La crisi afghana si aggrava
Analisi di Antonio Donno
I paesi che circondano l’Afghanistan osservano attentamente l’evolversi degli avvenimenti in corso, ma i più interessati sono l’Iran, il Pakistan e, ovviamente, la Cina. La Russia, pur essendo territorialmente distante dal paese afghano, è fortemente interessata alle sorti di Kabul. Tutto è connesso ai legami che possono stabilirsi tra l’Emirato talebano e la Russia e la Cina, ma per ora le due potenze attendono lo sviluppo della situazione interna afghana, soprattutto dopo gli attentati suicidi ad opera dell’Isis. Gli interessi di Pechino e Mosca in Afghanistan, se la situazione interna dovesse degenerare in una guerra tra i talebani e l’Isis, potrebbe avere due possibili risvolti: le due potenze asiatiche preferirebbero non immischiarsi in un conflitto dagli esiti incerti, almeno sino a che la situazione afghana non dovesse presentarsi più favorevole a un intervento. È vero, tuttavia, che sarebbe impossibile che, nel caso la situazione afghana esplodesse, Cina e Russia starebbero a guardare il precipitare di una crisi nel cuore dell’Asia. Una situazione di estrema complessità dopo il ritiro degli Stati Uniti e della Nato.
La presenza di Washington e della Nato faceva il gioco delle due potenze asiatiche. In fondo, la stabilità dell’Afghanistan era legata alla sua decennale instabilità, perché la guerra tra i talebani e gli Stati Uniti, più la Nato, finiva per non determinare un esito ben definito, ma tuttavia favorevole al mantenimento di uno status quo che, nonostante tutto, non produceva la crisi finale cui oggi stiamo assistendo e che porterà giocoforza al coinvolgimento di Russia e Cina. Il ritiro degli Stati Uniti ha fatto precipitare la situazione.
Joe Biden con Anthony Blinken
Al di là dell’umiliazione patita dagli Stati Uniti con il ritiro precipitoso dall’Afghanistan, di cui si è parlato abbondantemente sulla stampa internazionale, quello che si prospetta nel futuro immediato è la possibile ridefinizione degli equilibri nell’Asia Centrale, in cui gli interessi delle potenze asiatiche potrebbero confliggere tra di loro e scontrarsi con il conflitto che si sta profilando tra i talebani e l’Isis, senza contare la possibile intromissione di Al-Qaeda. Se si considera tale quadro centro-asiatico, il ritiro degli Stati Uniti appare in tutta la sua gravità. L’Afghanistan, dunque, è abbandonato a se stesso. Saranno in grado i talebani di organizzare un governo che sappia affrontare le sfide della miseria interna e delle pressioni esterne? Ma, soprattutto, la società civile afghana, che ha vissuto un ventennio di emancipazione, soprattutto nelle città, avrà la forza di organizzare un’opposizione interna contro il ritorno al potere delle forze dell’oscurantismo islamico?
Occorre, inoltre, considerare l’influenza che la crisi afgana potrà avere verso la parte meridionale del Grande Medio Oriente, verso il Medio Oriente propriamente detto, dove Israele è in attesa degli esiti delle trattative tra Iran e Stati Uniti sul nucleare e sulla questione dei missili balistici di cui Teheran intende dotarsi, e dei risultati che lo vedono impegnato con Hamas. Quest’ultimo ha salutato con grande enfasi la vittoria dei talebani, mentre l’Iran e l’Autorità Palestinese nella West Bank hanno mantenuto un certo riserbo. L’Iran, in particolare, ha un passato di amore-odio verso i talebani, a seconda delle particolari circostanze che hanno visto relazionarsi i due paesi su specifiche questioni. Benché l’incontro Bennett-Biden si sia concentrato prevalentemente sul pericolo che l’Iran rappresenta per Israele, non v’è dubbio che la crisi afghana, con le sue ripercussioni nella regione, potrebbe avere nel futuro esiti imprevedibili nella parte meridionale del Grande Medio Oriente e nello stesso Golfo Persico. La storia di quella immensa regione ci ha insegnato come nulla possa considerarsi definitivo e stabile – Henry Kissinger lo ha scritto di recente – ma che, purtuttavia, occorra impedire che l’acuirsi della crisi afghana, con l’intervento di altre formazioni terroristiche, possa degenerare in un conflitto dai confini sempre più vasti, con implicazioni militari che mettano in allarme Israele e i paesi arabi sunniti che hanno firmato gli Accordi di Abramo con Gerusalemme.
Antonio Donno