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Difesa online Rassegna Stampa
25.08.2021 Afghanistan: tutti gli errori di Biden
Analisi di Antonio Li Gobbi

Testata:Difesa online
Autore: Antonio Li Gobbi
Titolo: «Errori e bugie di Biden li pagheranno con il sangue gli afghani»
Riprendiamo da DIFESA online l'articolo di Antonio Li Gobbi dal titolo "Errori e bugie di Biden li pagheranno con il sangue gli afghani".

Generale Li Gobbi:
Antonio Li Gobbi

Le immagini che arrivano da Kabul sono drammatiche. Purtroppo sappiamo anche che nelle provincie la situazione è persino molto più grave che nella Capitale. Non occorre essere indovini per tentare di immaginare cosa accadrà a coloro che i talebani riterranno (a torto o a ragione è del tutto irrilevante) troppo poco “islamici” o troppo “occidentali”! Le decine di migliaia di persone che tentano di lasciare il paese a costo della loro vita, anche attaccandosi alle ruote di un aereo in decollo, le madri e i padri che tentano di consegnare i propri figli a soldati stranieri mai visti prima per salvarli dal regime talebano, pur con la sicurezza che non li vedranno più in tutta la loro vita, sono immagini che ci colpiscono in maniera ancora più profonda di quanto, magari, non facciano le immagini di esecuzioni barbariche di nostri ex collaboratori. Era tutto prevedibile e previsto. Però, per interessi di consenso elettorale si è scientemente scelto di far finta di non vedere, di far finta di non capire! Ora le lacrime di coccodrillo da parte di chi poteva parlare e aveva voce in capitolo sono solo offensive per quei milioni di afghani ingannati e poi traditi da un Occidente fedifrago a guida americana. In questo contesto, a molti, come a me, i tre discorsi auto-assolutori tenuti da Biden alla nazione il 16, il 20 ed il 22 agosto non possono non aver provocato una profonda sensazione di disgusto.

Troppe bugie. Troppe incongruenze. Troppo distaccato disinteresse per la vita umana. Un disgustoso tentativo di discolparsi, che poteva essere comprensibile da parte di un ragazzino colto per la prima volta a rubare, ma non da parte del Presidente degli Stati Uniti d’America, potenza cui ancora oggi guardano in tutto il mondo come un riferimento coloro che credono nella democrazia, nella libertà, nella difesa dei diritti. Soprattutto, un tale discutibile esercizio di scarico delle proprie responsabilità non era accettabile alla luce delle sofferenze del popolo afghano! Il discorso più indicativo è stato il primo, quello tenuto il 16 agosto, aIl’indomani della prevedibile caduta di Kabul. I successivi interventi del 20 e 22 agosto, con cui Biden ha maldestramente tentato di aggiustare il tiro, non hanno fatto che confermare il suo totale disprezzo per la vita di quegli afghani che si erano fidati delle promesse degli Stati Uniti. Sia ben chiaro che il “vero” Biden è quello del primo discorso. Quello in cui ha tentato di negare l’evidenza dei fatti e scaricare tutte le proprie responsabilità su altri. Il secondo e il terzo intervento ci presentano un Biden a mio avviso meno genuino, costretto (si presume dal suo staff) a tentare di mettere delle “pezze a colori” alle azzardate dichiarazioni dell’intervento precedente. Il primo era un discorso in cui il POTUS (President Of The United States) si assumeva l’intera responsabilità delle sue decisioni. Nel secondo, invece, incomincia affermando di essersi consultato con “la vice presidente, il segretario Blinken (esteri), il segretario Austin (difesa), ecc.ecc”. Mancava solo che dicesse di essersi consultato anche con i frequentatori del suo circolo del tennis. Insomma, meglio coinvolgere più gente possibile nella corresponsabilità di decisioni che si sanno essere sbagliate! Il terzo intervento è stato tutto uno sbrodolamento su come gli USA siano stati bravi ad evacuare, sino a quel momento, 33.000 persone e come nessun’altra nazione, a parte gli USA, avrebbe potuto mettere in piedi una operazione così colossale. Peccato che se le cose fossero state pianificate in maniera meno approssimativa non ci sarebbe stato bisogno ora di questa disperata operazione di evacuazione. Il presidente ha anche affermato che nulla sarebbe cambiato se lo sgombero di queste persone fosse iniziato un mese prima. Quanto questa affermazione sia risibile penso chiunque lo possa comprendere. Il 22 agosto il presidente Biden ha anche presentato, come una grande idea, che da ora in poi si utilizzeranno aerei civili per decollare da Kabul! Il motivo per cui si impiegavano finora, e da anni, aerei militari è dovuto al fatto che tali velivoli sono dotati di capacità per ingannare eventuali missili terra-aria. Ovviamente l’aereo di linea non ne è dotato. In un periodo in cui l’intelligence avvisa in merito a potenziali attacchi terroristici dell’ISIS in zona aeroporto, mi sembra che questa scelta possa donare sia a ISIS sia a Talebani un bersaglio particolarmente facile e remunerativo! Particolarmente preoccupante, per noi europei, è che Biden ha sottolineato il fatto che NESSUN volo da Kabul arriverà direttamente negli USA. Tutti faranno scalo nelle basi USA in Europa o in Asia (in Italia Sigonella e Aviano). In queste basi tutto il personale evacuato in fretta e furia da Kabul (ovviamente senza alcun controllo preventivo, dato il modo caotico in cui l’operazione viene condotta) verrà vagliato scrupolosamente. Solo i cittadini americani o chi ha operato per gli americani e non ha alcun precedente penale potrà entrare negli USA! IL CHÈ SIGNIFICA CHE GLI AMERICANI NON DEVONO PREOCCUPARSI PER TUTTI COLORO CHE NON SI SA CHI SIANO E CHE NEL CAOS DI UNA EVACUAZIONE FATTA ESSENZIALMENTE AD USO DELLE TELECAMERE SONO STATO PORTATI VIA DA KABUL (TERRORISTI, CRIMINALI COMUNI E NARCOTRAFFICANTI INCLUSI). PERCHÉ SE NON AVESSERO TUTTI I REQUISITI DI SICUREZZA, “QUESTI INDIVIDUI VERRANNO LASCIATI IN CARICO AI NOSTRI ALLEATI EUROPEI”! Ovviamente non lo ha detto con queste parole, ma il senso era tale, forte e chiaro. Non toccherò certamente tutti gli aspetti che non tornano nei tre discorsi di Biden, ma mi limiterò solo ad alcuni punti che più di altri mi hanno ferito. Nel primo intervento Biden non ha degnato neanche di un cenno quelle nazioni che per vent’anni hanno inviato soldati in Afghanistan (pur senza avere, a differenza degli USA, alcun interesse nazionale in Asia Centrale, ma solo per spirito di coesione e di lealtà nei confronti di un Alleato colpito duramente l’11 settembre, anche se sappiamo bene che non furono gli afghani ad attaccare le Torri Gemelle).

Nazioni che hanno subito con stoicismo perdite umane (in un conflitto in cui la NATO faceva solo da prestanome, mentre le decisioni venivano assunte dall’altra parte dell’Atlantico), nazioni che hanno investito cifre enormi per supportare la lotta agli “insurgents” (talebani, ISIS, narcotrafficanti o altri oppositori del governo) e per finanziare la ricostruzione delle forze di sicurezza afghane e un nation-building, forse poco efficiente ma certamente molto costoso, sulla base di una road-map tracciata a Washington. D'altronde se ci si comporta da “attendenti” probabilmente si verrà trattati da “attendenti”. Questo aspetto può essere risultato offensivo per gli Alleati, ma non è certo il più rilevante. Comunque, dopo le inevitabili lamentele che gli sono pervenute almeno dagli alleati con maggior dignità (tra cui la Merkel e Macron), nel secondo intervento Biden ha tentato di aggiustare il tiro, peraltro esagerando un po’. Infatti, si è spinto ad affermare “I nostri Alleati NATO sono convintamente al nostro fianco” (Our NATO Allies are strongly standing with us). Risulterebbe, invece, che più di un paese NATO (tra cui Italia e Regno Unito) avessero già a suo tempo manifestato le proprie perplessità in merito alle tempistiche affrettate del ritiro e che, negli ultimi giorni, molti leader politici di paesi NATO stiano manifestando il proprio disaccordo con Washington (l’ex-premier laburista Blair è giunto a definire “imbecille” l’approccio del presidente USA al ritiro dall’Afghanistan). Manifestazioni di disaccordo comunque tardive e fuori tempo massimo! La conferma indiretta del malessere in ambito Alleanza ci viene anche dalla deludente conferenza stampa del segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, al termine della inconcludente riunione straordinaria dei ministri degli Esteri dell’Alleanza del 20 agosto. Conferenza stampa durante la quale Stoltenberg ha ripetutamente negato qualsiasi contrasto in merito tra Europei e USA (“excusatio non petita... accusatio manifesta!”) Soprattutto, però, non ho trovato accettabile che le colpe della repentina caduta una dopo l’altra delle città afghane, come in un tragico gioco del “domino”, siano state interamante scaricate sugli Afghani che Biden ha accusato di “non aver combattuto”! Ha dichiarato: “La verità è che tutto si è avvenuto più rapidamente di quanto ci aspettassimo. Allora, cos'è successo? I leader politici afghani si sono arresi e sono fuggiti dal paese. L'esercito afghano è collassato, a volte senza cercare di combattere” (The truth is, this did unfold more quickly than we had anticipated. So what’s happened? Afghanistan political leaders gave up and fled the country. The Afghan military collapsed, sometimes without trying to fight) In merito alla resistenza delle forze afghane Biden ha detto “abbiamo fornito loro ogni possibilità di determinare il proprio futuro. Ciò che non siamo stati in grado di fornire loro era la volontà di lottare per quel futuro” (we gave them every chance to determine their own future. What we could not provide them was the will to fight for that future). Biden ha, infatti, tentato di giustificare il fallimento sia militare sia politico degli USA scaricando le responsabilità sul governo e sulle forze di sicurezza afghane. Peccato che sia stato proprio Washington a forgiare in questi 20 anni sia il “governo centrale” (evidentemente disconnesso dalla realtà e dalla cultura del paese) sia quelle forze armate e di polizia strutturate su modelli occidentali che ora si accusano di non aver combattuto. Che il governo centrale di Kabul mancasse dell’autorevolezza per catalizzare intorno a sé la resistenza contro i talebani mi pare fosse evidente. Le migliaia di diplomatici e di operatori dell’intelligence USA che per 20 anni sono stati nel paese ne erano sicuramente a conoscenza. Altrettanto, ritengo dovessero esserlo CIA, Dipartimento di Stato, Dipartimento della Difesa e National Security Advisor. Le forze militari non hanno combattuto? Sappiamo che gli afghani sono un popolo di combattenti. Sono stati addestrati e seguiti da mentors USA e NATO per anni. Così scadenti non avrebbero dovuto esserlo, ma se lo fossero stati, a Washington non potevano non sapere.

Per combattere serve motivazione e, di norma, una speranza sia pur remota di successo. Con gli accordi di Doha era evidente a tutti che gli USA avessero “regalato” il paese ai talebani. Pertanto, è in fondo comprensibile che fosse carente la motivazione per “combattere e morire” per un governo in cui forse la maggioranza degli afghani non credeva. Né, dopo gli accordi di Doha, ci potevano essere troppe speranze per un futuro senza i talebani al potere. Inoltre, non si è voluto riconoscere il rischio connesso con un ritiro troppo repentino degli assetti intelligence e del supporto aereo ravvicinato USA di cui usufruivano gli afghani. Così come il ritiro di migliaia di “contractors” che avevano garantito le capacità manutentiva per gli assetti aerei e per gli assetti tecnologicamente più complessi. Tutto ciò proprio all’avvio di una stagione di combattimenti che era facile prevedere sarebbe stata particolarmente intensa (e non solo per la stagione favorevole). L’impatto psicologico sulle forze afghane evidentemente è stato sottostimato. Sottolineare, come fa Biden, una supposta superiorità militare del governo afghano parlando esclusivamente in termini di numeri di uomini alle armi e relativi armamenti trascura (volutamente o meno) il punto più importante: la volontà di combattere per il governo. Comunque, anche in questo caso, possiamo credere che i militari americani e NATO che hanno addestrato e formato tali forze non si fossero resi conto delle reali possibilità di reazione delle forze armate e di polizia afghane una volta lasciate sole e di quale fosse in realtà la volontà popolare di combattere e morire per il governo Ghani? Non credo! Temo che coloro che inevitabilmente se ne siano resi conto (sia in Teatro sia a Washington) abbiano taciuto per convenienza o più probabilmente siano stati messi a tacere per non indispettire il potere politico e contrastare la “visione” di Biden. Come confermano autorevoli fonti giornalistiche USA, rapporti in tal senso erano giunti sino alla scrivania del presidente. Quindi Washington e il presidente certamente potevano avere il polso della situazione reale in Afghanistan. I casi sono pertanto solo due (ed entrambi poco onorevoli per l’attuale inquilino della Casa Bianca): o ha mentito ai suoi elettori o nelle settimane e nei mesi precedenti si è rifiutato di prendere in considerazione rapporti dal teatro che contrastavano con il suo personale disegno. Lascio ai lettori decidere quale possa essere l’opzione peggiore! Ho trovato ancora più grave che il “Commander in Chief” abbia dichiarato “non ci aspettavamo che i talebani arrivassero a Kabul così in fretta”. Quindi era perfettamente cosciente di aver lasciato gli Afghani in “braghe di tela” e che i talebani avrebbero sopraffatto le forze regolari e avrebbero preso il potere nel paese al posto dei governanti selezionati dagli USA (e percepiti come alieni da gran parte delle popolazioni afghane)! Ovvero, ci si è ritirati sapendo che quelle popolazioni cui per venti anni si sono fatte promesse sarebbero state sopraffatte. Soltanto, si trova estremamente seccante che gli afghani siano stati sconfitti quando i soldati americani, o meglio le televisioni internazionali, erano ancora nel paese.

Che ingrati questi afghani, che insensibili a crollare così presto e obbligare il POTUS a interrompere le proprie vacanze per giustificarsi di fronte ad una nazione che non immaginava il caos che gli USA avevano lasciato in Afghanistan! Peraltro, le dichiarazioni più preoccupanti di Biden sono quelle che ci paiono negare la storia degli USA e la storia dell’intervento in Afghanistan. Il presidente USA ha dichiarato “Siamo andati in Afghanistan quasi 20 anni fa con obiettivi chiari: ottenere coloro che ci hanno attaccato l'11 settembre 2001, e assicurarci che Al Qaeda non potesse usare l'Afghanistan come base da cui attaccare di nuovo. L'abbiamo fatto. Abbiamo gravemente degradato Al Qaeda in Afghanistan. Non abbiamo mai rinunciato alla caccia a Osama bin Laden e lo abbiamo catturato.” (We went to Afghanistan almost 20 years ago with clear goals: get those who attacked us on Sept. 11, 2001, and make sure Al Qaeda could not use Afghanistan as a base from which to attack us again. We did that. We severely degraded Al Qaeda in Afghanistan. We never gave up the hunt for Osama bin Laden and we got him). Intanto anche su questo potrebbe esservi qualche perplessità. È noto che Al Qaeda, così come altri movimenti terroristici islamisti, continua ad avere contatti molto stetti con i talebani e vari esperti di intelligence danno Al Qaeda come molto attivo tutt’oggi in Afghanistan (pertanto non sembra che sia stato “estirpato”). Su questa chiave di lettura si potrebbe anche obiettare che se per braccare Al Qaeda in Afghanistan si è occupato l’intero paese, per braccarlo in Pakistan sono stati condotti solo interventi “chirurgici” ben localizzati e nulla appare essere stato fatto nei riguardi dei grandi finanziatori di al Qaeda in Qatar e Arabia Saudita. Comunque, se il “nemico” fosse stato solo Osama, il ritiro avrebbe potuto essere condotto già 10 anni fa, quando peraltro Biden era vice presidente. Ha inoltre dichiarato : “La nostra missione in Afghanistan è mai stata intesa essere di 'nation building' Non è mai stato previsto che portasse a una democrazia unificata e centralizzata. Il nostro unico interesse nazionale vitale per l'Afghanistan rimane oggi quello che è sempre stato: prevenire un attacco terroristico alla madrepatria americana”. (Our mission in Afghanistan was never supposed to have been nation-building. It was never supposed to be creating a unified, centralized democracy. Our only vital national interest in Afghanistan remains today what it has always been: preventing a terrorist attack on American homeland). Se così fosse stato veramente non si capisce perché dopo aver scacciato i talebani, con il supporto non indifferente delle “armate del nord” nel 2002 e 2003, gli USA siano rimasti nel paese, perché abbiano tentato di forgiare il governo centrale facendo anche sì che si susseguissero presidenti (Karzai prima e Ghani poi) che erano culturalmente vicini all’America (e pertanto percepiti come “corpi estranei” dalla maggioranza degli afghani). Perché il tanto sbandierato impegno per i diritti civili e per i diritti delle donne? Perché lo stesso oneroso impegno di ricostruzione delle forze armate e di sicurezza? Qualcosa non torna! Mi pare che il messaggio che sicuramente gli USA hanno costantemente tentato di mandare durante le presidenze Bush e Obama fosse proprio che si voleva costruire un Afghanistan “migliore”. Infatti, non mi ricordo che l’intervento sia mai stato pubblicizzato facendo vedere i talebani uccisi (aspetto che anzi si è tentato di nascondere) mentre ricordo innumerevoli spot di bambine che finalmente potevano andare a scuola, di opere di ricostruzione, di libere elezioni, donne candidate a cariche politiche, eccetera. Comunque, se la missione degli USA (e della NATO) non può essere il “nation building” forse alla NATO a Bruxelles qualcuno dovrebbe interrogarsi sulla persistenza di un supporto USA alle operazioni in Iraq e in Kosovo, che invece parrebbero essere finalizzate proprio al “nation buiding” e che hanno una durata simile a quella dell’Afghanistan (Kosovo dal 1999 e Iraq dal 2003). Ancora più preoccupante è che Biden il 16 agosto abbia dichiarato che d’ora in poi gli “USA interverranno solo dove i loro interessi di sicurezza nazionale sono in gioco” (This is not in our national security interest).

Quindi, non interverranno quando si tratta SOLO di difendere “ideali, valori, principi comuni”? Peccato che sia proprio la comune disponibilità a combattere per difendere “ideali, valori, principi comuni” il collante su cui dovrebbe reggersi l’Alleanza! Alleanza Atlantica che, quando tutti la davano per morta dopo la “caduta de muro” è riuscita brillantemente a rigenerarsi da alleanza difensiva (nell’epoca della guerra fredda) a formidabile strumento di gestione delle crisi e di efficace intervento in risposta alle crisi (nei Balcani alla fine del secolo scorso e all’inizio di questo), ma che ora potrebbe non sopravvivere alla perdita di credibilità conseguente alla debacle afghana. Siamo onesti. La motivazione iniziale della Casa Bianca per andare in Afghanistan era essenzialmente di politica interna. Occorreva mostrare all’elettorato domestico che chi colpisce il suolo USA viene punito. Quale poi dovesse essere il futuro del paese dopo la policy di “shock and awe” di Rumsfeld non era chiaro a Washington nel 2001-2002 (e temo non lo sia stato del tutto neanche successivamente). Su questo Biden, in fondo, è stato sincero. Però, poi le cose sono cambiate radicalmente. Ciò premesso, è innegabile che nessuna delle presidenze USA che si sono succedute dall’11 settembre in poi (Bush, Obama, Trump e Biden) avesse un genuino interesse a ricostituire un “nuovo” Afghanistan. Lo dimostra l’andamento sinusoidale dell’impegno statunitense nel paese, ben più attento all’umore dell’elettorato domestico, in vista degli appuntamenti elettorali biennali (presidenziali e mid-term elections) che non all’andamento delle operazioni sul terreno. In quest’ottica, le ricorrenti promesse dell’inquilino di turno della Casa Bianca di riportare a casa i contingenti entro una certa data non hanno fatto altro che confermare agli “insurgents” che il nostro impegno era a tempo determinato e che a loro bastava avere pazienza ancora per un po’. Un vero disastro per la credibilità sia degli USA (che di fatto stanno abdicando al ruolo di super potenza mondiale) sia dei loro Alleati Europei e della NATO che hanno delegato a Washington qualsiasi decisione seguendoli in questa debacle. Nella conferenza stampa del 20 agosto, oltre a magnificare un inesistente coordinamento e una forte sintonia con gli alleati, Biden si è dedicato a illustrare i successi e problemi connessi con l’evacuazione in atto da Kabul.

Operazione che definirei essere una NEO (non-combatant evacuation operation) condotta in ambiente controllato dal nemico (quindi ambiente non permissivo) dove di fatto USA e Alleati possono fare solo ciò che i talebani gli consentono di fare. Intendiamoci: viabilità e tutti i mezzi di comunicazioni sono controllati dai talebani. USA e Alleati (che comunque operano ciascuno per conto proprio) non sono in grado di controllare né le zone dove il personale da portare fuori dal paese può radunarsi in sicurezza né i tragitti verso l’aeroporto. È inevitabile, a questo punto, che molti di quelli che hanno veramente collaborato con le potenze occidentali restino in balia dei tagliagole talebani, mentre si trasporti in Europa gente cui i talebani hanno consentito di giungere in aeroporto o che, per un colpo di fortuna, si trovino in mano documenti rilasciati da qualche ONG compiacente (gente che poi, in relazione a quanto affermato da Biden il 22 agosto, poi sarà lasciata in Europa!) USA e Alleati sono bloccati in aeroporto come in una sorta di Fort Alamo moderno, sommersi da migliaia di afghani (alcuni ex cooperanti ma molti altri no) che vogliono espatriare. Inutile dire che all’aeroporto arriva solo chi decidono i talebani (che possono aprire o chiudere le vie d’accesso come preferiscono). Inoltre è scontato che i voli potranno atterrare e decollare da Kabul solo finché i talebani lo consentiranno. Non sarebbe un problema (soprattutto con l’arsenale made in USA ora in loro possesso) abbattere aerei in atterraggio o in decollo. E con i voli civili promessi ora da Biden sarebbe ancora più facile. Basterebbe un aereo abbattuto e qualche centinaia di vittime innocenti per far traballare lo Studio Ovale e le Cancellerie di mezza Europa. Perché i Talebani ancora non lo hanno fatto? Per due semplici motivi: per il momento ancora non gli conviene e, inoltre, sappiamo bene che non ci stanno concedendo di effettuate questi voli senza una ricca contropartita. Solo per nota: al momento gli USA hanno a Kabul 6.000 militari e rischiano di doverne inviare altri. Nell’ultimo periodo, prima del ritiro, ne avevano in tutto l’Afghanistan 2.500. Inoltre, il presidente ha dovuto ammettere di non sapere esattamente quante migliaia di cittadini americani siano ancora in Afghanistan e dove esattamente si trovino! Particolarmente preoccupante e ulteriore indicazione del caos con cui gli USA stanno conducendo questa attività (che temo non si concluderà bene per i molti che non potranno essere evacuati) è stato l’invito finale del presidente: “I would ask every American to join me in praying for the women and men risking their lives on the ground in the service of our nation”. Ovvero… non ci resta che pregare! Purtroppo saranno gli afghani a pagare, spesso con il sangue, la superficialità e l’improvvisazione con cui gli USA hanno condotto questo ritiro.



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