Le allegre serate di Stalin
Commento di Diego Gabutti
Stalin
Nei musical c’è questo di strano (e di bello): che non soltanto i personaggi principali, di solito due innamorati e un guastafeste, da una parola in su cominciano a cantare, e per di più con voce sempre perfettamente intonata, ma che il canto è accompagnato dalla musica di un’orchestra invisibile. Capitava anche in URSS, nel paese felice della dittatura operaia, dove il Padrone commissionava musical ai suoi registi e non fingeva neanche più di preferire un film di Ėjzenštejn (roba già da cineclub quando i cineclub ancora non esistevano) ai film di Ginger Rogers e Fred Astaire che gli proiettavano la sera a domicilio. A uno dei suoi registi di fiducia, Grigorij Aleksandrov, Stalin suggerì (o consentì con un cenno distratto del capo) di girare un musical tratto da una commedia intitolata Cenerentola, opera di Viktor Ardov.
La locandina di Svetly put
Nacque così Svetly put, noto all’estero (tra i diavoli stranieri) come Bright Path, percorso luminoso, ma anche come Tanya, «film basato su una fiaba classica, ma con una curvatura sovietica». Siamo nel 1940. Hitler ha deportato l’intero ghetto di Varsavia nei campi cosiddetti «di lavoro» (e presto più precisamente detti «di sterminio») mentre l’Armata rossa, accampata poco fuori città, sta beatamente a guardare e per ingannare il tempo, nella paziente attesa che si compia il destino dei giudei, riempie con ben 22.000 cadaveri d’ufficiali, di cittadini e di prigionieri di guerra polacchi le fosse scavate nella foresta di Katyn’. La Wehrmacht, che al momento sta dilagando in Europa, s’appresta a invadere anche la Russia bolscevica, che sempre al momento è sua alleata, e il Padre dei popoli, come si legge nel Boia di Stalin, una biografia del sinistro capo dell’OGPU, Lavrentij Pavlovič Berija, opera di Riccardo Luciani, «si compiace nell’organizzare gare a chi beve di più, costringe i commensali a ballare oppure li sottopone a scherzi che lo divertono, come quello di mettere un pomodoro sopra la sedia del commensale mentre questi si accinge a sedersi a tavola».
Mentre il mondo va in malora, Stalin sgavazza, scherza e guarda Svetly put, ridendo a tutte le battute, battendo col piede ogni volta che parte la musica. Film pieno di gag da slapstick comedy, quasi tutte (be’, diciamo pure tutte) rubate alle «comiche finali» del classico cinema muto americano, il film di Grigorij Aleksandrov è la storia di Tanja Morozova, una giovane contadina, bionda, bene in carne, che vive in un umile villaggio ubicato da qualche parte nelle steppe. Qui sono tutti felici, tutti ballerini, e non soltanto perché lo vuole il Padrone, finalmente sazio e rilassato ora che non gli restano più nemici di partito da divorare dopo il fiero pasto dei Processi di Mosca, ma perché tutti gli abitanti del villaggio, dal primo all’ultimo, indossano camicie mugicche e tute da lavoro d’alta sartoria. Abiti di sartoria e niente kulaki (tutti morti male o deportati). Che si può chiedere di più a un’utopia? Tanja Morozova, tuttavia, non è ancora felice come merita. Sogna di vivere nella metropoli, sogna di servire il popolo dall’interno delle istituzioni centrali, ma soprattutto sogna un principe azzurro, come tutte le biondone. Ed ecco arrivare il principe. Si flirta, si canta, «m’ama-non m’ama», si balla e si sogna sempre più in grande. Sogni efficaci, sogni che si realizzano: l’Ordine di Lenin, un posto a sedere nel Soviet centrale, dove Stalin o Molotov o Berija o Ždanov possano notarla e farle piedino sotto il tavolo.
Gran finale arci-onirico che anticipa d’un bel po’ d’anni sia Miracolo a Milano di Vittorio De Sica che Un professore tra le nuvole della Disney: là barboni o professori tra le nuvole, qui Tanya che sale in automobile, e l’automobile s’alza in volo. Vola verso la capitale, Mosca, una Mosca surreale, la Mosca del futuro, dove svetta il Palazzo trompe-l’œil del Comintern progettato dagli architetti Boris Iofan e Vladimir Shchuko: un immane mausoleo, costruito sopra le macerie della cattedrale di Cristo Salvatore, sulla cui sommità giganteggia una statua di Lenin Salvatore con la testa tra i banchi di nuvole. Tanya vola e canta, felice d’essere passata, come Alice, attraverso lo specchio. Ma il vero effetto «speciale» è Stalin – Stalin che con quei baffoni e quel ridicolo cappello a visiera, si gode lo spettacolo fantasy di Svetly put, un film che gli piace molto più di quella boiata pazzesca della Corazzata Potëmkin. Bella anche la colonna sonora, pensa il Corifeo delle Scienze. Buona musica, musica da ballare, musica kazachok da mettersi a braccia conserte e da gettare le gambe in fuori, mica quelle stonate, dissonanti, jazzistiche, «negroidi» sinfonie reazionarie che compone Dmitrij Dmitrievič Šostakovič, un gran nemico (delle orecchie) del popolo se mai ce n’è stato uno, come sempre in quei giorni si legge sulla Pravda.
Diego Gabutti