Riprendiamo dalla REPUBBLICA Robinson di oggi, 28/08/2021, a pag.17 con il titolo 'Varsavia brucia' l'analisi di Wlodek Goldkorn.
Wlodek Goldkorn
La copertina (Adelphi ed.)
In Polonia, la chiamavano "la generazione dei Colombo". Erano poeti e scrittori, maschi, nati attorno all'anno 1920 e che poco più che ventenni avevano fatto l'esperienza della guerra e dell'occupazione nazista e così come Cristoforo Colombo scoprì l'America, scoprivano i volti sconosciuti del proprio paese. Soprattutto avevano partecipato, nel 1944, all'Insurrezione di Varsavia: un'esperienza che ha segnato per il resto della vita coloro che ne era sopravvissuti. Uno di loro, in radicale controtendenza rispetto alle narrazioni tragiche ed eroiche dei coetanei, è stato un grande poeta, Miron Bialoszewski. Bialoszewski è nato nel 1922, è scomparso nel 1983, e nel 1970 pubblico Memorie dell'Insurrezione di Varsavia, ora in uscita in italiano con Adelphi, a cura di Luca Bernardini, che firma pure un saggio, una specie di postfazione, Un Nikola Rostov tra gli insorti di Varsavia. Quando apparve, il libro suscito scandalo: per la forma, per il contenuto, ma anche per la genesi. L'autore raccontava una città in battaglia, dal punto di vista di un giovane non combattente. Sembrava una specie di turista fra gli insorti: un'offesa alla sacralità di una memoria fondamentale per l'identità dei polacchi.
Al libro ci torneremo, ma intanto proviamo a ricostruire il contesto storico. Siamo nell'estate 1944. A luglio, l'Armata Rossa, con l'ausilio di un esercito comandato dai comunisti polacchi, ha insediato a Lublino, nell'Est del paese un governo filosovietico, ed è ferma sulla sponda orientale della Vistola, il fiume che attraversa Varsavia. In Polonia, tra le forze della resistenza, egemone è l'Armata dell'interno (Ak), un'organizzazione clandestina che fa riferimento invece al governo in esilio a Londra e a cui partecipano quasi tutti i partiti, ad eccezione dei comunisti. In quella situazione i vertici dell'Armata dell'interno decidono che Varsavia debba insorgere, che i cittadini della capitale debbono combattere contro i nazisti. Si immaginavano di provocare l'intervento dei russi e di poter trattare con Mosca il futuro assetto politico del paese? In ogni caso il primo agosto comincia l'insurrezione. I combattimenti durano due mesi. Nessuno aiuto arriva dalle truppe sovietiche. Il numero delle vittime è stimato fra le 150 mila e 200 mila persone. I sopravvissuti vengono deportati. Varsavia è distrutta: i tedeschi la trasformano in un ammasso di macerie. Nella capitale muore quella che potremmo chiamare "la meglio gioventù": giovanissimi impegnati in politica, letteratura, vita sociale. E molti degli esponenti del governo di Londra, fra cui il generale Wladyslaw Anders al comando delle truppe polacche che stanno partecipando alla liberazione dell'Italia, considerano quell'insurrezione un grave errore. Eroismo dunque e disfatta.
E da allora, quella memoria è oggetto di discussione. Non la riassumeremo, se non per dire che negli anni Quaranta e Cinquanta, il regime trattava la rivolta del 1944 come un'ulteriore prova del fallimento "delle forze reazionarie", mentre nelle famiglie si coltivava il ricordo dei ragazzini che sacrificarono la vita per un ideale. Poi, negli anni Sessanta, quella memoria, in una versione dai forti connotati nazionalisti divento anche patrimonio del partito al potere: vennero pubblicati libri, diari e via elencando in gloria dei patrioti sconfitti.
In quella situazione Bialoszewski, un poeta di non facile lettura, omosessuale dichiarato, pubblica le sue Memorie. Lui è un civile che vaga per la città in fiamme e bombardata dall'aria. Racconta i bunker dove si nascondono le persone. Parla dei feriti e dei morti che vede nelle cantine trasformate in ospedali da campo. È affascinato dai corpi dei maschi. Annota le vicende legate alla ricerca del cibo. Il suo è uno sguardo pieno di stupore: da qui il paragone con il conte Rostov, uno dei protagonisti di Guerra e pace di Tolstoj che si stupisce che i francesi vogliono ucciderlo in battaglia. Poi ci sono le reminiscenze della Rivolta del ghetto nel 1943, della giostra che girava accanto al muro mentre nel quartiere ebraico la gente moriva in fiamme. C'è empatia per la signora Stefa, un'ebrea amica di famiglia, che stava per essere denunciata dalla portinaia. Tutto questo è raccontato senza prendere posizione. Bialoszewski si presenta come un antieroe. E anche il linguaggio non è aulico ma come se fosse una conversazione fra amici. Il libro fu attaccato duramente. Lo lodò invece una studiosa femminista, Maria Janion, che parlo di capolavoro assoluto. E infatti, oggi, le femministe polacche, quando parlano dell'Insurrezione e dell'uso che ne fa la retorica dei sovranisti, oltre a Bialoszewski, che funzionò da apripista, fanno il riferimento a una poetessa, Anna Swirszczynska, che parlava degli adolescenti mandati a combattere e delle donne, sacrificati dai maschi adulti incapaci di apprezzare il valore della vita. Ma questa è un'altra storia.
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