreo. Inoltre, in un momento come questo, comincia a credere che la scelta di essere ebreo non sia più, in primo luogo, una questione di fede o di cultura. È un'identità la cui adozione dipende da ciò che pensano gli altri al di fuori del tuo gruppo: voglio essere un membro di una comunità che e' ancora oggetto di un tale odio, potrebbe chiedersi un bambino di 11 anni traumatizzato? Cosa c'è di così importante nell'essere ebreo da dover sopportare di essere deriso e stigmatizzato in questo modo? Durante le prossime due settimane, i rabbini nelle sinagoghe di tutto il mondo, forniranno numerose risposte a queste domande, o versioni di esse. Ma qualunque sia la saggezza che ci giunga dal pulpito, merita ricordare la risposta imperfetta ma nobile di Paul al suo tormentatore per tre ragioni. In primo luogo, l'evidente orgoglio per il suo ebraismo, sentimento che ci ha tenuti in vita come comunità attraverso i secoli. In secondo luogo, la determinazione a non tacere di fronte all'odio e ad accettare i rischi che ne derivano. Terzo, fornire a suo figlio un esempio, anche se rischioso e irresponsabile, di ebrei che si difendono da soli. Per molti osservatori, queste caratteristiche non giustificano ancora il fatto che Paul, con suo figlio al seguito, abbia scelto di affrontare un perfetto sconosciuto con tendenze ovviamente violente. Forse la prossima volta potrebbe essere più cauto; certo, non si dovrebbe criticare la reazione inversa, che sarebbe quella di salvare se stessi e i propri cari allontanandosi. Ma Paul non lo fece perché in quel momento sentiva che era in gioco qualcosa di importanza storica: il diritto degli ebrei di essere ebrei senza discriminazioni o molestie. Quest'anno, e ogni anno, questo è un messaggio da portare sia nella mente che nel cuore. Shana Tovah !

Ben Cohen Writer - JNS.org
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate



takinut3@gmail.com

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