Mentre i talebani conquistano l'Afghanistan, è tempo di sanzionare il Pakistan
Analisi di Ben Cohen
(traduzione di Yehudit Weisz)
In questo mese di agosto, mentre gli insorti talebani invadevano l' Afghanistan nel loro brutale tentativo di riportare quel Paese indietro al VII secolo, nel vicino Pakistan si sono svolte cerimonie per commemorare il 6° anniversario della morte di un uomo soprannominato “il padre dei talebani.” Il Generale Hamid Gul, morto nel 2015, era stato l'ex capo dell'agenzia di spionaggio del Pakistan, l'Inter-Services Intelligence (ISI), nota per la sua efferatezza. Gran parte della sua carriera è stata spesa combattendo l'occupazione sovietica dell'Afghanistan negli anni '80, quando l'ISI lavorava a stretto contatto con la CIA americana. Con il crollo dell'occupazione sovietica, seguito rapidamente dal crollo dell'attuale Unione Sovietica, l'ISI iniziò a sostenere i gruppi islamisti in tutta la regione, dal Kashmir all'Afghanistan, dove i talebani erano saliti al potere nel 1996, circa due anni dopo essere stati promossi dalla Direzione segreta “S” dell'ISI con finanziamenti, armi e addestramento militare. I tributi a Gul, in Pakistan, la settimana scorsa erano incentrati su un'intervista televisiva che lui aveva rilasciato poco più di un anno prima di morire, in cui prevedeva l'umiliazione dell'esercito americano e dei suoi alleati del governo afghano per mano dei talebani dell'ISI.
“Quando la storia sarà scritta, si dirà che l'ISI ha sconfitto l'Unione Sovietica in Afghanistan con l'aiuto dell'America”, così aveva osservato Gul. “Ma si aggiungerà anche che l'ISI ha sconfitto l'America (in Afghanistan) con l'aiuto dell'America.” La devozione di Gul ai talebani esemplificava il divario che c’era all'interno dell'establishment dell'intelligence pachistana riguardo alle sue relazioni con le agenzie statunitensi. “L'alleanza del Pakistan con gli Stati Uniti contro i talebani ha irritato molti ex generali dell'esercito che avevano sostenuto gli islamisti", ha spiegato Farooq Sulehria, un esperto pakistano sui talebani, all'emittente tedesca DW poco dopo la morte di Gul per un'emorragia cerebrale. “Queste divisioni all'interno dell'esercito persistono ancora. Mentre alcuni generali militari pensano che un 'doppio gioco’ con l'Occidente – uccidere alcuni talebani e salvarne altri – sia una buona strategia, persone come Gul volevano che Islamabad sostenesse gli islamisti con tutto il cuore”. Dal 2021, era chiaro che la posizione di Gul avrebbe avuto la meglio, come dimostra l'orrore dei risorti talebani mentre conquistavano città come Faizabad, Kandahar, Mazar, Sharif e infine Kabul, 20 anni dopo essere stati banditi dalla capitale afghana.
Questa realtà dovrebbe rimanere sul gozzo della maggior parte degli americani, perché abbiamo versato denaro per aiutare il Pakistan anno dopo anno, nonostante il ruolo nefasto svolto in Afghanistan dai suoi servizi militari e di spionaggio. Nel 2020, gli Stati Uniti sono stati, ancora una volta, il primo Paese donatore al Pakistan di assistenza finanziaria che assume sempre la forma di una sovvenzione, in modo da non aumentare l'onere del debito o problemi sulla bilancia dei pagamenti del Pakistan. Eppure, dal nostro punto di vista, non sono stati soldi ben spesi. Secondo Chris Alexander, che ha trascorso sei anni come Ambasciatore del Canada in Afghanistan, e poi un periodo come inviato delle Nazioni Unite, il ritorno dei talebani rappresenta un'invasione pachistana. “Oltre ad essere mercenari del Pakistan, i talebani sono nell’elenco dei terroristi delle Nazioni Unite”, ha detto recentemente Alexander a un giornale indiano. “Chiunque se li stia ingraziando sta facendo un gioco pericoloso.” Grazie in gran parte agli sforzi di Alexander, nelle ultime due settimane l'hashtag #SanctionPakistan è diventato virale, mentre i talebani stavano sempre più stringendo la loro morsa e segmenti sempre più crescenti dell'opinione pubblica prendevano atto di questa realtà. In un'intervista alla rivista americana Foreign Policy, l'ambasciatore pakistano negli Stati Uniti, Asad Majeed Khan, ha negato categoricamente che Islamabad stesse ancora sostenendo i talebani, continuando a fare la ridicola affermazione che il Pakistan è “un Paese libero e democratico, e che c’è tutta una serie di punti di vista a favore e contro le politiche del governo.” Ma quando gli è stato chiesto cosa intendesse esattamente il Primo Ministro pakistano, Imran Khan, quando aveva detto che i talebani avevano “rotto le catene della schiavitù”, il buon ambasciatore ha risposto solo che era “davvero difficile tenere traccia” di tutto quello che viene riportato sui social media, prima di offrire la rassicurazione che il Pakistan vuole un governo “inclusivo” in Afghanistan. Nessuno dovrebbe essere ingannato da questi tentativi, piuttosto da dilettante, di ingentilire il ruolo storicamente distruttivo svolto dal Pakistan in Afghanistan. Per molti americani, gli eventi dell'ultimo mese suggeriscono che abbiamo sacrificato truppe e speso miliardi di dollari per un Paese che ora non è compatto negli obiettivi più di quanto lo fosse 20 anni fa, sulla scia degli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001 compiuti da Al Qaeda, complice dei talebani nel crimine.
Ma dal punto di vista dei cittadini comuni afgani, questo è un giudizio severo sui silenziosi progressi che hanno fatto. L'aspettativa di vita è aumentata di 10 anni, fino all'età di 65 anni, anche se ancora bassa per gli standard internazionali. All’epoca dell’invasione da parte degli Stati Uniti, poco più del 20 per cento dei bambini afgani erano iscritti alla scuola elementare, una cifra che ora si attesta al 100 per cento. L'alfabetizzazione tra le donne adulte è aumentata dal 17 al 30% e probabilmente diminuirà ancora una volta non appena i talebani imporranno nuovamente l'apartheid di genere, escludendo le ragazze dalla scuola. Ma, soprattutto, gli afgani rifiutano in modo schiacciante il regime che in pratica è stato loro imposto dal ritiro degli Stati Uniti da un lato, e dal sostegno pakistano ai talebani, sostenuto politicamente da Russia e Cina, dall'altro. “Anche se generalmente conservatori nella loro fede musulmana, gli afgani hanno costantemente dimostrato, sondaggio dopo sondaggio, che non vogliono avere nulla a che fare con la pseudo-teologia patologica che i talebani, ovunque guadagnino terreno, continuano a imporre”, osserva sul National Post il commentatore canadese Terry Glavin, un assiduo frequentatore dell’ Afghanistan. “L'ultimo sondaggio dell'Asia Foundation mostra che l'82% degli afghani afferma di non avere alcuna simpatia per i talebani.” Le sanzioni contro l'élite del Pakistan al potere, fornirebbero all'Occidente una sorta di leva per respingere i talebani su due fronti: il loro regno di terrore senza fine, attualmente espresso nelle perquisizioni casa per casa delle migliaia di afghani assediati che lavoravano per gli Stati Uniti o per altri governi stranieri durante l'occupazione, e la loro ripresa del Paese come base per gruppi terroristici islamici. Se applicato con fermezza, il disagio causato dalle sanzioni potrebbe spingere i pakistani a frenare le peggiori tendenze dei talebani. L'ambasciatore pakistano Khan ha spiegato chiaramente perché: "Gli Stati Uniti sono ancora la più grande destinazione di esportazione per il Pakistan... È il terzo più grande fornitore di rimesse in Pakistan... Gli Stati Uniti sono stati anche uno dei primi cinque Paesi investitori in Pakistan.” Chiunque sia tentato di pensare che all’orizzonte ci sia un talebano più illuminato, indipendentemente da ciò che fa il mondo esterno, dovrebbe riflettere sul fatto che l'uomo destinato a diventare il prossimo Presidente dell'Afghanistan, il Mullah Abdul Ghani Baradar, è più comunemente noto come “Macellaio Baradar.”
È stato proprio Baradar a dirigere le operazioni dei talebani contro la forza internazionale in Afghanistan dalla sua base nella provincia pakistana di Quetta, alla fine degli anni 2000. Catturato dai riluttanti pakistani per volere della CIA nel 2010, Baradar è stato scarcerato nel 2018 su richiesta di Zalmay Khalilzad, l'inviato afgano dell'ex amministrazione Trump, per partecipare a quelli che sono stati descritti come “negoziati di pace.” A tre anni da quei vergognosi colloqui a Doha, in Qatar, il termine appropriato è “capitolazione.” Per chi sostiene che gli interventi stranieri siano il colmo dell'irresponsabilità e dell'ingenuità, resta la questione spinosa di cosa fare nel caso in cui un terrorista come Baradar, diventi il leader di uno Stato sovrano come l'Afghanistan. Invariabilmente, la risposta di questi isolazionisti è questa: non dobbiamo preoccuparci troppo, tutto è sotto controllo, “loro” non ci vogliono comunque laggiù, e un centinaio di altre banalità, che crollano tutte, quando si verifica un'atrocità come l'11 settembre e al pubblico occidentale viene in mente il detto del fondatore dell'Armata Rossa sovietica, Leon Trotsky: “Potresti non essere interessato alla guerra, ma la guerra è interessata a te.”
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate