Il volto brutale dell'islamismo è tornato in scena
Analisi di Ben Cohen
(traduzione di Yehudit Weisz)
L'idea che ci fossimo lasciati alle spalle i giorni peggiori del terrorismo islamista è stata brutalmente infranta giovedì scorso, all'aeroporto di Kabul, quando un doppio ordigno è esploso indiscriminatamente tra civili afgani e militari americani e stranieri che cercavano di portare a termine la disperata evacuazione di migliaia di persone, per le quali il regime dei talebani rappresenta il destino più terribile. Il Generale H.R. McMaster, ex consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti che ricoprì la carica di vice comandante della forza internazionale in Afghanistan, nelle ore che seguirono lo spargimento di sangue a Kabul si è sinteticamente espresso. “Forse è giunto il momento in cui dobbiamo smettere di auto illuderci che questi gruppi siano separati l'uno dall'altro e dobbiamo riconoscere invece che essi sono estremamente intrecciati e interconnessi tra loro, e che ciò a cui assistiamo è la creazione di uno Stato terrorista e jihadista in Afghanistan,” ha osservato in un'intervista alla BBC McMaster, un critico viscerale della strategia di ritiro degli Stati Uniti perseguita da entrambe le amministrazioni Trump e Biden . “ Il risultato è che tutti noi saremo esposti ad un rischio molto più alto.”
La sua tesi di fondo è che parlare di divisioni tra i talebani e altri fanatici islamisti – come l’ ISIS-K, il ramo afghano dell'organizzazione terroristica Daesh in Iraq e in Siria, che ha compiuto l'attentato all'aeroporto di Kabul - eliminerebbe il concetto che questi gruppi sono uniti nella loro fondamentale visione del mondo. Sul fronte ideologico, resta ferma la promessa del defunto leader di Al-Qaeda, Osama bin Laden, di una guerra contro “crociati ed ebrei”, il che significa terrorismo contro gli interessi occidentali e gli obiettivi occidentali, la maggior parte dei quali saranno civili indifesi. Significa anche, per coloro che hanno la sfortuna di vivere sotto il diretto controllo degli islamisti, che i musulmani comuni continueranno ad essere le loro vittime principali e più numerose. Le connessioni “intrecciate” descritte da McMaster all'interno dell'Afghanistan, le possiamo vedere più in generale nella regione. Nel preciso momento in cui i talebani hanno conquistato l'Afghanistan, l'Iran aveva appena nominato un nuovo gabinetto, composto da uomini con un ruolo diretto e personale nel terrorismo, nella tortura e in altre violazioni sistematiche dei diritti umani, ciascuno dei quali ha stretti collegamenti con i surrogati regionali dell'Iran, come Hezbollah in Libano. In passato, molti analisti avevano deriso la tesi secondo cui potrebbe esserci una connessione strategica tra l'austero Islam sunnita a cui aderiscono i Talebani e l'Islam millenario sciita che definisce il regime di Teheran. È anche vero che i talebani e gli iraniani si erano scontrati in un lontano passato, come si è visto nella città afgana di Mazar-e-Sharif nel 1998 in seguito al rapimento di un gruppo di diplomatici iraniani da parte di combattenti talebani.
Tuttavia, ciò che li unisce è, in ultima analisi, più importante di ciò che li divide. Delegazioni talebane hanno visitato l'Iran in almeno due occasioni quest'anno, a gennaio e a luglio, con il ministro degli esteri uscente Javad Zarif che ha recentemente elogiato la loro "nobile... jihad contro gli occupanti stranieri". In parte, gli iraniani stanno semplicemente scommettendo sul cavallo vincente, deducendo correttamente che non è necessario un ulteriore conflitto con i talebani, dato che i talebani sono ancora una volta i padroni dell'Afghanistan. Ma la cosa più importante è che condividono l'obiettivo comune, quello di bandire gli Stati Uniti e i loro alleati dalla regione, compreso lo Stato di Israele e, si presume, quegli Stati arabi del Golfo conservatori che hanno fatto la pace con lo Stato ebraico. Il che mi riporta al nuovo governo iraniano. Non sorprende che il nuovo presidente della Repubblica islamica, Ebrahim Raisi, un sadico che, come procuratore del regime negli anni '80, supervisionò pestaggi, stupri ed esecuzioni di massa di prigionieri, abbia nominato un gruppo di delinquenti nel suo gabinetto. Ma l’aspetto preoccupante è il silenzio assoluto degli Stati occidentali sul messaggio inconfondibile che questo governo invia. Perché questa non è un'occasione per seguire il principio di non commentare le nomine politiche in altri Paesi. Il nuovo ministro della difesa iraniano è Ahmad Vahidi, che sta tornando a questo incarico per la seconda volta nella sua carriera, dopo averlo occupato in precedenza durante il mandato dell'ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, quello che negava la Shoah.
Il vicepresidente per lo sviluppo economico è Mohsen Rezaei, un feroce devoto del fondatore della Repubblica islamica, l'Ayatollah Khomeini, e già comandante per 17 anni del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC) iraniano. Sia Vahidi che Rezaei sono ricercati dalla giustizia, in particolare, per i loro ruoli nell'attentato sponsorizzato dall'Iran del luglio 1994 al centro ebraico AMIA nella capitale argentina Buenos Aires, il più sanguinoso atto di terrorismo antisemita in più di mezzo secolo, nel quale 85 persone hanno perso la vita e più di 300 sono rimaste ferite. Entrambi sono stati tra i soggetti di sei “avvisi rossi” emessi dall'Interpol, l'agenzia internazionale di polizia, nel 2007 in relazione alle atrocità dell'AMIA . Più di un quarto di secolo dopo l'attentato dell'AMIA, Vahidi e Rezaei siedono a Teheran, sicuri e impassibili, un promemoria quotidiano che dimostra che non è mai stata resa giustizia a coloro che sono morti o che hanno perso i loro cari in quella terribile mattina a Buenos Aires. Tuttavia, l'obiettivo finale non è dare un pugno nell’occhio alla comunità internazionale piazzando due terroristi nel governo. Come tutti gli Stati autoritari, al regime iraniano piace fare teatro politico, retorica sanguinaria e lo spettacolo che ne consegue, ma questi sono soltanto un mezzo per raggiungere un fine.
Vahidi e Rezaei sono invece nel gabinetto perché c'è un lavoro da fare e Raisi - e dietro di lui, il Leader Supremo Ayatollah Ali Khamenei - ha giudicato che fossero gli uomini giusti per farlo. In tutto il Medio Oriente e nel mondo islamico, i regimi estremisti e i gruppi terroristici si rallegrano del fatto che la presenza e la reputazione degli Stati Uniti nella loro regione siano un’ombra di quel che erano stati solo 10 anni fa. Non hanno torto; le opzioni dell'America sono in gran parte limitate alla diplomazia e alle sanzioni. Alla luce di ciò, non c'è motivo per l'amministrazione Biden di continuare i suoi colloqui con gli iraniani a Vienna sul loro programma nucleare a meno che non voglia sembrare ancora più sprovveduto agli occhi degli avversari islamisti dell'America. Deve inoltre rivedere le sanzioni in atto contro l'Iran ed estenderle ove necessario. Se Vahidi o Rezaei comparissero come ospiti ufficiali di un alleato degli Stati Uniti - la Turchia è l'esempio ovvio - allora gli Stati Uniti dovrebbero dichiarare il loro disappunto. Nessuna di queste mosse può dirsi rivoluzionaria. Ma dimostrano la mancanza di una visione più ampia per il Medio Oriente da parte delle amministrazioni statunitensi che si sono succedute, salvo l'ambizione di uscire dalla regione il più rapidamente possibile. Come ci ha ricordato McMaster durante la carneficina dell'aeroporto di Kabul, la regione non ci lascerà andare così facilmente.
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate